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domenica 1 maggio 2011

Letture - 60

letterautore

Decameron – Il critico idealista lo apprezza sempre e comunque.
Il pornografo lo trova noioso.
Il critico sainte-beuviano (rifiuta la biografia per meglio insinuarvisi) trova Boccaccio personalità intrigante.
Lo storico recrimina quanto sarebbe stato meglio se donne a cavalieri fossero rimasti a Firenze a raccontarci della peste. Questo è interessante: a condizioni eguali per il critico idealista, il pornografo e il sainte-beuviano, si potrebbero immaginare i “Promessi sposi” rovesciati, o Manzoni, senza la peste di Milano, che a Brusuglio, o su quel ramo del lago di Como, si raccontava con gli amici storie pecorecce.

Flaubert – Nell’“Educazione sentimentale” i due amici ventenni passeggiano nell’umidità “tenendosi per la vita, sotto lo stesso mantello, fianco a fianco”. Poi il protagonista attende “tutta la settimana” un suo nuovo amico, “non osa andare da lui”, anche se lo vorrebbe tanto cioè, “per non avere l’aria impaziente”. Ma, dice Flaubert, “lo cercò per tutto il quartiere latino, una sera lo incontrò, e lo portò in camera sua”. E quando il primo amico riemerge il protagonista, che si appresta al primo agognato incontro con l’amata, si mette “a tremare come una donna adultera sotto lo sguardo del marito”. I due si mettono a chiacchierare, “e, di tanto in tanto”, annota Flaubert, “si prendevano le mani sopra la tavola, guardandosi un minuto con tenerezza”. Poi faranno ménage insieme.
Nelle letture critiche classiche non ce n’è traccia, ma una lettura odierna dell’“Educazione sentimentale” (per non dire dei viaggi in coppia con Maxime Du Camp) sarà sicuramente ingombra di latenze e pulsioni omosessuali in Flaubert. Anche la famosa malattia inspiegabile vi può essere collegata, perché no, la “malattia dei nervi” – ne soffre pure il protagonista di questo racconto amoroso. Cambia qualcosa?

Narrare – È l’arte dei tropi. Del vero << >> falso, del reale << >> irreale, eccetera. È l’arte dell’illusione. O del disvelamento dell’illusione: si regge sulla sorpresa.

Proust- Snob no. È ammirato di tutti, del duca e dello chauffeur, alla stessa maniera, curiosa, irrispettosa, sottomessa, infantile. La preziosità dello stile e la mancanza di misura – il compiacimento della smisuratezza – ne fanno un adolescente attardato. I dettagli minuziosi, che però non danno temi e figure, non li ritagliano, ma solo impressioni, lo fanno un dilettante. È una narrazione che fluisce, non ha radici, va come un’onda che non si spezza - ma paciosa, non richiede il fine tuning o la sfida del surfing.
Il gregarismo, molto distinto nelle lettere (vuole compiacere tutti, più spesso con esagerazione), accanto allo scatto ironico, ne fanno un personaggio alla mano, non chiuso (snob). L’espressione è invece vaga. Di autore del tutto disimpegnato, fuori da ogni incastro o puntura del reale – tipico della letteratura leggera o da secondo rayon. È questo distacco a far pensare allo snobismo, ma è piuttosto incapacità di fissare – cristallizzare – i sentimenti, l’amore, la gelosia, il disprezzo, piuttosto l’inappetenza, che solo i doveri dell’entomologo mitigano.
Ovvero: c’è uno snobismo alto, quello naturale, di nascita cioè, dell’aristocratico e del grande borghese, i Guermantes, Charlus, e d’istinto, l’indifferente Albert-ine. E c’è quello piccolo (petit, petty) di chi annusa incontri, cerimonie, ricevimenti, must di ogni genere, e mendica presenze. Una voluttà (curiosità) che si esaurisce nel gossip, incessante, e nel name-dropping. Questo sì, è lo snobismo di Proust.
E ancora: non tanto nell’opera quanto nelle lettere. Per il semplice fatto di scrivere così tante lettere, così tanto innecessarie, anche da ammalato. È il piacere di guardare, come si dice, dal buco della serratura. Non di imitare scimmiescamente (Verdurin), ma d’impregnarsi al contatto, d’incensarsi ai fumi del turibolo, tipico dei miracolandi, degli psicanalizzati, di chi si abbandona a una realtà vicaria.

