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lunedì 14 settembre 2020

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (436)

Giuseppe Leuzzi

Campania, Sicilia, Calabria, la stessa Puglia, le regioni meridionali registrano tra agosto e questo primo settembre molti più contagi ogni giorno di quanti risultavano nella fase acuta del coronavirus. Il numero dei contagi è effetto del maggior numero di tamponi, probabilmente. Ma anche dei contagi d’importazione: per gli arrivi moltiplicati di migranti all’avventura, per il turismo balneare, e per il nostos, il ritorno dell’emigrato, sia pure per poche ore.  

Il Sud non decolla causa unità
Agosto di polemiche sulla destinazione dei fondi “Recovery” stanziati dalla Unione Europea, per la ripresa economica dopo la chiusura. Che Il Sud non ha nei progetti del governo la parte di cui ha bisogno, di cui l’economia nazionale trarrebbe maggiore beneficio – cresce il Nord se cresce il Sud. Che il riterio della “spesa storica” è sbagliato e ingiusto - ripartire cioè i fondi pubblici in proprozione a quanto già stanziato in passato. Che si tarda a, o non si vuole, adottare i Lep, livelli essenziali di prestazione, per tutti gli interventi pubblici, sanità, igiene, istruzione, servizi basici (acqua, elettricità, telefonia, internet, etc.).
Non una nuova “questione meridionale” ma quasi – Svimez, Eurispes, Agenzia per la Coesione si sono molto impegnati, risvegliandosi da un lungo sonno. E tutto giusto, forse. Il criterio della spesa storica è certamente sbagliato dal punto di vista economico prima che sociale: è dare a chi ha, riducendo la capacità di spesa di chi ne ha maggiore propensione, oltre che bisogno. Chi ha è più virtuoso, certo, risparmiatore, ingegnoso, applicato. Ma la spesa pubblica non ha il fine di premiare i “buoni”: ha il fine di uguagliare le condizioni basiche o di partenza, nelle infrastrutture e nei diritti, all’istruzione, alla salute, alla cultura, in una prospettiva di produttività complessiva per tutti, certo, ma nell’eguaglianza. Il criterio adottato nell’Italia leghista, anche se a opera (in particolare nell’istruzione e nell’industria) soprattutto di politici ora Pd, in tutti i settori, dalla sanità all’università, sotto l’apparente neutralità (di fatto non neutrale, né nella sanità né nell’università, questo è chiaro a tutti e non si contesta), ha creato e crea buchi colossali. I dati dei Conti Pubblici Territoriali, pubblicati dall’Agenzia per la Coesione, lo testimoniano.
Ma è questo il problema numero uno del Sud, l’unica regione al mondo che accresce il divario di produzione e reddito con le regioni del paese più ricche invece di colmarlo o comunque ridurlo? Uno sguardo non del tutto distratto nelle realtà meridionali fa nascere l’ipotesi che il Sud non cresce, non abbastanza, a causa dell’unità: il Sud è prigioniero di un assetto di produzione e di consumo che lo marginalizza.
Dappertutto s’incontrano iniziative economiche, produttive, buone, ma che stentano, sempre e comunque. Non producono abbastanza reddito, non subito. Hanno difficoltà a decollare: commerciali (chi ti compra il prodotto?), distributive, finanziarie (le banche vogliono vedere fatturati), promozionali (effetto immagine negativo), legali (le pratiche con la Pubblica Amministrazione, sempre abusive, la concorrenza – una denuncia, se sei un’azienda del Sud, anche più di una, anche anonima, è inevitabile). Con l’handicap aggiuntivo, quindi, di consulenze onerose da spesare.  
La distribuzione non è indifferente. Il supermercato in paese, i tre-quattro supermercati in paese, non vendono gli ortaggi locali, pure più freschi e saporiti, perché si riforniscono-vengono riforniti dai mercati generali, con condizioni di prezzo, pagamento, consegna più favorevoli. Anche, è straordinario, per i prodotti poveri o a basso valore aggiunto, i carciofi, i peperoni, gli asparagi, l’origano, perfino le patate.Non vendono i prodotti agroindustriali locali, formaggi, salumi, conserve,  benché più freschi, di sapore tradizionale, e meno cari rispetto a quelli della grande industria, perché hanno con la distribuzione dei prodotti di marca accordi di lungo periodo e condizioni più favorevoli, di credito, di pagamento, e di immagine del prodotto - che è pubblicizzato, e questo è garanzia di qualità.
Il giovane, la giovane, che avvia una produzione anche la più aggiornata, verde, bio, proprietà organolettiche eccetera, va avanti per qualche tempo, ottiene qualche buona eco, qualche riconoscimento anche, perché no, ma non vende. Non abbastanza per decollare. Non ha tempo, non ha margini. Il processo di accumulazione dentro un’economia matura è breve, rapido, e quindi esige un forte balzo iniziale.
Non è che al Sud manchi l’iniziativa. L’iniziativa c’è, ma muore. Dopo i primi passi. Come un bambino nato prematuro, o anche nato sano, ma subito poi in deperimento, per cause organiche, compreso il latte della mamma – la banca.
Nell’attesa del decollo, è innumerevole il conto delle aziende nate morte, morte poco dopo la nascita, speranzosa, solida, brillante. E a ondate il Sud si depriva delle sue energie migliori: ci mette poco chi ha titolo, capacità, ambizione, a trovarsi un’opportunità senza tanti handicap.
Il Sud stenta, unica area al mondo, perché frenato dagli handicap. Quelli che gli impone, effetto perverso, un’economia nazionale brillante, che di un paese povero ha fatto uno ricco. Un Sud separato avrebbe fatto meglio? Non avrebbe potuto non farlo.
Il Sud non può decollare, ha difficoltà a ingranare, unica area al mondo che perdura da un secolo e mezzo in una situazione di sofferenza, perché è parte senza protezione di un’area ricca, produttiva, integrata nei mercati (commerciale, finanziario). Gli aiuti speciali alleviano la dipendenza ma non ne intaccano il motore: che è appunto questa integrazione.
L’integrazione fa sì che il Sud non abbia tempo. Il tempo necessario per l’accumulazione primaria.
 
