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martedì 8 marzo 2022

Chi era Pasolini

Usano le celebrazioni, delle morti, delle nascite, non c’è altro giornalismo applicato alla letteratura, e il trionfo che si celebra di Pasolini non fa meraviglia. Se non per l’unanimità, come personaggio e come artista, che lo avrebbe sorpreso. E per la superficialità, che non gli si addice: artista poliedrico, avrebbe meritato anche uno sguardo critico – ne ha avuto uno solo, di Berardinelli, non nuovo, che non ne salva praticamente niente, una stroncatura: un “personaggio-mito”, “più una presenza critica che l’autore di un’opera poetica”.
Nelle celebrazioni Pasolini, che era persona mite, malgrado le trenta o quaranta denunce, per violenze di ogni tipo (senza mai una condanna), echeggia D’Annunzio un secolo fa, artista versatile (poeta, narratore, drammaturgo), polemista e uomo d’azione, erotomane. Che era però un personaggio che si voleva mito, a Roma, a Parigi, in Versilia, in guerra, a Fiume, al Vittoriale, tra veli e incensi. Da D’Annunzio la bandiera era passata nel dopoguerra a Malaparte, senza il genio. Pasolini vi si sovrappose, “battibecchi” compresi, i dialoghi polemici con i lettori, presto oscurandolo. Ma allora da piccolo borghese, ordinato: senza mai un eccesso, malgrado la fine orrenda, vestito e pettinato sempre correttamente, perbene nei modi, preciso nell’eloquio, mai volgare, con la cura come tutti della modesta affluenzadapprima ospite, orfano di fatto con la madre, dello zio a piazza Costaguti, ora chic, allora lercio vecchio ghetto, poi rapidamente, sempre con la madre, accudito e accudente, dal piccolo alloggio a ponte Mammolo all’appartamento in progressione a Monteverde Nuovo, a Monteverde Vecchio (non amato dal barbiere, il signor Mario, dal macellaio, il signor Dario, dai baristi - “non salutava”), a Monteverde Nuovo, a Monteverde Vecchio, all’Eur, con casale a Chia e villa a Sabaudia, orgoglioso dell’Alfa 2000. In ascesa costante anche letteraria e sociale: dapprima con i coetanei e compagni di studi, apprezzato de loing da Contini, poi il timido approccio con Elsa Morante, cioè con  Moravia, e con Bertolucci (Attilio), e così via. Non disdegnando le “presenze” promozionali, nelle cronache, nel gossip: l’incongrua relazione con Maria Callas, dopo Laura Betti, o tanti dei processi-scandalo. Il direttore del “Corriere della sera” che si apriva furibondo con gli scritti corsari, Piero Ottone, raccontava di aver dovuto disinnescare una bomba del suo kommando Pasolini, pare con soddisfazione dello stesso poeta, che voleva insinuare dentro il giornale il cazzo, la parola. 
E dunque? C’è molto da dire in realtà su Pasolini, malgrado i tanti libri a lui dedicati, i tanti articoli, e il dovuto ossequio. Anche perché ha lavorato tanto. Nemmeno a questo si riflette: Pasolini è morto di soli 53 anni. Lasciando un’opera apparentemente sterminata, di poesia, narrativa, teatro, cinema, pittura, saggistica (linguistica, società, costume, politica). Imponente e comunque significativa. Con molte incongruenze. Come tutti, ma nel suo caso non bisogna dimenticarlo.
Chi era Pasolini è, più che in ogni altro caso, l’approccio più giusto    per valutarne la giustezza e la qualità – le qualità.
(continua)


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