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lunedì 24 febbraio 2020

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (417)

Giuseppe Leuzzi
Se la peste è leghista
Non è a dire la gravità dell’epidemia di coronavirus che la Lombardia e il Veneto hanno diffuso. Le regioni della Lega, la sanità della Lega. Con centinaia di contagiati e mezza dozzina di morti. Facendo dell’Italia il paese più appestato dopo la Cina – e la contigua Corea. Al limite della pandemia. Un paese che affonda in Borsa come mai nei peggiori crac, perché è destinato alla quarantena in Europa. 
Un focolaio di infezione al centro del continente europeo, non è a dirne la gravità. Tutto per superficialità, la solita albagia: per il virus il salvifico Salvini aveva appena denunciato le Regione Toscana, finora immune; a Brescia allo stadio si inneggiava al coronavirus a Napoli. A cappello dell’incompetenza.
L’epidemia lombarda è raccapricciante per imprevidenza e incompetenza, ma anche per leggerezza. A Roma, con le precauzioni, il contagio si isola, e si guarisce anche, a Milano e nel Veneto il contagio si diffonde.
Tanta superficialità è da non credere. Nessun esame preliminare al ricovero. I contagiati spostati in ospedale da reparto a reparto. L’incapacità di isolare (individuare) il “ceppo originario”, il portatore primo del virus – non si fanno ricerche, si raccontano “storie”, con la solita superficialità. Morti di virus pazienti monitorizzatissimi per altre patologie. In tanto disastro, ci sarebbe da morire dalla vergogna, uno pensa. E invece no.
Sabato 22 febbraio 2020, il giorno della nuova peste in Lombardia, il “Corriere della sera” apre a tutta pagina: “Il virus in Italia: un morto in Veneto”. Milano e dintorni confinando a quattro parole in un affollato “catenaccio”: “In Lombardia 15 casi”.
L’apertura del secondo giorno è ancora più anodina: “Una cintura per isolare il virus”. Dove? “Non si potrà uscire da 11 comuni focolaio”. Dove? “Seconda vittima”. Dove? “I contagiati in Italia sono ora 76”. In Italia dove? “Atenei chiusi al Nord”. Ah, ecco.
In seconda pagina si continua col non-luogo. In grande: “Una donna la seconda vittima”. È di Casalpusterlengo, ma questo non fa notizia. Seconda riga, sempre a corpo 60: “Impennata di contagi, sono 76”, sempre evitando di dire dove. La colpa è dell’Italia: “L’Italia è il Paese con più casi in Europa e il quinto al mondo”. Milano c’entra in un occhiello: “Accertati i primi casi a Milano e Torino”. A Milano una trentina, a Torino tre, ma non fa differenza. Il Veneto non interessa. “Si espande anche il focolaio in Veneto”. Anche, prima dove? A p.4 un’intervista col presidente della regione Lombardia, il responsabile della Sanità, fa il punto come se l’epidemia avesse colpito la Sardegna o la valle d’Aosta.
“Il Sole 24 Ore” pure, non declina le generalità: “In Italia il numero più alto di casi”. In Italia. Fosse successo a Napoli?
Si direbbe cinismo ma no, è pienezza di se stessi – è leghismo. Non male. Bisogna proteggersi, anche dalla cattiva fama. Soprattutto in caso di colpa. Qui evidente e grave: di imprevidenza e inefficienza. Niente test, niente isolamento precauzionale, niente di quello che è stato detto e fatto in  abbondanza dacché il virus si è manifestato, in panel, raccomandazioni, regolamenti, leggi. Niente esperienze pregresse: all’ospedale romano per infettivi guariscono gli appestati, a Milano non interessa. Il virologo Burioni del San Raffaele non ha finito di vituperare la regione Toscana, la sanità toscana, per il coronavirus che il San Raffaele mogio confessa di avere almeno un infetto in corsia, ricoverato da una settimana, l’ospedale che si professa di eccellenza e di ricerca - si professava quando era proprietà del Vaticano, prima che il proprietario del “Corriere della sera” gliela scippasse.
La cosa non si rileva, come è giusto, essendo l’epidemia in corso e il rischio grave. C’è solo da riguardarsi e fare voti. Ma: fosse successo a Catania o Catanzaro, “La Sicilia” e la “Gazzetta del Sud” ne avrebbero fatto un inferno, locale. Tra corruzione e incapacità. Pappagallini sarebbero insorti dappertutto, per raccontare ai Grandi Inviati del Nord tutte le beghe e le nefandezze di primari, direttori, politicanti e mafiosi. Occhi bassi, e scusarsi di essere al mondo.
A Milano no, perché - perché flagellarsi? Il silenzio non è un infortunio, è calcolo e modo di essere. La spazzatura che la Lombardia produce , abbondante, va buttata al piano di sotto. Si è tentato con la Toscana, ora vediamo. È come Malaparte notava in “Benedetti italiani”, in anni ormai remoti ma di verità evidentemente durevole: “Mi par giusto difendere gli italiani del Mezzogiorno dall’accusa di parlar con le mani, come se fossero i soli, in Italia! Ma già, quando c’è qualche accusa da muovere agli italiani, sempre quelli di su la scaricano sulle spalle di quelli del piano di sotto. I quali, specie i lombardi, non solo parlano con la bocca, e a bocca larga, ma con le mani. Parlano a voce alta, spesso gridando”.
La Lombardia parla a voce alta questa volta tacendo, e il Veneto, il leghismo, regioni cattolicissime, anche perché l’epidemia è una sorta di vendetta dei cieli? Come voleva l’antica massima “quod Zeus vult perdere dementat prius”, a quelli che vuole rovinare Zeus toglie prima la ragione? Un caso di giustizia divina? È possibile – anche se il virus non si isola e chiunque può esserne vittima. In ogni caso non auspicabile. Ma a quanti la ragione non l’ha tolta finora la Lega?
Se è lecito sorriderne, il “Corriere della sera” di oggi è quello di sempre, di quando famosamente sostenne di “Lascia o raddoppia” che se il giornale non ne parlava, nessuno avrebbe visto la tv. Ma non è una cosa da ridere: il giornale è Milano 1, la circoscrizione dei ricchi e intellettuali che sono stati e sono la vera Lega, Bossi e Salvini ne sono solo le maschere. Perché darsi addosso quando si è in disgrazia? Proteggersi è il primo dovere.