Napoli
A Caivano, 37 mila abitanti a un quarto d’ora da Napoli, dove un fratello in moto sperona lo scooter della sorella, perché convive con un trans, e la uccide, la piazza principale, aperta nel 1980 per accogliere i terremotati, battezzata speranzosamen te Prato Verde, è reputata la più grande piazza di spaccio d’Italia. “Qui”, dice al “Corriere della sera” don Maurizio Patriciello, il parroco della ragazza morta, da trent’anni a Caivano, “lo Stato non c’è. No, non cè, e lo può sottolineare… Si soffre, si muore. Per ignoranza, abbandono. Tutti sanno che il Parco Verde è una piazza di spaccio. E cosa succede?” 
 
È la città probabilmente più ricca di storia e arte, palazzi, chiese, dipinti, statue, architetture, archeologie, musei, ma si compiace di “Gomorra” – come già la Sicilia al tempo della “Piovra”, anni 1980, “grande successo mondiale”, grazie al quale si poteva girare l’isola a piacimento senza bisogno di prenotare, e godersi Segesta, Piazza Armerina, Solunto, perfino Selinunte, in solitario. “Gomorra” rende di più, a chi? È il gioco perverso di chi vuole male al Sud? Ha ragione Freud, c’è sempre una merda attaccate a alle scarpe? È il Sud, l’odio-di-sé – l’ipotesi non si può scartare (s’introietta la colpa per il senso di colpa).
 
È la metropoli che si si è comportata meglio nelle fasi acute del coronavirus, rispettosa cioè delle prescrizioni sanitarie, a giudicare dagli effetti. E anche dopo, in questa fase di decantazione, benché aperta al turismo. Hanno retto anche le strutture sanitarie. Quanto pesa su Napoli l’“immagine” Napoli, che per lo più è opera dei napoletani? Si dicevano “maledetti” alcuni poeti, anche grandi, la qualifica incontra.
 
Era greca ancora al tempo di Virgilio, parlava greco. Orazio vi studiò Epicuro alla scuole di Sirone.
Ancora in epoca moderna, Goethe a Napoli scrive: “Ora soltanto l’Odissea è per me una parola viva”.
 
Braudel vagheggiava per Napoli nel 1983 sul “Corriere della sera” il ruolo di capitale d’Italia. Non senza argomenti: “L’unica città dell’Occidente, dopo il riflusso dell’Islam, a dare il proprio nome ad un regno, qualcosa di più di una capitale, e l’asserzione di un diritto di proprietà eminente”.
 
“Nota caratteristica di Napoli è che quasi tutte le sue glorie sono musicali: Scarlatti (Domenico, n.d.r.), il suo discepolo Porpora, Leonardo, Leo (Leonardo Leo, n.d.r.), Francesco Durante, Pergolese, Paisiello, Cimarosa, e tutti quei maestri che fino a Bellini, a Mercadante uscirono dal Conservatorio di Napoli”, Ferdinand Gregorovius, “Passeggiate per l’Italia”, 1850 ca.
 
“Lavorerio” si dice e si pensa a Milano, dei lombardi. Mentre non c’è di più indaffarato dei napoletani. “Tanto all’interno che all’esterno del palazzo dove vivo”, testimomava trent’anni fa Fabrizia Ramomndoino in apertura al suo “Dadapolis”, l’omaggio a Napoli, “si  fabbrica di tutto: borse di cuoio, dolci, putrelle di ferro, una rivista per studenti universitari, bare di zinco, vestiti, caffè tostato e macinato”.
 
Si cita nelle bibliografie un “Voyage à Naples” di Sainte-Beuve, del 1839, che di Napoli parla poco – parla poco anche di Roma: in tutto, nel suo unico viaggio in Italia, non ci passò un mese – giusto un mese, da metà maggio al 18 giugno. In una successiva “Ecloga napoletana”, tuttavia, uno degli ultimi tentativi di “fare il poeta”, pubblicata a parte e attaccata al “Voyage”, ridicolizza San Genanro, e in genere i riti cattolici.
La Napoli di Sainte-Beuve è studiata in Francia, Napoli non se ne cura – Napoli è anche snob.
 
Fu sempre “violata”, stabiliscono Fabrizia Ramondino e Andreas Friedrich Müller in “Dadapolis”: “Partenope, la vergine, fu violata da Romani, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, Spagnoli, Austriaci, Francesi, Piemontesi, Tedeschi, Americani”. Con un dubbio: “Ma era una vergine o una maîtresse?” Ricordando peraltro che “spesso i peggiori conquistatori di Napoli furono i Napoletani stessi”.
 
Bakunin ci passò quindici mesi, eccezionali. Un’eternità per uno nomade. Da giugno 1865 ad agosto 1857. “Napoli piacque tanto a Bakunin”, racconta il biografo, Pier Carlo Masini, che nella primavera del 1876, poco prima di morire, aveva già deciso di tornarvi definitivamente a finire i suoi giorni”. La sua morte fu celebrata col lutto da molto giovani napoletani che lo avevano frequentato.
A Napoli Bakunin fondò un Circolo dei socialisti rivoluzionari, “che genererà ai primi del ’69 la Sezione napoletana – prima in Italia – dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori”.

leuzzi@antiit.eu

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