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sabato 3 novembre 2012

Il mondo com'è (116)

astolfo

Destra-sinistra – Muore Rauti e lo si fa, oltre un martire, quasi un eroe della sinistra. Gramsciano.
Antimaterialista, anticonsumista. Lui avrebbe obiettato, ma è vero che la destra ha preso la malattia di una certa sinistra, di rubare i funerali. Una pratica togliattiana, avviata con Malaparte, proseguita con lo stesso Togliatti, Pasolini e ogni altro di cui sia possibile. Fu l’uso dei gesuiti coi morti eccellenti, Leopardi perfino e Pirandello. La funeralizia è arte gesuita, dice Gioberti, che era abate, e non era male: si dava ai non credenti, per un giorno, l’illusione della tolleranza, e ai credenti la conversione in limine d’ogni grand’uomo, a testimoniare la grandezza della chiesa di Roma. Solo Don Giovanni è sfuggito ai gesuiti: quello lo hanno ucciso i francescani, lasciando intendere che il Commendatore lo abbia fulminato - i francescani conoscevano in anticipo l’elettricità?
Il rituale i fratelli Taviani avevano codificato in morte di Togliatti. È stato mortuario a lungo pure il quadro-manifesto del Pci del nobile pittore Guttuso: un altro funerale, sempre di Togliatti. Il Pci aveva iniziato con Malaparte, il quale fece di tutto affinché i gesuiti s’impadronissero di lui, a metà con Togliatti. Un altro che amava solo se stesso, e il cane, da grembo, con la leggenda schermandosi di un amore con Virginia Agnelli: la villa a Capri regalò al presidente Mao, la salma al Pci e a padre Rotondi, per un funerale con bandiere rosse e messa cantata polifonica. E ha continuato con Debenedetti, dopo avergli negato la cattedra. Tre volte, per non essere neorealista, non abbastanza, l’ultima in punto di morte. Il professor Sapegno, che era stato compagno di Debenedetti al liceo e all’università ne bocciava la nomina, pronunciò il necrologio: il morto si prende il vivo In vita Pasolini non poté essere del Partito, aveva dovuto restituire la tessera.

È pure vero che Rauti nel 1950, già capo del fascistissimo Ordine Nuovo, oltre che del Fronte Azione Rivoluzionaria, spiegava nelle cellule con Enrico Berlinguer il no alla Nato. Ne scrisse anche su “Pattuglia”, il giornale dei giovani Pci diretto da Berlinguer. Questo invece, che è successo ed è un fatto, viene “correttamente” eliminato negli epicedi.
L’anno successivo, a seguito di due attentati del Far all’ambasciata Usa e al ministero degli Esteri, Rauti fu carcerato la prima volta, giudicato, e assolto.

Internet – Prima di morire Gianfranco Pintore celebrava sul suo blog il milionesimo contatto – “non so perché, mi emoziona”. Che può fare un milione di lettori diversi, oppure gli happy few che usualmente si collegano – in un blog di più anni si arriva al milione: può avere diecimila lettori, o  solo mille, assidui, oppure cento, che lo leggono ogni giorno. Anche nel caso più estensivo, però, è sempre un seguito minore di un qualsiasi politico, anche di circoscrizione. E questo ridefinisce i ruoli tra l’opinione e la politica. Che resta comunque l’espressione migliore dell’opinione, nei suoi veicoli tradizionali: la presenza fisica, la voce, lo sguardo, la promessa, la stretta di mano, l’occhiata, prima e meglio degli argomenti. Che sono il solo veicolo della rete.

Un falso twitter ha fatto dire a Marchionne quello che non aveva detto contro Firenze. Un falso post a fatto dire “culona” a Angela Merkel da Berlusconi. Due falsi subito amplificati, dilaganti, non smentibili. È la goliardia al potere, che si penserebbe tramontata, in questa epoca politicamente corretta e molto seriosa.
La goliardia è stata tradizionalmente in Europa la fucina della politica. Ma con la rete, subito dilagante e mascherata di autenticità, diventa verità. La rete è subito diventata il veicolo per eccellenza della disinformazione, anche facile. I due casi sono innocui, ma altre “verità” sono state diffuse online per provocare vendette, rappresaglie sanguinose, guerre .