La compassione
Si “tiene il lutto “ – si elabora il lutto – con le visite di condoglianze. Le donne vegliano la salma, madri, mogli, figlie, sorelle, zie. Conversando. E ricevono le visite di condoglianze delle parenti, e delle estranee – anche di amici del defunto, che passano per un saluto personale. Un resto del “compianto”, quando la moglie o madre andava enumerando, su toni d’angoscia, le virtù della persona defunta. Ora non più – talvolta si dice il rosario.
Gli uomini siedono in ambiente separato, lungo le pareti. Entrano, uno alla volta, stringono la mano o danno un abbraccio, a secondo della prossimità, ai parenti stretti, genitori, figli, fratelli, zii, nipoti. Qualcuno chiede notizia degli ultimi istanti, poi siedono, muti, raccolti. Per quindici, venti minuti. Passati i quali, si esce, senza più salutare.
Tutti, uomini e donne, vestiti sobriamente, se non di nero. Ripuliti: non si va al “lutto” dal lavoro: il lutto è una celebrazione.
Tutti vanno poi, uomini e donne, all’ufficio funebre in chiesa. Alla fine del quale “si licenziano” dai congiunti, gli uomini dagli uomini, le donne dalle donne, con una stretta di mano o un abbraccio. I più vicini ripetono la cerimonia al cimitero, dove si recano individualmente in macchina, davanti alla camera mortuaria. Una forma estesa di condivisione del lutto, e muta. E tuttavia efficace. Fa rivivere per alcune ore la figura del defunto, e ne imprime la memoria. 

Calabria
Gaetano Artale, un ingegnere di Padova, si pretende ebreo tedesco, nato a  Rostock, deportato in un lager e sopravvissuto. La comunità ebraica non sa che fare, scandalizzata: l’ingegnere esibisce un solo documento, in cui risulta nato a Laino Borgo, in Calabria. Ma Laino Borgo è nome tedesco italianizzato, erano longobardi. 

Sono calabresi gli chef stellati in voga, Francesco Mazzei, che spopola a Londra e Edimburgo, Anthony Genovese, punto d’attrazione a Roma Centro ai Banchi Vecchi, un globetrotter che ha  “scoperto che nel comune di Rigi in Calabria passa il 38mo parallelo, che tocca anche il Giappone e la Corea”, e allora ha “creato un piatto che unisce le tre terre”, che sono quelle che porta “nel cuore”.  E Caterina Ceraudo, la “miglior donna chef” di Michelin, prima donna stellata, Luca Abbruzzino, Nino Rossi, Riccardo Sculli, Ciro Sicignano. La leggerezza. Ma non senza follia.

“Una cucina di poco costo e di forti sapori”, spiega semplice Mazzei, che fra gli chef stellati è il più imprenditoriale. Altrove non vi si sarebbe costruita sopra una fortuna, con agroindustria, turismo, culinario e non, cultura? L’imprevidenza.
O forse no, l’incostanza: se il guadagno non è immediato si passa al lagno.

Ville, Ferrari, imprese, e galera per 257 percettori del reddito di cittadinanza in Calabria. Le imprese sono partite Iva che hanno trascurato di presentare la denuncia dei redditi. Li ha scoperti la Guardia di Finanza. Ci voleva una polizia per scoprirli, i controlli amministrativi non si fanno. Questo solo nella Locride, l’ex sottoprefettura di Reggio, che non conta 200 mila abitanti.

La Calabria vota alternativamente, alla Regione, per la destra e per la sinistra. Sempre scontenta, di ogni governo. Che però inevitabilmente, sia destra o sia di sinistra, sarà intanto finito sotto processo.

Il Procuratore antimafia di Catanzaro Gratteri dice che il parroco di Limbadi, Francesco Massara,  nell’estate 2017 riuniva nella canonica i faccendieri di un clan di ‘ndrangheta. Per poi diventare, pochi mesi dopo, nell’estate del 2018, vescovo, di rispettabile sede, Camerino, che ha anche una università con molti calabresi. Evidentemente si può: Gratteri e Massara sono della stessa parrocchia.

Siano coinvolti nel malaffare i Casamonica, i Di Silvio, gli Spada, non si scrive che sono rom. Sia coinvolto un Tripodi o un Modafferi, l’origine calabrese connota la notizia. Questo a Roma.
A Milano e Torino non c’è impresa di calabrei che non sia processata, quanto meno per voto di scambio. Imprese edili, che lavorano negli appalti pubblici, il crocevia di tutta la corruzione: contro le imprese edili locali non c’è gara.

leuzzi@antiit.eu

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