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domenica 27 giugno 2010

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (61)

Giuseppe Leuzzi

Perché non si fa l’invocata secessione della Padania? Malgrado i cinquanta miliardi l’anno di Luca Ricolfi che il Sud ruba al Nord - ogni anno la stessa cifra? non crescerà con l’interesse composto?
Non si fa non per il Sud, che non conta nulla. E al quale comunque peggio di così non può andare, peggio dell'unità. Non si fa perché la Padania diventerebbe un Sud, della Baviera, della Svizzera. Le farebbero pure pagare le tasse.
Si è Nord a condizione di avere un Sud. Il Sud senza la Padania diventerebbe invece il Nord di se stesso. Non avrebbe più scuse, si capisce che faccia la faccia feroce a Bossi.

Perché solo il Nord è razzista? Anche in Cina.

Perché solo il bianco è razzista? Anche il bianco dell’India.

Emigrano di nuovo i laureati meridionali. Ora che l’esodo riguarda i laureati Bossi non protesta. Rubano sempre il posto ai suoi figli, come insegnanti, presidi, medici della Asl. Ma per mantenersi devono ricorrere alla famiglia. Che dalla profonda Sicilia, la Calabria, la Campania trasferiscono le loro magre risorse al Nord, per affitti, mezzi di trasporto, supermercati e divertimenti.

“Haaretz”, il quotidiano israeliano, fa due pagine, e “Internazionale” le ripropone, su una Barbara Aiello, rabbina americana, che ha aperto una sinagoga a Serrastretta in Calabria. Sul presupposto che il 40 per cento dei calabresi, dice la rabbina, fossero un tempo ebrei, che l’80 per cento dei 26 milioni di italiani emigrati negli Usa fossero in origine ebrei, e che quindi gli ebrei in Usa… Il delirio della “ricottina” (la massaia va al mercato la mattina a vendere la ricottina, e si vede tornare la sera onusta di tesori, dopo una serie di compravendite). Mentre è vero che c’erano ebrei in Calabria, e ne restano molte tracce, architettoniche, alimentari, linguistiche, ma nessuno ne sa nulla. Nemmeno gli ebrei.

Il controllo del territorio
Il sincero democratico generale Nicolò Bozzo si fa tre anni in punizione, dice, a Messina, e poi, nel 1989, viene destinato al comando della Legione Calabria. Lo dice nel libro intervista con Michele Ruggiero, “Nei secoli fedele allo Stato”: “Nella sede meno ambita, meno desiderata, meno gratificante, meno tutto”, dice. E aggiunge: “La zona con il non invidiabile record dei sequestri di persona in Italia e in Europa”. Che ai carabinieri hanno sempre dato fastidio, si sa.
I sequestri erano opera di due-tre famiglie tra Platì e San Luca, due paesi della marina jonica distanti un’ora a piedi, mezza in macchina, facendo il giro dal mare: la magnificata Anonima Sequestri era piccola cosa, non era la Calabria, non era l’Aspromonte. Ma era impunita, questo sì. Che dobbiamo pensarne, era anche questo un complotto fra criminalità organizzata, terrorismo, massoneria e servizi segreti, come il generale Bozzo indulge a opinare?
In Calabria il generale è poi accolto bene, con grandi speranze della stampa e della società civile, dice, e messo in condizione di lavorare bene. Ma, ritiene, solo per merito suo.

Hugh Tommasi è un giovane di 17-18 anni che, prima di cominciare l’università, ha voluto vedere il paese di suo nonno. Americano quindi di seconda generazione, e senza più legami diretti con il paese, se non lontane cuginanze, che gli servono più che altro come punto d’appoggio. Ma, come tutti i giovani, non disdegna le uscite di gruppo, anche se la comunicazione è difficile, per il mare, il parco acquatico, le discoteche. In queste uscite incorrendo in tre distinti incidenti che l’hanno confuso sul paese del nonno, e un po’ disamorato in questa sua ingenua ricerca delle radici. Cioè l’incidente è lo stesso: il posto di blocco di carabinieri, la richiesta di documenti, i lunghi fermi in caserma per accertare l’identità del giovane. In tre comuni diversi, ma in tutt’e tre i casi con la perdita di alcune ore e qualche ruvidezza.
Hugh non è abituato a essere fermato senza aver commesso nessuna infrazione, in America non si fa. E non porta il documento d’identità perché non ce l’ha. Cioè ha il passaporto, ma non lo porta mai in giro per non perderlo. Ma non ne ha mediato l’idea che i carabinieri controllino il territorio, per reprimere la malavita. Ha ricavato l’idea di un paese dove il sopruso è libero.

