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martedì 15 maggio 2012

La democrazia per procura

In mancanza di meglio, si pensa di restituire il potere decisionale ai cittadini mediante una qualche legge elettorale. È un’opera di bene, di buoni propositi, ma ormai, dopo tanti tentativi (nel 2006 a Roma si è votato nella stessa tornata con sei sistemi elettorali diversi), velleitaria e inutile.
Si dice del resto di voler restituire il potere di scelta ai cittadini per rimediare all’antipolitica. E cioè oggi a Grillo come ieri a Di Pietro, e prima alla Lega, andando a ritroso, a Cicciolina, al partito della Bistecca e all’Uomo Qualunque. Mentre la sostanza è di dare corpo politico alla politica, e questo in regime democratico non è mai stato facile, se non in società a pluralismo sociale fortemente radicato, come in Gran Bretagna, negli Usa, in Olanda e in alcuni paesi scandinavi.
La radice vera dell’antipolitica è nella spersonalizzazione dello Stato. Un’infezione che ha aggredito gli Stati al culmine del loro potere un secolo fa, moltiplicando per tutto il resto del Novecento una serie di efferati totalitarismi dichiarati, che hanno lasciato il posto allo svuotamento della funzione politica.
La ragione C.Schmitt, il più acuto filosofo della politica del Novecento, la individuava nel 1938, nel pieno del nazismo, nella progressiva snaturalizzazione dello Stato in “macchina”. Per effetto della complessità dell’azione di governo e dell’azione eversiva di quelli che poi sono stati chiamati gruppi d’interesse o interessi costituti, in Italia “poteri forti”: partiti, sindacati, potentati economici e religiosi. L’effetto è comunque sotto gli occhi di tutti: si possono dire i nostri Stati democratici democrazie per procura. Ancorché costituzionali, ma di un parlamentarismo esangue (parolaio, inutile, asservito alle lobbies).
Si è detto, andava di moda cinquant’ani fa, che lo Stato e quindi la politica sono incapaci, non attrezzati, a rispondere a un mondo complesso e veloce. La questione è rimasta insoluta, nei termini allora posti: la complessità (e rapidità) per i critici, il potere decisionali per i fautori residui (C.Schmitt, Miglio), della sovranità degli Stati, nella forma hobbesiana del “quis iudicavit”. Formula da essi rovesciata nel “chi parla”, “chi pone le questioni”. Chi cioè influenza, manovra, dirige il potere dall’esterno.
Ma il potere legislativo è uno, ed è svuotato: questo è un fatto. Anche autosvuotato, attraverso una microlegificazione che esaurisce la potestà legislativa nella trivialità. Ma il Parlamento, quand’anche volesse agire bene, non lo potrebbe. Al tempo della controinformazione, anni 1960-1970, si voleva questo processo di svuotamento della rappresentanza opera dei poteri forti. Come se degli avventurieri avessero forzato la cittadella del buon governo. Mentre i media sono anche loro corrivi, i cattivi e anche i buoni: l’antipolitica è indotta dai media, che ne moltiplicano il potenziale dissolutivo, dalla Lega e Mani Pulite in poi, vent’anni di storia exlege.

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