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martedì 30 ottobre 2012

L’Occidente si trova in Iran

Neorealismo, più camera fissa nouvelle vague, sui fatti della vita. Il cinema iraniano ha un modulo ormai canonico, e tuttavia fresco – Farhadi ha avuto tutti i premi a cui era candidato, fino all’Oscar 2012. Il meglio, si può dire, del cinema europeo. Ma connotato da un’estrema libertà tematica. Senza pregiudizi cioè politici o sociali. Seppure sotto un regime soffocante, anche nella vita privata e nelle esperienze minime. Questo film è un ritratto, una serie di ritratti, di grandi libertà, psicologiche, semantiche. Specie di donne, adulte e bambine. La storia è semplice: forme di stress urbano in parallelo, della coppia con un padre Alzheimer da gestire, della badante incinta che perde il bambino, del marito della badante disoccupato e quindi incontrollato. L’effetto è di coinvolgimento in una civiltà di cui ci siamo privati.
Si può dire quella persiana la più antica civiltà dell’Occidente, quella che ha più continuità – altre si sono perdute. Soprafatta ora dagli ayatollah, ma più matura. Cosciente della sua propria libertà. Di spirito, e quindi di parola. Anche nella devozione religiosa, nulla è formale – ipocrita. La solidità della tradizione, delle libertà acquisite nella storia. In una città volutamente modernizzante, come in un qualsiasi set di Hollywood.
Asghar Farhadi, Una separazione

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