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sabato 9 luglio 2022

Johnson, o del jingoismo inglese

Johnson non è un cavallo pazzo. Cioè, lo è ma non la figura degli scacchi, ben delineata alla vista e inclusa in un quadro di regole. È stato eletto dal suo partito, prima che dall’elettorato. Lo stesso che ora se ne sbarazza fingendo sdegno, in quanto opportunista, imbroglione, ubriacone, e  imprevedibile – dopo averlo mulutato con 50 sterline, un divieto di sosta, per i festini nel lockdown. Ma non lo è diventato, lo era.

Ha passato le ultime ora a brigare contro l’accordo da lui stesso firmato a Bruxelles sull’Irlanda del Nrod, sulla (relativa) autonomia dell’Irlanda del Nord dalla brexit radicale con l’Unione Europea. Una Brexit nella Brexit, per la quale vuole restare in sella altri tre mesi. In linea con la sua attività di corrispondente da Bruxelles negli anni1990, faceto inventore di scemenze anti-europee che però facevano l’opinione del “Times” e del “Daily Telegraph”, e poi dello stesso partito Conservatore.

Johnson nasce europeista. Figlio di un diplomatico europeista, cresciuto a Bruxelles, dove il padre prestava servizio, giornalista, come il bisnonno ottomano Ali Kemal, si dichiarava europeista lui stesso ancora nel 2016. L’anno dopo si candidava a far fuori Theresa May da Downing Street, come il duro della situazione, capace d’imporre a Bruxelles nella fuoriuscita tutto ciò che serviva all’Inghilterra – al partito Conservatore inglese. Il partito Conservatore inglese doveva inseguire e disinnescare Farage, l'atterraggio del populismo estremista? Ecco, qui è il problema: del jingoismo inglese, nell’anno 2022 – proprio inglese, nemmeno britannico.

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