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venerdì 13 novembre 2009

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (47)

Giuseppe Leuzzi

L’Inter nel 2006 ha avuto un prestito di 120 milioni su pegno di una società valutata 40 milioni – non scorporabile peraltro, non vale nulla fuori dell’Inter. Al Sud, scrive il “Corriere Economia” lunedì 9 novembre 2009, “sono richieste garanzie reali fino a venticinque volte il prestito”.

Già nel Seicento il Sud fu “las Indias de por acà”. Il Sud come Indie deve molto ai gesuiti, che vi s’inventarono missionari: “Queste Indie di qui”, si scrivevano, “queste montagne della Sicilia sono Indie”, “India italiana”, “Indie d’Abruzzo”, “Indie di Calabria”, “in queste Indie”. Non avevano il coraggio d’imbarcarsi, ma non volevano restare indietro a Francesco Saverio e Matteo Ricci.
Pietro Tacchi Venturi, il gesuita siciliano ricordato in “Fuori l’Italia dal Sud” per la sua “Storia della Compagnia di Gesù in Italia”, nella quale registrava più di un rapporto di questo tenore, fu fascistissimo. Accoltellato nel 1928 per un’oscura lite patrimoniale tra gesuiti e paolini, fece valere l’incidente nella stampa di regime come un attentato della massoneria, per il suo fervido sostengo alla guerra antimassonica di Mussolini.

Feudalesimo? Il mondo della Grecia post-bizantina nel “Mani” di Patrick Leigh Fermor è ingovernabile. Per non essere stato governato da secoli, dai padroni assenti? È possibile, ma non c’è nulla di feudale nelle società meridionali, al contrario esse sono tribali e anarchiche. Al più sono vittime della “commenda”, ecclesiastica, cavalleresca, la signoria assente, che però è tarda. Il Sud al contrario si può dire vittima del feudalesimo mancato, senza cioè un’organizzazione strutturata del territorio, sia pure attorno a un padrone.

Soldati, “Fuga in Italia”, 81-3, ha una chiave che, ora che si può dire, non è disprezzabile: non il latifondo c’è, c’è stato, al Sud ma piccoli proprietari ricchi e avari. Che vivono nel lerciume, risparmiano sul cibo. Vittime, ma del vittimismo. Dell’ignavia, dell’ignoranza, degli spropositi in materia di feudalesimo. Quando si vede a occhio che non hanno nemmeno il vincolo della mezzadria, solo quello dell’avidità. Tutti piccoli proprietari, chiusi nell’abitazione e famiglia, senza idee e senza progetto, se non l’avarizia, l’accumulo. Non sanno nemmeno loro di che cosa. Un mondo verghiano, o pirandelliano, della roba sordida, era tutto scritto.
È il limite del democraticismo: le viscere putride della società vomitano senza fine masse voraci e violente, sono il “fuori dentro” che tormenta Canetti, per violenza diretta contro altre persone, oppure indiretta, sporcizia, disordine, prepotenza. Il che non essendo fisicamente possibile, avviene per un meccanismo autoriproduttivo: i brutti, sporchi e cattivi sono anch’essi in numero limitato, ma la barbarie produce barbarie.
Tutti sanno da molto tempo ormai leggere e scrivere, fanno la doccia, si nutrono bene, si curano. Perché dunque nessuno canta? Il problema delle società governate dalla mafia, non si può dire, ma è il problema delle società rivoluzionarie. La mafia non diventa classe dirigente perché sa solo generare mafia, come la revoluciòn ha bisogno di più poveri e più disordine.

Mafia
Dice bene Sciascia alla Camera il 6 marzo 1980: la mafia non insorge nel vuoto dello Stato, “insorge nel pieno dello Stato”.

Henner Hess, autore di “Mafia”, 1973, sociologo apprezzato da Sciascia, inventa il mafioso che non sa di essere mafioso. Mentre è il contrario: il mafioso pretende di essere mafioso, anche il più stupido si ritiene più intelligente, abile, furbo.

La mafia di Woody Allen spende poco per la cancelleria, ha una sola segretaria, che condivide l’ufficietto con una compagnia di danza, e non paga il telefono. (“Complete Prose”, pp.153-157).

“Johnny Stecchino” ridicolizza per la prima volta il tutto è mafia. Il falso invalido sta a Prato. A Palermo si tirano quantità sterminate di coca. Mentre il mafioso ha una doppia personalità, tra la Madonna e l’assassinio.

Il pentimento (i rimorsi) è proibito da Spinoza, Ethica, III, Prp. XVIII, Schol.II: dà dolore e non giova agli altri. Ai giudici evidentemente sì.
“L’Italia dei pentiti” è già Fruttero & Lucentini 1987, o 1988. O in Longanesi, dopo la guerra?

I cinesi la praticano da oltre un secolo, la ristorazione in serie. Prima San Francisco, poi a New York e Londra, e ora a Roma e in tutta Europa, dove la licenza è automatica, basta avere la residenza, hanno aperto a centinaia in ogni città quei ristoranti grandi e bene arredati dove nessuno entra. L’affare è pagare l’affitto, a una finanziaria di diritto lussemburghese, in grado di comprare locali molto vasti nei centri storici. E assortirli di mobilio, vasellame e posaterie, con commercio dell’emigrazione clandestina. L’affare è il riciclaggio. La mafia, con tutte le sue grandezzate, ha solo imparato, in ritardo. Ora, certo, è difficile che la pizza non sia indigesta, anche perché è dappertutto eguale, e pre-lievitata: se non è un franchising mafioso ne ha tutte le apparenze.

C’è una sociologia che cerca cattedre con il figlio maschio dei mafiosi: la mafia è anzitutto una demografia, di figli maschi, ogni figlio un fucile – oggi un mitra, un dinamitardo. Ma s’è sempre saputo, in tutto il Mediterraneo. Leigh Fermor, “Mani”, ne fa un gustoso capitolo del suo viaggio nella montagna del Taigeto.

Le mafie nel Mani sopravvivono per certe mitigazioni (codici). Altrimenti è lo sterminio continuo: si vince una faida in attesa che un’altra famiglia si alzi e lanci la sfida.

leuzzi@antiit.eu

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