Sudismi\sadismi. È perfetto Angelo Panebianco sul “Corriere della sera” il 24 giugno:
IL TEMA VERO: IL SUD ARRETRATO\ LA QUESTIONE NON È PADANA.
Dice, tra l’altro: “Non si può avere una «questione meridionale» che duri ininterrottamente per centocinquanta anni senza che, alla fine, ciò comporti gravi conseguenze politiche. Rispetto a ciò, la Lega è un effetto (il più appariscente), non una causa. Perché l' idea che il Sud sia una palla al piede che frena lo sviluppo del Paese, non circola solo fra i leghisti, ha una diffusione ampia”. Ma al Sud “ci si scontra con l' abulia delle classi dirigenti …. Nelle regioni più disastrate non è in atto alcun piano di bonifica radicale delle istituzioni, niente che lasci intravedere una reale disponibilità a mutare comportamenti e abitudini. Nessuno crede che i servizi pubblici al Sud cesseranno, a breve, di essere scadenti e molto più costosi che in Lombardia o in Emilia, che tante scuole e Università del Sud smetteranno di distruggere capitale umano anziché crearlo o che le amministrazioni locali, con la loro inefficienza, cesseranno di frenare lo sviluppo”.

L’odio-di-sé meridionale
Il commesso all’informatica di un discount di elettronica a Roma è giovale, allegro, un po’ disinformato, anzi parecchio, ma sa ugualmente recuperare, vincere gli smarrimenti del cliente, e vendere. Sigla Walter la nota di ordinazione da portare in cassa, ha una conversazione colta, una parlata mezzo tedesca, forse trentina.
Il commesso alle tv di analogo discount, sempre a Roma, si chiama Santo e ha cadenza siciliana. Sa tutto di quello che vende e risponde a qualsiasi domanda, dalla più tecnica alla più banale. Ma è cupo e fuori ruolo, lo dice anche: “Tanti studi almeno servono a vendere un televisore”. Sente anche il bisogno di dire: “Vengo dalla parte più settentrionale dell’Italia”.
Santo e Walter hanno la stessa età, probabilmente gli stessi studi, fanno entrambi lo stesso mestiere-non-mestiere, mal pagati, si sa, e mal contrattualizzati. Ma l’uno affronta le cose come stanno, e fintantoché fa questa attività di poco impegno e mal retribuita se ne fa una ragione. L’altro si sente in credito col mondo: la Sicilia, gli studi, la generazione, il governo. Ed è per questo sordamente revanscista, in realtà vittimista.
Il vittimismo e la demoralizzazione non erano propri del Sud. Non due generazioni fa, forse neanche una generazione fa. La Lega ha figé il Sud, lo ha impietrito. Ma anche l’ideologia Rai, o democristiana della decadenza (una decadenza ormai lunghissima), dei diritti: il posto, la laurea, i bisogni, sempre insoddisfatti, per colpa degli altri.

In un racconto di Sciascia scritto a venticinque anni per la pubblicazione, e perduto tra le carte ignorate di Vittorini, “Il Signor T protegge il paese”, c’è perfino una mafia che prende “coscienza di essere l’unica cosa viva dell’isola”. La coscienza della mafia era da inventare.
Il racconto è ripreso nella raccolta “Il fuoco nel mare”, insieme con altri testi narrativi che Sciascia ha pubblicato, anche più volte, ma non ha ripreso in volume. Una raccolta di luoghi comuni sulla (contro la) Sicilia come questa era difficile da mettere assieme.