Mattei – “Il Sole 24 Ore” celebre Mattei domenica 28 ottobre  con uno speciale di quattro pagine, lirico ed epico. Senza pentimento, dopo aveva massacrato in vita. Ma è un falso Mattei, non quello. È un altro Eni che si celebra tramite Mattei, sfruttando il personaggio a cinquant’anni dalla morte. L’Eni di Scaroni. Che fa il bilancio – basta un centesimo in più su cinquanta miliardi di metri cubi di gas che l’Eni fornisce a Snam Rete Gas per “fare” un ottimo bilancio. Lo fa anche con Mattei, non intrepido e nient’affatto avventuroso come Mattei fu. Nel quadro dell’ipotesi neoguelfa, o Grande Centro, cui le “forze sane” del paese, banche, Confindustria, grandi editori, stanno lavorando: un governo che faccia quello che loro dicono.
Notabili – Sfonda infine sul “Corriere della sera”, per l’autorità di Galli della Loggia, il notabilato che affligge l’Italia. A partire dalla Repubblica degli onesti di Scalfari e Visentini, del governo dei tecnici, dei belli-e-buoni della Repubblica, quindi da quasi quarant’anni. Sullo sfondo peraltro di un giornale che ne è l’incubatore e il padrino.  Quella che Salvemini bollava come sindrome del peggiore meridione, i galantuomini, il galantomismo, è ora saldamente al comando della Repubblica, a Milano e nell’opinione accreditata. In Monti personalmente no, perché ha avuto un’esperienza cosmopolita, ma nel suo governo sì.
“«Il Mondo» non abita più qui” e “Mediobanca editore”, due libri che da venticinque e quindici anni rispettivamente resistono a ogni silenzio, ne hanno delineato la persistenza al cuore dell’Italia cosiddetta laica, quella della via di mezzo che non si trovava tra le subculture dominanti di De Rita, la comunista e la confessionale. Per il motivo semplice che predicava bene e razzolava male. Il notabile, come il galantuomo, ha di per sé una funzione positiva. Nella migliore sociologia, per esempio di Max Weber. Ma non nell’accezione italiana, di gruppi di potere. Riservati. Elusivi. Autoreferenziali. Molto borghesi, ma allora nel senso dei culi di pietra e dei profittatori, non degli attivi e inventivi, di chi ama il rischio e sa piegarlo.

Pintore – Gianfranco Pintore, l’independentista sardo morto a fine settembre, aveva avuto una appassionata esperienza a Roma, a cavaliere del 1970, nel sostegno ai movimenti di liberazione delle colonie portoghesi in Africa, in particolare il movimento dell’Angola di Agostinho Neto e quello della Guinea-Bissau di Amilcar Cabral. Attorno alla rivista “Mondo nuovo” che riuniva i socialisti filocomunisti. Dopo un’esperienza di corrispondente a Varsavia per “l’Unità”, quanto di più deprimente per un giovane, sia pure comunista fervente.
Tornò poi in Sardegna, preoccupato, più che incuriosito, dalla voci che volevano “Osvaldo” Feltrinelli nell’isola, in contatto con Graziano Mesina, per fare dell’isola la Cuba del Mediterraneo. Feltrinelli già prima della morte era infido a molti. Bollato peraltro indelebilmente in chi leggeva da Bianciardi dieci anni prima nella “Vita agra” - il Timber Jack, il padrone che torna con la sua masnada dalla caccia allo stambecco in Stiria, subito licenziando lo stesso Bianciardi “per scarso rendimento”, uno degli scrittori migliori, prolifici anche (Timber Jack è il taglialegna, quali i Feltrinelli erano, coi Gualino e altri casati del denaro). Ma senza tagliare i ponti con le novità culturali e politiche del vasto movimento del Sessantotto. Sarà con Gabriele Mazzotta a Milano, allora editore dei nuovi fermenti, che pubblicherà il suo manifesto nel 1974, “Sardegna regione o colonia”. Facendo proprie le novità durature degli studi terzomondistici, a cui quindi il nuovo sardismo deve molto. E in particolare i diritti delle minoranze da una parte. Oggi sembrano scontati ma quarant’anni fa non era così, la minoranza era relegata al folklore. Dall’altra la forza della tradizione, che il terzomondismo trasse fuori dal patrimonio reazionario. 

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