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giovedì 10 marzo 2022

Chi era Pasolini - 3

Pasolini è morto giovane di cinquant’anni. Che potrebbero essere stati cinquecento, la morte è giovane, per chi ha vissuto e vive. Si muore sempre troppo presto, anche nell’insignificanza, ma il rimpianto è talvolta giusto. Dopo aver reso onesto il cinema, arte della finzione massima, l’illusione. Dal cinema liberato, che i poeti corrompe, troppe foto, troppe interviste e pettegolezzi. Seppure felice solo nelle tragedie e nella trilogia, o con Totò. Il Partito da morto aprendo alla poesia, dopo averlo assolto dalla storia, guardia rossa solitaria, da Porzûs al Sessantotto, Praga inclusa, fedele sempre a chi gli ha assassinato il fratello e gli negava la tessera. In quel “nulla ideologico mafioso” ambiguamente preciso che è la sua Italia. 
Disse Zeri che si preparava la morte, come Caravaggio. Che entrambi la morte si erano sceneggiata, diretta e personalmente interpretata. È inevitabile, già Garboli lusinghiero lo voleva immedesimato nel Caravaggio, per il comune discepolato di Longhi, mentre lui s’è giustamente rifatto sempre a Giotto e Masaccio, e a qualche manierista freddo, Pontormo. Ma è vero voleva “morire da martire, rinascere da eroe”, disse il suo amico Zigaina, il pittore del Tagliamento. All’idroscalo di Ostia, che in latino è “vittima sacrificale”, dove aveva girato le scene erotiche delle “Mille e una notte”. Il set di “Ostia”, il film pasoliniano di Franco Citti, il posto è quello. Dove una baracca aveva in affitto per i piaceri. La foja insaziata imputandosi a colpa - “giura”, irrideva Kavafis al suo sé, ben più solo ad Alessandria, e poi, “quando giunge la notte col suo potere\ del corpo che desidera e reclama, fa ritorno,\ smarrito, a quel predestinato suo piacere”. Senza più, domani è un altro giorno – insaziabile è il materialismo naturale degli aborriti Usa: il sesso come evacuazione.
La colpa inconfessabile è un’altra, la voglia sacrificale. Del martirio che è uno stato di beatitudine, e s’intende fecondo, padre e madre. Già nel “Decamerone” s’era esibito come Mishima, con la benda alta sulla fronte. Come lui avrà inscenato la propria fine, ma allora per esibizionismo di segno opposto, non illuminato alla Sade ma nel buio polveroso. Per un trapasso alla natura angelica intellettuale – san Tommaso, che gli angeli dice intellectuales, riconosce loro un “motus cognitionis angelicae”, dei colpi d’ala.
Alcuni vogliono che Pasolini sia stato luridamente assassinato, tra il fango, gli oli di motore esausti, i veleni delle gomme bruciate e i preservativi, da una squadraccia di fascisti, marchettari e borgatari. Martirizzato, di domenica, il giorno dei morti. Oriana Fallaci assolutamente lo voleva, “il cobra col golfino di lana”, la minuta “maledetta cretina” di non lontani versi dello stesso Pasolini, che non volle farlo morire se non immolato, per mano di sicari, sull’altare della Resistenza. È un’idea. Persuasiva: gli hanno fatto trentatre processi, e non riuscendo a condannarlo lo hanno eliminato. Che libera gli ultimi istanti del poeta dal mordi e fuggi genitale, impietoso. Non senza verità: il suo misero compagno Pelosi, carnefice e vittima (un minorenne, questo si trascura), disse che il poeta l’aveva aggredito con una tavola, ma non presentava ferite, neanche una sbucciatura, un graffio, un livido. È tuttavia proposta in sostanza per scantonare - stiamo parlando di Pasolini o di Fallaci?
(
continua)

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