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sabato 30 settembre 2023

La mancanza di senso della realtà in Italia

Un pamphlet, del 1944, “l’anno più tragico della nostra storia”, pubblicato a puntate sul ”Popolo di Roma”, e poi in volume l’anno dopo. Ripreso da Sellerio nel 1986, e da  Donzelli venticinque anni dopo, nel 2011, perché il suo tema è sempre di attualità: “La mancanza di senso della realtà del popolo italiano è un fatto che stupisce qualsiasi osservatore. Questo popolo ritenuto o che si stima pratico, realistico, machiavellico…” è solo ingenuo – non superficiale?
Più problematiche, ma sempre irrisolte, altre due analisi. L’addebito alle classi dirigenti postunitarie di un vacuo politicantismo, radicando l’idea di uno Stato alieno, e anzi nemico. Senza effettivamente impegnarsi a “che l’Italia avesse un popolo più o meno civile, più o meno costituito in nazione”. E in particolare in quel momento, della gerra civile al Nord, e del’Italia staccata tra Sud e Centro-Nord. Con l’evocazione di un’identità meridionale già precipitata nell’ignavia, la sua domanda politica delegando a politici remoti, e al parassitismo.
Alvaro era, è il punto di Isnenghi che introduce la riedizione, “per le autonomie, per il. fare da sé, il saper fare da sé”. Che altro poteva essere – che altro può essere chiunque stia al Sud, o vi guardi? Quanto al primo punto, a ottant’anni di distanza stranamente si conferma che l’Italia non ha mai chiuso in realtà i conti col fascismo. Nemmeno per le leggi speciali, con Matteotti, Gobetti, i Rosselli, con gli ebrei. Nemmeno per la guerra, insensata come atto e poi condotta male e malissimo (in Grecia, in Jugoslavia, in Albania, in Libia. Non ha mai fatto, come oggi si dice, autocoscienza, e ha perso l’occasione, nel giudizio, già all’epoca di Alvaro.
Meloni oggi al governo è l’esito, l’impersonificazione, di questa ambiguità: nella modernità –nel realismo - una persistenza acuta del non detto, non pensato forse ma non risolto. O, per stare su temi più anodini, più semplici anche da gestire: il debito, che ogni pochi anni strangola il paese, da centosettant’anni ormai, si può dire, dall’unità. O le mafie, una gabbia, un’autentica prigione – prigione in senso letterale, giudiziaria, carceraria – con cui si avvolge il Sud. L’atlantismo cieco (“non abbiamo scelta”), a nessun fine se non l’obbedienza a Washington, al costo da alcuni decenni di uno-due miliardi l’anno, nelle “missioni umanitarie”, con le armi in pugno, come è ora d’uso chiamare le guerre.
Corrado Alvaro, L’Italia rinunzia?, Donzelli, pp. X-86 € 13

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