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domenica 28 ottobre 2012

A Sud del Sud - l'Italia vista da sotto (149)

Giuseppe Leuzzi

“Berlusconi mafioso? La voce gira”, era la campagna elettorale del 1994, “vediamo, le indagini sono in corso”. Lo diceva il senatore democristiano Nicola Mancino, ministro dell’Interno. La mafia-Stato controllava allora anche le Procure?

Il Sud fu “debole e corrotto” con Cavour. Il biografo Romeo riduce a poche righe, incidentali, le obiezioni di chi considera l’unità all’origine della “questione meridionale”, e le dice infondate. Dopo però questa direttiva, che onestamente non rimuove, di Cavour ai luogotenenti a Napoli e Palermo, Farini e Montezemolo: “Lo scopo è chiaro; non è suscettibile di discussione. Imporre l’unità alla parte più corrotta e più debole dell’Italia. Sui mezzi non vi è pure gran dubbiezza: la forza morale e se questa non basta la fisica”. Cioè la fisica, giacché il conte marchiava quella parte d’Italia, a lui del tutto sconosciuta, debole e corrotta.

In uno dei suoi “Scritti dispersi”, perlopiù elzeviri, Corrado Alvaro ha una banda di briganti che, al tempo di Federico II, non essendo possibile sgominarla, fu incorporata tra gli sgherri del sovrano – Alvaro dice nella polizia, ma questa è una novità del Settecento, illuministica.

Già nella Grecia antica era al Nord che Atlante reggeva il mondo, sulle sue spalle. Al paese degli iperborei – checché voglia dire, ma comunque iper.

La fame, l’insicurezza
In “Conversazione in Sicilia”, tornando da Milano, Vittorini “vede” nell’isola la fame. Un tema narrativo trascurato, forse disonorevole in Italia. Siamo nel 1940 o 1941, ma non è per la guerra. È proprio non avere, non avere mai avuto, di che mangiare, non decentemente. Dieci anni prima Alvaro riferiva di profughi di Africo, il paese calabrese distrutto dall’alluvione, che sull’Appennino tosco-emiliano si nutrivano di fieno. Negli anni 1960 a Gerace, ora borgo ridente di antiche chiese e palazzi restaurati, le capre brucavano dentro le mura, le loro campanelle più forti del silenzio, e i bambini a scuola avevano soprattutto fame. Una fame imperiosa: l’insegnante, erano alle medie, portava un pane grande, da due chili, lo tagliava a fette, e le fette subito sparivano, ingoiate prime che masticate.,
La fame non c’è più, e anche prima della guerra s’immagina sporadica – la “media” coscienza europea la escludeva da almeno un secolo e mezzo, dai rotten boroughs delle periferie britanniche e dal primo primitivo welfare. Ma c’è l’insicurezza a essa collegata: vitale, costitutiva, per nessun’altra ragione. Anche nel crimine, l’insicurezza pesa più dalla malvagità.

