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domenica 17 aprile 2011

Per una storia della letteratura russa fuoriuscita

Una guida a Nabokov intelligente (stimolante) partendo da “Lolita”. E un omaggio anche a se stessa, alla sua propria intelligenza di editrice, storica, critica e autrice della Russia fuoriuscita. Dalla Berberova a tutta la Russia fuoriuscita, di cui lei vide la fine, è un filone di studi vergine e perciò sorprendente. Una storia della letteratura vecchio stile della Russia fuoriuscita s’immagina allora sorprendente oltre che doverosa, ricollocando Cvetaeva, Nabokov, Némirovsky, la stessa Berberova e i tanti altri che non sono riusciti a bucare la cortina di silenzio. O una storia del plurilinguismo: Nabokov, che scrisse in tre lingue, Némirovsky e gli altri emigrati, Beckett, lo stesso Joyce, oltre a Conrad naturalmente, Wilde (scrisse in francese), Strindberg (in tedesco). Il secolo sopravviverà nelle frange? Nel cosmopolitismo, più o meno forzato?
In Nabokov Berberova individua una caso di scuola dei “quattro elementi”della letteratura del Novecento: “L’intuizione di un mondo frammentato, l’apertura delle “chiuse” dell’inconscio, l’ininterrotto flusso della coscienza, e la nuova poetica derivata dal simbolismo”. E la comicità irrefrenabile: “Nabokov appartiene a una generazione per la quale il confine tra Aristofane e Sofocle è esiguo”. Che Berberova trova però costante nella letteratura russa: in Gogol’ naturalmente, lettura diuturna di Nabokov, e in Dostoevskij, Belyi, nello steso serioso Turguenev – e Cechov no, è tedesco? In Nabokov scoperta, e sempre serpeggiante, nel gusto letterario del pastiche, la citazione, l’effrazione, l’innesto.
In “Lolita” Berberova vede molte cose che la lettura obbligata cela. Per esempio “una delle satire più acute sulla vita moderna, l’attività del detective, basata meccanicamente sull’uomo medio che come un automa entra in funzione quando gli inseriscono le monete, e che invece risulta assolutamente inutilizzabile se gli si inseriscono dei bottoni”. È un libro, ammoniva Berberova, che “non si può capire tutto fin dalla prima lettura”. E su di esso ricostruisce tre procedimenti tipicamente letterari della narrazione in Nabokov: le “epigrafi disciolte”, le “immagini tutelari” o ritornanti, “figure-uri”, e l’artificio “rimico-ritmico”, da poeta impenitente. Lolita ritrova in due passi di Dostoevskij, nei “Demoni” e in “Delitto e castigo”, in quanto attrazione pedofila, e nella sposa bambina di E.A. Poe, Annabel Lee (un caso anche di “epigrafe disciolta”). Ma il tema di “Lolita” non è la pedofilia, se non per questi innesti letterari, un aneddoto di partenza. Il tema è il costante, ambiguo ma irrefrenabile, sdoppiamento, o la letteratura nella letteratura: “Nabokov lavorò a lungo a una propria incarnazione: era come se tentasse da anni di scrivere un romanzo il cui «eroe» fosse un poeta o uno scrittore”. Che è anche la chiave principale della lettura dello stesso Nabokov, del reiterato doppio di tante sue narrazioni.
Nabokov è scomodo. È pur sempre l’autore che vuole dare “una bella martellata a Balzac, a Gor’kij, a Mann”. Agli scrittori realisti, sociologizzanti, ideologi. Ultima, irrituale, notazione è la tendenza della letteratura ad aristocratizzare, mentre tutto si democratizza. Doverosa dovendosi parlare di Nabokov, anche se presto perenta – il saggio di Berberova è del 1965: “Curiosamente, mentre sotto i nostri occhi la vita nella sua struttura societaria, quotidiana e personale si «democraticizza» decisamente, la letteratura contemporanea sembra non seguire questa strada e piuttosto si sviluppa in base al principio che chi è in grado di capire capisce, e a chi invece non è in grado non serve nemmeno spiegare”. Ma erano altri tempi.
Nina Berberova, Nabokov e la sua Lolita

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