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giovedì 12 novembre 2009

Il mondo com'e - 26

astolfo

Grecia - È un giustificativo. Alla Grecia “antica” (non a quella “classica”) si rifanno i confusionari, da Federico di Prussia che lha inventata a Hölderlin a Solženicyn, queli che non vogliono o non sanno ammettere la democrazia, e non sanno rifiutarla, quelli che (il povero Hölderlin insdegna) non possono accettare la Rivoluzione. Ma cos’è la Grecia “antica”, un mondo che non si curava della storia (Spengler)? È un salvacondotto.
C’è anche la possibilità che sia quello che dice Savinio (Asteriotes”, eccetera, in “Nuova Antologia”) a proposito del mondo di Omero, cortese, intelligente, urbano, e allora sarebbe un’incongruenza tristissima per tutti gli amanti della rusticità.
Bisognerebbe abolire la Grecia “antica”, e forse la stessa Grecia. Ola classicità? Se si vuole essere qualcosa di diverso da quello che ormai si è, europei e occidentali. Da quale canale sotterraneo nasce questa corrente antilibertaria? Ammesso sempre che Savinio abbia ragione a vedere nella Grecia presocratica l’essenza dell’Europa. Ma anche se così non fosse, considerato anche che poco si ha fatto sapere di sé (ancora Spengler), è sicuro che i suoi appellanti sono alla ricerca disperata di un titolo di nobiltà, che consenta loro di non dirsi europei senza cadere nella barbarie.

Italia - Se “ogni società è edificata su un poema” (Octavio Paz, Los hijos del limo, 91), su quale poema sconclusionato è fondata l’Italia? Questa domanda retorica d’obbligo è anche la risposta: certo che l’Italia è fondata su un poema, ma l’essenza di questo “poema” è di dirsi che l’Italia non è fondata su un poema, non è fondata, non è. Per non aver fatto mai la rivoluzione, rifatto le teste ai padroni. Per un residuo di Kulturkampf, per non aver fatto la Riforma e cacciato il papa. Per essere ancora troppo composita. Per non aver fatto l’esame di coscienza dopo la caduta del Muro. Sui motivi anche, che pure sono evidenti, la risposta d’obbligo si vuole sconclusionata.

