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giovedì 1 luglio 2010

Il mondo com'è - 39

astolfo

Afghanistan – Kipling, nei racconti che tutti dovremmo aver letto, quelli della frontiera e “Kim”, raccomandava di tenersene alla larga. Gli inglesi lo sapevano bene, per lunga esperienza. Che tuttavia riuscirono a un certo punto a mettere insieme le tribù sotto un re. Ma non si capisce ancora perché. Per l’indirect rule, il sistema britannico di far governare le colonie dagli stessi vassalli? Ma l’indomabilità è rimasta inalterata, l’ingovernabilità.
Contro gli inglesi da ultimo l’ultimo re, Zahir, si mise con Mussolini. Al re dell’Afghanistan Mussolini fece educare la futura moglie, una sola correttamente, al Poggio Imperiale, e le figlie che ne nacquero. Il principe Daud, cugino di Zahir, era camicia nera in gambali, al tempo di Mussolini e dopo, sempre in odio agli inglesi. Finché nel 1973 non dichiarò la repubblica: era succeduto nel 1963 agli zii nel governo del paese e dello stesso re Zahir, e giudicò che la repubblica avrebbe fatto meglio gli interessi delle tribù. Per essere spazzato via cinque anni dopo dal partito Democratico, cioè comunista, che chiamò le truppe sovietiche.
La guerra per bande è da sempre l’unica forma politica, se si eccettua l’interregno di Zahir, breve seppure lungo cinquant’anni. Sconfitta l’Urss nel 1989, e il governo comunista di Najibullah tre anni dopo, la guerra riprese nel 1994 tra il presidente Rabbani e il primo ministro Hekmatyar, forte del fondamentalismo religioso. La liberazione non è facile - il trisnonno di Cases, rabbino a Reggio Emilia, la città del tricolore, si presentò a Napoleone Primo Console per rimproverarlo di aver distrutto l’identità ebraica con l’abolizione dei ghetti e delle interdizioni. Nel tribalismo afghano la religione era un fattore secondario, e anzi inesistente. Ma la guerra fredda comportò a un certo punto il riarmo morale dell’islam. Dapprima in Pakistan, dove gli Usa, col generale Zia ul Haq, costruirono tra il 1975 e il 1985 ventimila tra madrasse e moschee. Dal Pakistan lo stesso oltranzismo religioso passò in Afghanistan: dapprima tra i mujahiddin antisovietici, poi con Hekmatyar, infine con gli studenti di teologia islamica, i talebani.
La sostanza della questione la spiega un contadino a Robert Byron nel Viaggio in Afghanistan: “A quale governo appartenete?” “Al governo dell’Inglistan.” “Inglistan? Che paese è?” “È la stessa cosa dell’Indostan.” “L’Inglistan è una parte dell’Indostan?” “Sì.” Non ci sarebbe stato male, sarebbe anzi stato logico che l’Inghilterra facesse parte dell’India, guardando alle rispettive dimensioni. E comunque non c’è altro orizzonte che locale: l’Afghanistan non è più in nessun grande gioco, e le sue donne, se vogliono, possono liberarsi da sole. Ci sono troppe assurdità in questa eterna guerra di liberazione dell’Afghanistan. Di cui non si sa nulla (l’unico libro sull’Afghanistan, edito da Feltrinelli, è una congerie di assurdità, su petrolio, gas, potenze argentine, e forse non è innocente). Ma, per quello che se ne sa, non vuole assolutamente essere liberato.

De Benedetti – Quanti dei suoi giornalisti credono alle accuse che giornalmente riversano su Berlusconi oggi, ieri D’Alema, e prima ancora su Craxi? Pochi, sperabilmente. Che si vuole supporre sorpresi all’inevitabile conclusione che operano in malafede: sono presi al laccio del loro personale individualismo, del laicismo inteso come individualismo.
I suoi giornali sono quelli creati da Scalfari. Il quale li ha improntati a un meccanismo di sfruttamento della psicologia laica, della sua dote-debolezza che è l’individualismo incondizionato. Di principio ma anche pratico. Che non si saprebbe dire quanto benefico (l’autonomia del giudizio) e invece speculare all’arricchimento facile e all’anti-democrazia sui cui pretende di vigilare. È un laicismo che non libera ma tiene soggiogati, nella paura costante: muore la democrazia con Berlusconi, o chicchessia, e muoriamo noi alluvionati, oppure disidratati, muore la banca, muore la finanza, che pure è raccomandata, sono morte le istituzioni, già forse alla nascita, tutto vi è morto o vi muore. Nessun lettore, oltre che nessun redattore, è mai cresciuto civilmente (laicamente) con i suoi giornali, e anzi la tendenza è a fuggirne: tutti diventano “comunisti”, qualcuno fascista dichiarato.

Geopolitica – Cosa prepara il suo ritorno? Il ritorno della tribù, del territorio?
È ritornata via Usa, l’ultimo paese da cui la si aspetterebbe, essendo anche il più recente, forgiato unicamente come nazione. Come unità politica cioè, e volontà comune, di popolazioni diverse e spesso nemiche, e tutte non autoctone. Quindi non è una petizione di principio, è una ideologia - un’arma.
È riproposta come utensile di “più” democrazia – comunitarismo, eccetera. Quando invece si sa, tutti lo sanno, che è il moto perpetuo della guerra. È uno strumento di sovversione, ecco cos’è. Forse lo strumento principale di governo del mondo dopo il passaggio degli imperi ideologici. Il Tibet contro la Cina. Che guarda a Taiwan. Il Kashmir contro l’India. L’antislavismo contro l’Europa. Con l’implausibile filo-islamismo pro albanese e turco. Come già i palestinesi, per un cinquantennio, contro il mondo arabo.