Napoli
La prima nave a vapore del Mediterraneo fu armata da Ferdinando Iv di Borbone, Ferdinando I delle Due Sicilie, varata nel 1818.
La prima ferrovia in Italia fu costruita da suo nipote Ferdinando II nel 1838, Napoli-Portici, sette chilometri a cinquanta km. All’ora, grazie a una locomotiva a vapore inglese appositamente costruita. Progettista l’ingegner Gianandrea Romeo, di Santo Stefano d’Aspromonte. Sei anni dopo la ferrovia arrivava fino a Nocera Inferiore, una cinquantina di chilometri. Non si rubava allora sugli appalti? Nemmeno una piccola revisione prezzi? Neanche nelle ricostrzuioni dopo i tanti grandi terremoti, che anzi si facevano rapide, senza sprechi, con ordine, con ingegneria.
C’era una Napoli, benché borbonica, che ora non c’è più: c’è solo tristezza.

“Le cose che dice la Fiat sullo stabilimento campano le dicevamo noi ventiquattro anni fa”: Prodi interviene su Pomigliano d’Arco, chiedendosi come mai “le teste non sono cambiate”. In una generazione è difficile. Ma forse il bisogno non è poi tanto, quanto quello che Napoli vuol farci intendere. Anche questo è Napoli, dopo un secolo e mezzo di unità.

A lungo l’automobilismo è stato italiano. Si parlava italiano e un po’ d’inglese nei box della gare e tra i motori. Ora i polacchi sanno lavorare meglio degli italiani, dice la Fiat, sono accurati, e più rapidi – sicuramente meglio dei napoletani, si può testimoniare avendo avuto più Alfa di Pomigliano, ma ci vuole poco.

“La feudalizzazione, o rifeudalizzazione, interviene quando uno Stato si disgrega”, il feudalesimo è comunque un ordine. È il caso di Napoli nel Cinquecento, argomenta Fernand Braudel ne “Le Modèle italien”, il capolavoro pubblicato postumo, nel 1989, e lasciato inedito in Italia (ora riedito in fran cese, da Cmaps-Flammarion). Rifacendosi “ai lavori di Giuseppe Coniglio, Rosario Villari, Ruggiero Romano, Pasquale Villani, Antonio Di Vittorio”.
Ma il Sud ha mai avuto uno Stato? S’intende: a parte le signorie, normanna, tedesca, angioina, aragonese? Braudel sembra contraddirsi, poiché subito dopo argomenta: “Ora, lo Stato svenduto all’asta non è precisamente il caso del regno di Napoli?” La Spagna si difese in Europa nelle Fiandre, ha spiegato a lungo, per le quali finirà per vendersi tutto di Napoli, dice ora, “il reddito e anche il capitale”, elencando in dettaglio: “le poste stesse dell’imposta, la proprietà delle giurisdizioni, i diritti regali, più o meno sbrecciati, le dogane del porto, l’imposta sulla seta, i titoli nobiliari, e infine i contadini, cioè i comuni del demanio reale”. Vende ai banchieri (tra essi i maggiori e più attivi, fino all’Ottocento, furono genovesi, tra essi Adorno, Spinelli, Grimaldi, Gagliardi, Perrone) - la cui attività, va aggiunto, è far “girare il denaro”, con girandola quindi di fedecommessi, sui diritti, i comuni, i latifondi, un capitalismo selvaggio che non ha nulla della struttura sociale e legale del feudalesimo. A metà Seicento, si sa da altre pubblicazioni, sui 2.700 centri rurali esistenti nel Regno di Napoli, oltre 1.200 erano infeudati a Genovesi. Prestatori di denaro, alla corte e ai nobili.
“Il conto lo paga il contadino della pianura e della montagna”, conclude Braudel, “produttore di grano, lana, carne, vino, olio, seta”. Anche questo è vero. Vera pure l’ultimissima considerazione dello storico: Napoli si rivolta a metà Seicento, quando tutta l’Europa si rivolta, la crisi è generale, Parigi, Londra, la Catalogna, “ma solo il Portogallo vincerà la partita”.

leuzzi@antiit.eu

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