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domenica 23 febbraio 2020

Bovary in America

Una filodrammatica da cani apre il racconto, tra “le assurdità ben maggiori rappresentate da impieghi in città mortalmente noiosi e da abitazioni suburbane mortalmente noiose”. Questo il quadro del personaggio principale, di uno dei due. È il 1955. “Il luogo, una zona del Connecticut occidentale, dove tre villaggi ipertrofici sono confluiti a formare un unico centro lungo un’ampia e rumorosa autostrada”. Luoghi decentrati e scentrati. Da dove si parte la mattina per il lavoro, e dove si ritorna la sera, si beve in casa, e a sere alterna si cena con gli amici, bevendo.
Il primo dei non-luoghi, benché abitato: i centri residenziali suburbani, pieni di decoro ma senza vita e senza carattere. Dove si vive per una sola funzione, da pendolari per il solito “lavoro più cretino che si possa immaginare”. Gli uomini. Mentre le donne, che allora stavano in casa con i figli, scolorano in un grigio bovarismo.
È l’insoddisfazione di un’epoca, va ricordato, gli anni 1960, in cui si contestava il lavoro – c’era questo privilegio, si contestava la cosiddetta “integrazione”, col supporto del Marx riscoperto del lavoro alienante - o anche, in America, senza Marx. Ma è alla lettura oggi una sorta di premonizione, benché remota, del mondo socio-disintegrato che viviamo. In assenza di “valori forti”, pubblici (politici) o anche personali, affettivi. In un mondo allora afflitto da una urbanistica dissolutiva, dei suburbi disseminati attorno - a distanza – ai centri produttivi. Dove ogni storia, personale, generazionale, sociale, è inconsistente, e non può che finire male.
È il primo racconto anche della “coppia chiusa”, benché con figli. Che rifiuta la tv in casa. Socializza molto, lascia i figli la sera in casa con la baby-sitter. Ma si macera e si martoria. Non ancora al lancio di piatti e le altre nefandezze di un futuro filone di successo al cinema, ma le premesse ci sono, da coatti a “dover viver e fra tutte queste mediocrità suburbane”.
La condizione suburbana è invisa agli esteti più che agli abitanti – l’urbanistica dissentirebbe. Ma Yates, che ha scritto poco e si vuole ora riabilitare, riesce a farne una lunga narrazione con leggerezza. È stato anche il primo di un filone poi robusto , Styron, Mailer et al.
Pubblicato nel 1961, il romanzo è stato riedito nel 2001, da Richard Ford che ne fa la presentazione. L’edizione italiana è corredata di una biobibliografia a cura di Andreina Lombardi Bom.
Richard Yates, Revolutionary road, minimum fax, remainders, pp. 459, ril. + dvd € 8,75

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