All’università in Calabria come in colonia
Strage di candidati al test d’accesso all’ex Magistero per maestri elementari, ora Scienze della Formazione, all’università di Cosenza. Come in tutti i test d’accesso, ogni anno, in qualsiasi facoltà, anche umanistica, in qualsiasi università. Nelle facoltà umanistiche molte università hanno dovuto istituire, dopo i test d’accesso, corsi preliminari di alfabetizzazione primaria, perché in molte scuole superiori non s’impara più a scrivere.
“Il problema”, dice al “Quotidiano di Calabria” il professor Nuccio Ordine, presidente della commissione all’ex Magistero di Cosenza, è che si studia sempre meno, sul presupposto che tutti hanno diritto a un titolo: “Nel Paese si sta abbassando sempre più il livello dell’insegnamento, a partire dalle università per passare alle scuole superiori, alle medie e così via”.
Lo scoglio principale su cui hanno sbattuto molti concorrenti a Cosenza è stata la differenza tra aggettivo e pronome. Una carenza grave, ma non eccezionale. E invece il giornale del professor Ordine, il “Corriere della sera”, ne fa l’apertura del suo supplemento “Sette”, a firma di Gian Antonio Stella. Che commenta: “E questo nonostante dalle scuole superiori calabresi escano ogni anno moltitudini di diplomati dai voti non alti ma altissimi”. Che non c’entra, magari quelli coi voti altissimi non ambiscono al Magistero, ma non si scappa: falla come vuoi, sempre cucuzza è.
En passant, Stella sostiene che all’università di Cosenza ci sono “migliaia di indagati sulle lauree taroccate”. Cioè tutti i laureati.
Stella non meraviglia: è un veneto lombardo che ogni settimana deve scrivere contro la Calabria. Anche se non si capisce perché la firma più rappresentativa del “Corriere della sera” abbia questa urgenza. Ma i professori scandalizzati dell’università di Cosenza? Questa università sembra il Makerere College dell’Uganda, l’università che negli anni 1960 formò una generazione di acuti antimperialisti – seppure nella direzione sbagliata. Poi venne Idi Amin. L’Uganda, il paese delle quattro primavere, collassò al livello più basso della disastratissima Africa. Il Makerere College è rimasto nella memoria come ultima idea del provvido colonialismo britannico. La Calabria non è l’Uganda, naturalmente. Ma perché dovrebbe diventare una colonia di Milano, nel Duemila? Il percorso coloniale è insidioso. E poi non c’è di meglio? Nella storia delle colonie si distingue molto, tra chi fu vittima dei cappuccini e chi si ebbe i gesuiti – chi si ebbe l’Italia e chi gli inglesi.
La Calabria non è in Africa, però… L’ultima pagina lo stesso “Corriere della sera-Sette” la riempie con due lettere strappalacrime, di Pietro Mancini e di Emiliano Morrone. Non tutta la Calabria, scrivono, è “killer e faccendieri”. E questo è pura Africa al tempo del terzomondismo, quando diceva “scusateci, miglioreremo”. Oppure è peggio di Stella: la Calabria come la messa di Enrico IV di Francia, protestante nel cuore - come una purga, se uno ha la disgrazia di esserci nato.

Il latifondo del “Cuore”
Nel 1906, pochi mesi prima di morire, Edmondo De Amicis fece il suo viaggio in Sicilia, e ne scrisse in un volumetto di “Ricordi”. Socialista, viaggiatore, scrittore raro di viaggi, De Amicis mostra che si poteva viaggiare al Sud senza pregiudizi. Senza mancare di vedere quello che c’era, ma per come era. Per esempio, viaggiando da Palermo a Siracusa e Catania, il latifondo. Detto infine per come è stato, nell’insieme e in dettaglio, e con gli oneri che lascia nella società siciliana, ogni parola significativa e veritiera:
“Il latifondo, che vuol dire campagna senza case coloniche e senz’alberi, e i contadini costretti a vivere nei grandi centri, dove sono sottoposti a gravami da cui dovrebbero essere esenti, e donne che debbono fare ogni giorno un lungo cammino per recarsi al lavoro; il latifondo che favorisce il furto campestre, l’abigeato, il malandrinaggio, il brigantaggio, e crea una catena di parassiti sfruttatori fra il grande proprietario assente e il lavoratore abbandonato a sé stesso; il latifondo, funesta espressione economica, che, come disse un illustre statista siciliano, filtrandosi, spiritualizzandosi per lungo abito di servaggio nelle menti, nel costume, nella vita intima, separò le classi, le fortune, gli animi, e mettendo in opposizione gli interessi dei signori con quelli del popolo, e mantenendo questo nell’ignoranza, riduce la maggioranza lavoratrice in condizione di minoranza legale di fronte ai suoi oppressori, prevalenti nelle Provincie, nei municipi, in tutte le rappresentanze pubbliche, e quindi padroni d’ogni cosa, tiranneggianti a loro beneplacito e perpetuatori della miseria”.

leuzzi@antiit.eu

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