Stupro - Se la donna subisce o acconsente, il falso problema è stato impostato da Freud con l’aneddoto di Sancio Panza governatore di Barattaria. Come si sa, ma non del tutto.
Freud tratta dello stupro, incidentalmente, in due casi. Entrambi al capitolo “Sbadataggini” del volume divulgativo “Psicopatologia della vita quotidiana”. Nel primo cita una sua distrazione con una paziente centenaria, cui giornalmente faceva un’iniezione di morfina al due per cento, soluzione blanda, prima di versarle in un occhio alcune gocce di collirio: un giorno, pescò con la polpetta del collirio alcune gocce di morfina e le versò nell’occhio. Nulla di grave, se non per la riflessione di Freud che la stessa parola sta in tedesco per sbagliare e violentare (vergreifen). E siccome la sera prima un giovane paziente in analisi gli aveva raccontato di avere violentato in sogno la madre, Freud ritiene di aver ripetuto macchinalmente con la centenaria la fantasia edipica del giovane.
Lo stupro è dunque una cosa da ridere, nell’appiattimento del reale in analisi.
Due pagine dopo, sempre al capitolo “Sbadataggini”, Freud parla della “tendenza all’autoannientamento”, che è estesa anche se raramente suicida: “Anche la cosciente intenzione al suicidio si sceglie il proprio tempo, i mezzi e l’occasione; con ciò concorda perfettamente il fatto che l’intenzione inconscia”, dice Freud, solo attende “il verificarsi di un’occasione che si possa addossare parte della causalità determinante e che, occupando le forse di difesa della persona, possa liberare l’intenzione stessa dalla loro pressione”. E qui Freud collega al suicidio lo stupro, con la nota su Sancio Panza governatore dell’isola di Barattaria: “Il caso allora in fondo non differisce dall’attentato sessuale contro una donna, ove l’aggressione del maschio non possa essere respinta con l’intera forza muscolare dell’aggredita perché una parte dei moti inconsci del suo animo favorisce l’aggressione stessa. Si dice infatti che una situazione simile paralizza le forze della donna; non rimane che aggiungere le cause di tale paralisi”. La sentenza di Sancio Panza è “psicologicamente ingiusta”, dice Freud, non di più. Opinando, o lasciando opinare, che “le cause della paralisi” stiano nell’intimo consenso dell’aggredita, se non nel piacere. La nota si limita a sintetizzare l’aneddoto del “Don Chisciotte”, parte II, cap. XlV: una donna che lamentava d’essere stata aggredita e stuprata riceve da Sancio la borsa dell’aggressore, e quando questi, invitato dallo stesso Sancio, fa per riprendersela, la donna con grande forza glielo impedisce. Ragione sufficiente per essere condannata dal salomonico scudiero.
Ben più attento Michelet cinquant’anni prima, che al capitolo “Il ragno e la farfalla” de “L’amore”, non osa nominare lo stupro, ma si spinge a considerare “mezza violenza” anche il caso dell’adultera circuita. Se infine essa decide di denunciare l’uomo, Michelet immagina che l’amica – sensale, tentarice - la sconsigli: “Tutti ne rideranno. Se anche ti credessero, ne rideranno”. E la legge? “Le giurie in questi casi richiedono prove più chiare della luce del sole. Più di uno invidierebbe il colpevole. La gente sempre parte dall’idea che anche quella che resiste di più acconsente nel suo intimo, almeno per un momento”. Peggio ancora “se ha la sfortuna di restare incinta”. Il “consenso”, spiega lo storico, verrà esatto da qualche leggerezza, cochetteria, sguardo imprudente. “Sono arrabbiato con Cervantes”, conclude Michelet, “che ha, in altri rispetti, tanto ammirevole buon senso”.
La forza che la donna giudicata da Sancio mette a difesa della borsa in tribunale, in pieno giorno, senza paura, “non prova affatto che essa sarebbe stata capace, se sorpresa e terrorizzata nella notte, di difendere allo stesso modo il suo onore”. Cervantes “ha lusingato un brutale pregiudizio, e corteggiato una volgare risata, nel giudizio imposto dal suo Re Sancio alla ragazza che si era rivolta a lui”. All’opposto, anche se non la condivide, Michelet cita una vecchia legge tedesca, della Svevia, che condannava a morte chi attentava a una vergine, anche soltanto la “scapigliava”: “Il crimine consiste nella brutalità dell’attacco, nella mano forte stretta su un essere timido, che si padroneggia in anticipo per la troppa emozione”. Il criterio è semplice: “Chi pensa di provare il fatto che la donna può difendersi, ne parla come di una cosa fredda e senza vita, senza emozioni, come un pezzo di marmo o un blocco di legno”. Senza considerare la sorpresa, la minaccia, il terrore, la brutalità, anche la crudeltà.
Michelet dà poi una lezione all’analista Freud: “Dovremmo lasciare alla scolastica l’assurda opinione che disegna una linea precisa, pone una ben definita diversità, un abisso, tra consentire e non consentire. In una questione così miscelata di influenze del corpo e dell’anima, così miscelata di libertà e compulsione, ci sono infinite gradazioni, e non so quanti stati intermedi e misti nei quali, non consentendo, tuttavia lei soggiace”. Ho passato la vita, conclude Michelet, “ad affermare i diritti della mente contro il nauseante materialismo della mia epoca”, e tuttavia è un fatto che il corpo c’è, e “il corpo, si ricordi, anch’esso agisce”. La volontà non è una barra d’acciaio, o un catenaccio, che uno apre e chiude. La volontà “sarebbe molto più giusto compararla a una cosa infinitamente suscettibile di salire e scendere, come un termometro”. Se alla “improvvisa prolungata agonia” della violenza succede “una sensazione non dolorosa”, questa è la trentesima contorta parte della volontà, o la centesima, che non si può dire consenso.

Vienna – Era prima della Grande Guerra il cuore dell’antisemitismo, antisocialismo, sciovinismo, imperialismo. Lo ricorda Popper nell'intervista nel 1994.

astolfo@antiit.eu

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