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mercoledì 16 febbraio 2022

Secondi pensieri - 474

zeulig

Borghesia - Il borghese è “ciò che ha”. A Wilhelm Meister non può che apparire così, ma cos’è che spinge ad avere, cioè a fare?
È una dottrina aristocratica che il giovane di Goethe riflette e non si saprebbe dargli torto. Quella del nobile prussiano Ludwig August von der Marwitz, che col suo Kurmärchischen Kreis (Rahel Varnhagen, p.43), che combatteva la riforma borghese di Hardenberg e Stein. Non appartenendo a nessuno stato, o condizione sociale, il borghese non rappresenta nulla, cioè non è nulla. Beh, up to a point. Non è persona pubblica ma privata – ed è per questo che l’opinione pubblica, nell’era dell’opinione pubblica, è privata: la manifestazione delle idee all’epoca dell’opinione pubblica è riservata e privata, non si dichiara, non si situa, ma procede, benché ingombrante, mascherata. Questo è già più vero dell’altro. Ma non perché la borghesia sia timida e demandeuse. La borghesia si esteriorizza, dirà Wilhelm Meister, attraverso la Bildung, la cultura. Sì, ma anche qui up to a point.
 
Heidegger metafisico - L’Europa avrà vissuto il periodo più lungo di pace e più proficuo di benessere materiale di tutta la storia, ma è vuota. Il dopoguerra è vuoto di idee, di energie, perfino di fatti. Hitler con la soluzione finale e gli Americani con Hiroshima hanno amputato la storia, ne hanno troncato le articolazioni nervose. Hanno avviato la de-civilizzazione dell’Occidente – è questo il problema – e la valanga non si arresta. E non per i mezzi messi in opera ma per la volontà tranquillamente distruttrice, senza limiti, che era dietro i mezzi, che ha sconvolto ogni senso possibile di giustizia, e quindi dell’ingiusto e del nemico. Ciò spiega la sensazione di stolidità che il Filosofo dà, furbo montanaro svevo che conquista il mare calandosi in tutte le barche pronte a accoglierlo, dai domenicani a Hitler, passando per Husserl e l’indicibile ebraico. La filosofia, una certa filosofia, nonché non porre argini è invece corriva. Osserva Montale il Poeta che “il fenomenologo chiuderà ‘tra parentesi’ il mondo reale (per lui irreale), dando però attiva collaborazione a quello che succede nel mondo senza sporcarsi”. O la filosofia che Nietzsche, ancora lui, aveva già ridotto agli atti personali dei filosofi: “Questo sistema è morto e sepolto”, insegnava a Basilea, “ma la persona dietro a esso è incancellabile”.
Che è tutto il contrario di quanto intendeva dire - su Nietzsche pensatore bisogna pur dire una parola definitiva. Partendo dalla curiosa storia che Dio sta lì, con la barba, un Mosè di Michelangelo un pochino più in su nella gerarchia, oppure non esiste. Certo che esiste, sennò l’uomo che ci sta a fare? Chi lo dichiara morto, Nietzsche per esempio, è per questo motivo: che non esiste più l’uomo, in quanto Nietzsche e in quanto essere umano, rimane la bestia – non dice che Dio non esiste, dice che è esistito ed è morto. Di più ha capito Hannah Arendt, che è anche la più vera cristiana che ci sia: “Starei meglio con chi non mi invitasse a considerare il poderoso retaggio della filosofia come un semplice “errore del passato””, anche perché, “dopotutto, nessuno ha cercato di predicare la virtù cristiana dell’umiltà prescindendo dal Dio cristiano”. Ma così è dell’esistenzialismo, si può dire che è morto e sepolto, mentre Heidegger è quello che è.
Non si ha voglia di cercarlo. Nemmeno d’incontrarne la presenza sui sentieri noti, i suoi luoghi dicono abbastanza senza le sue tracce. Che sembra bizzarro, ma non senza un motivo. Tutte le verità di Omero sono “dire la verità”, e anche alétheia, lo svelamento. Non c’era in Omero la legge astratta e immutabile, e non c’era l’individuo, che tutto sa. Ognuno si lasciava andare, si lasciava fare, e la sua verità era confidarsi. Si scopriva in quanto ci si scopriva. La verità di Heidegger, prendendolo al suo stesso pensiero, è semplice: togliersi la maschera. E allora coraggio, Filosofo, parlaci di te stesso, dì quello che sai. Ma egli sicuramente non lo dirà. A nessuno lo dirà, non solo al primo venuto. In realtà lo dice con il silenzio, questo è il suo svelamento - il silenzio parla, eccome: lui è uno che non ha perso la guerra. Molte cose stanno bene in altri ambiti. La tradizione, la campagna, la vita semplice, la vita agreste, l’innocenza - anche Pasolini ne ha nostalgia e le rimpiange, con affettazione ma pazienza, sono state una sua gioventù. E la verità non si esaurisce nella comunicazione. Quella di Goebbels, la verità del nazismo, ha creato infatti un mondo di cartapesta, la propaganda. Che è un mondo reale, ma diventa di cartapesta quando è la verità di chi lo crea.