Tanti i punti in comune della “Ricerca” con “Lucien Leuwen”: autobiografismo immaginario, snobismo (namedropping, bon mots, bellezza inattingibile), mescolanza di alto e basso (borghese e nobile, affarismo sordido, venalità, gaglioffaggine, e estetismo, rinuncia, santità), parentele, aneddotica, filosofia spicciola, la piccola politica.
Non sarà, per l’uno e per l’altro (per Stendhal solo “Lucien Leuwen”, romanzo abortito) un imborghesimento del sansimonismo, senza più tante arguzie, e nemmeno la cattiveria – Saint-Simon il duca? La scrittura, oltre che la tematica, è da romanziere “nobili”, Scudéry, Tencin, de Duras.

La narrazione a ricalco (Proust ne è maestro già nei pastiches) di cose, persone, ambienti, avvenimenti (un fiore, un albergo, una étagère, un duca…), in scala, nella tradizione francese: la Conti, Saint-Simon, Sade. Il tempo-durata non c’entra, altrimenti sarebbero narrazioni storiche. Mentre sono “spaccati” – a carattere, di direbbe oggi, sociologizzante.

Il culto atroce dei proustiani per il doppio senso, delle parole, dei nomi: di che asfissiare il più mondano e inossidabile degli animi. Di chi la colpa: dei proustiani o di Proust?
Però è da dire che, dei personaggi a chiave, quelli reali sono più affascinanti di quelli della “Ricerca”. I sudici modelli (v. J.-É. Blanche per alcuni, Albert-ine, le démi-mondaines) sono sanguigni, la piccola perfidia della scrittura è faticosa e insulsa.

Psicanalisi - E se gli analisti fossero i sacerdoti di Cicerone, che se la ridono? L’ultima letteratura “comica”, da Svevo e Joyce e Woody Allen, prende corpo in questa radice.

Rilettura – Raramente è più appassionante della prima lettura, quasi sempre rivela punti deboli: noia, imprecisioni, mancanze, aporie, aritmie. Quella dei romanzi – Flaubert, Manzoni, Dostoevskij, Poe… Quella della poesia invece sempre è più ricca della prima lettura. Quella della saggistica rivela, si può dire in parti uguali, una prima lettura traditrice (Garboli, Bloom, Magris, affabulatori) e una risarcitoria (Contini a un estremo, Pedullà all’altro) – con Debenedetti nel mezzo, riservato.

Rilke – N. Berberova (“Nabokov e la sua Lolita”) lo dice “uomo di grande ironia e nient’affatto puritano”, audace a volte. Cosa che non può essere, tutto il rilkismo crollerebbe.

Romanzo – Si è ristretto a questioni di cuore (in francese di “cul”) e di potere. I vizi e le virtù – le passioni – sono più numerose e molto variate, ma il genere si è ridotto a esercitazioni per accumulo. Possibile che non si cavi nulla di avventuroso, di “appassionante”, dall’orgoglio (Ignazio di Loyola e altri santi), dall’invidia, che è la passione oggi dominante, dalla solitudine, passione-condanna della contemporaneità, e dall’accidia, l’ira, l’avarizia, la gola? O dalla giustizia, dalla fede?

Sade – È uomo e scrittore “tipo” della rivoluzione. Nato fuori tempo, una generazione prima – evento di non poco peso, considerato che la rivoluzione abbrevia i tempi, i destini vi si consumano in pochi anni, pochi mesi. Rivoluzionario è il suo filosofare, soprattutto l’incontinente estremismo, per la cui logica nulla è sufficiente.
Altra ironia è che sia lui che la sua rivoluzione, il personaggio e la cosa più incisivi e duraturi, siano passati accanto, inosservati, alla rivoluzione politica.

Viaggiare - Si fa sempre col paraocchi. Ma i francesi si distinguono, rispetto agli entomologi tedeschi e ai trekker britannici. Nella prima metà del’Ottocento erano tutti romantici e vedevano romantico: Gautier, Dumas, Chateaubriand, Staël – con eccezioni, certo: Stendhal, Courier, Custine. Nel Novecento, tornati nazionalisti, buttano fango su tutto ciò che è diverso, soprattutto sul Terzo mondo: perché il mondo non è l’Europa, la Francia, i rivoluzionari francesi?

letterautore@antiit.eu

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