Nazione - È friabile. È concetto moderno, e non ben radicato. Legato ancora all’etnia, alla tribù, al mito del sangue, identità troppo minute e selettive per sostenere la nazione. Gli antichi romani erano tribali ma come “casta aperta”, una gigantesca oligarchia. I greci, che pure avevano in comune la storia (i poemi), la lingua, e la classificazione delle istituzioni, cioè il linguaggio politico, trovavano arduo identificarsi in una nazione. Il fattore politico, o della convenienza, è preponderante: la nazione più forte sono gli Usa, che prescindono dai fattori etnici e perfino dalla lingua, ma identificano un interesse comune, sostanziato nella forte Costituzione.

Occidente - L’Occidente è due archetipi, Socrate e Gesù Cristo, entrambi vittime di giudici ignobili. Cristo anche in Appello e in Cassazione.

Ex-post, nella storia greca da rifare, l’Occidente si fa risalire a Salamina, 480 avanti Cristo, o a Maratona, 490 - e perché non a Platea, 497? alle Termopili gli spartani di Leonida furono sconfitti dagli arcieri persiani, è sul campo di Platea che i greci si sono rifatti. La scoperta dell’Occidente è recente, posteriore a quella dell’Africa. L’Europa Bellavista o Belvedere viene con gli Inni omerici, ed è la Grecia. Si vuole che cominci a Maratona, o a Salamina che sia, in una battaglia di libertà contro la tirannia asiatica, mentre comincia a Troia, in una lunga guerra civile. Tra l’altro per una bella Elena che forse era asiatica, dell’Egitto dalla parte dell’Asia, così confidarono i sacerdoti del faraone a Erodoto.

Resistenza – Sono entrati nella Resistenza i repubblichini, a opera di storici e alte cariche dello Stato ex Pci, ma non i liberali, i preti, i militari: Pizzoni, Brosio, Montezemolo, Cefalonia, Porzus. Destra e sinistra sono in Italia in altalena, l’una tiene l’altra. Resistono alla libertà.
Essendo questa Resistenza il mito fondante della Repubblica, se ne capisce la debolezza.

Sinistra – Si dice della cultura che in Italia, Francia, Germania, Usa è di sinistra e non di destra. Lo dicono anche i conservatori, in linea con il loro ruolo di analisti del reale. Ma è una cultura sull’orlo dell’abisso, cioè del nulla, e quindi irrilevante. Propriamente chiacchiericcio: tanti Diogene che smanettano in pubblico.
La sinistra soffre di una scissione permanente tra realtà e utopia, si è sempre detto, tra bisogni e idee, tra politica e intelligenza. Ma ora certo per un motivo diverso che un secolo o due fa. Per l’incapacità del ceto politico espresso dalle masse? Per una superfetazione della sua cultura, ingravidata da ormai quassi un secolo di supremazia indiscussa, benché rubata, opera prevalentemente di Willi Münzinger e il suo formidabile Cominform?
Una supremazia culturale indiscussa, in una situazione generale peraltro ostile (prima della guerra i fascismi, dopo la pax americana), è in sé indice di forte potenzialità politica. Ma poco resta di questa supremazia, in letteratura, nella critica, nella storiografia, nella filosofia, nel cinema, nelle arti, nelle arti applicate, nella musica, specie la musica pop, negli stili di vita: è più un fatto organizzativo e propagandistico – Willi.
Forse il décalage è permanente, a sinistra, fra l’utopia e la realtà, malgrado l’egemonia culturale. La sua realtà è indiscutibilmente modesta: redditi, consumi, beni durevoli, la scuola stessa e la sanità, e quindi ogni esigenza ugualitaria, la sinistra non fa crescere i fattori. La sinistra è culturale – oggi solo massmediatica, forse ad arte – ma di una cultura senza radici nella realtà.
L’intelligenza conservatrice, da Kissinger a Sergio Romano, è invece parte della sua parte politica: la rispecchia e la influenza, la politica non la esclude ma la usa praticamente.

Sinistra-Destra – Tanta dottrina si risolve in Italia in indistinzione: diritti civili, diritti politici, minoranza e maggioranza, esclusi, non ci sono distinzioni. Come la sinistra ha trattato gli albanesi, rimandandoli a casa in aereo (un tempo si sarebbe detto in vagone piombato) o affondandoli,la destra non oserebbe nemmeno immaginarlo.
La passione politica è invece incoercibile, integrista. Intrattabile anche nelle minute occasioni, le più triviali. Non c’è un rapporto di causa ed effetto con l’indistinzione, con la cattiva coscienza?

Socialismo - È caduto con il comunismo, subito dopo, senza obiettivi, senza passione. Undici o dodici governi socialisti hanno retto l’Europa ex occidentale fino a qualche anno fa, e non un’idea, una sola, per la sicurezza, per il benessere nella globalizzazione, per l’unione europea, per le “guerre di pace” e gli altri affari internazionali. Solo la conservazione delle vecchie idee, fallite o superate dai fatti (la globalizzazione, l’immigrazione).

astolfo@antiit.eu

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