Il Da-sein è un po’ l’An-sich, che ha lunga tradizione, Esser-ci e In-sé. Negli anni 1830 tormentava il principe Peter di Büchner, un secolo dopo la Felice di Kafka. Frastornata, è vero, dalla Casa del popolo berlinese, e dalla signorina Gertrude Welkanoz, che, affascinante e irresistibile sionista, teneva le ragazze sedute per terra, artisticamente drappeggiate, ad ascoltare estatiche, in piena guerra, letture estetiche. La guerra è ora lontana, almeno sembra, ma il Filosofo Secondo si avvicina all’Eco minore dei “Filosofi in libertà”: “Ed il suo esistenzialismo,\ trasformato in misticismo,\ è finito in modi rei\ con il ‘nominar gli dei’”. Il suo linguaggio è un prato peloso, ma potrebbe anche non nascondere serpenti.
L’essenza della verità, della famosa conferenza del 1930, è che “la libertà ci rende veri”. Prima il Filosofo era per “la verità ci renderà liberi”, che invece è insidiosa. Non si può dire che la falsità ci rende liberi. E l’Esserci è, al cinema, “Being there”, con l’immortale Peter Sellers, come dire non esserci. A volte è meglio - non esserci. “Giocolini di filosofia”, avrebbe detto il leggero Algarotti. Gioca con le parole, i giochi di parole sono il cuore dell’ambiguità, bisogna scriverlo a Wittgenstein – che, anche lui, avrebbe voluto poetare la filosofia, ma sapeva solo fischiettare. Solo un Dio ci può salvare. Cioè solo Dio, il Filosofo non è politeista. è il riconoscimento onesto dei propri limiti, l’appello alla fine alla fantasia, a un po’ d’immaginazione nel mondo sordo. L’abbandono della metafisica non ha dato più immaginazione, più creatività, ma un adagiarsi nella ragione mondana.

“La cosa in sé” l’ha già trovata Lear all’inizio della follia - è l’uomo unaccomodate. L’Erlebnis era di Buber, il vissuto. Ma originariamente di Dilthey. Aufhebung, il dépassement, è di Hegel, che Heidegger non pratica. Ma poi l’esistenzialismo, brutta parola, nella sostanza è in Pitagora, la cui vera idea della perfezione è che l’esistenza sia identica all’essenza. A Parigi, lamenta il rettore Taubes, tutti vogliono lavorare su Heidegger, o su Nietzsche, anche quelli che non sanno il tedesco. E il nichilismo è saggezza di Achille Campanile: tutti fabbrichiamo un morto, ciascuno il suo.

Improvvisato e perfino imbarazzante è il Gestell, l’“imposizione”: il Gestell tecnologico che si è impadronito del mondo (natura) e ci governa, da sudditi senza scampo o via di fuga, opera perversa dell’umano apprenti sorcier. Quando è evidente il contrario: la natura (mondo) non è servile, anzi non è benigna, mentre la tecnica lo è – la tecnica l’ha inventata l’uomo, è opera dell’uomo, è sua estensione. Tanto peggio se, come opina Ferraris, la sagra del Gestell è un derivato della furba autodifesa di Speer al processo di Norimberga il 31 agosto 1946: sono colpevole, ma solo di non avere contrastato la tecnologia padrona. 

È la forza del pensiero orale, delle antiche scuole, Aristotele, Platone et al.. Di allievi e uditori non solo donne, stante il suo fascino virile, su un vasto pubblico giovanile ai suoi corsi e seminari, e nei colloqui, con Celan, con René Char, in Germania, Francia, Italia, da Roma nel 1936 alla Provenza negli anni 1960. Con le colture dei poeti, comunque affascinanti, Hölderlin, Rilke. Con la Nietzsche Renaissance.


Pensare - “Pensare è vedere”, diceva Francesco De Sanctis.

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