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sabato 20 aprile 2013

La ghianda del peccato originale

“L’interpretazione sensuale e sessuale di ‘Genesi III’ nasce così, dall’incrocio dell’ebraismo con la grecità, nell’Alessandria del primo secolo”, con Filone Giudeo, neoplatonico. Beverland, un poligrafo di fine Seicento, la eleverà a sistema, seppure per irriverenza – Antonello Gerbi ne ipostatizza la radicalità in un’“ipotesi Beverland”, e ne fa la lunga storia.
La fase antica dell’“ipotesi” si estende “da Filone a Sant’Agotino e alla Scolastica”, con Clemente Alessandrino, Origene, Sant’Ambrogio, San Zenone di Verona, e in campo ebraico Maimonide.  La ripresa in età moderna avviene a opera di Leone Ebreo, 1532, e Cornelio Agrippa, 1534, mentre Lutero e Calvino riprendono sant’Agostino, quindi con progressione ininterrotta fino ai giorni nostri, “oggetto d’oscura derisone” nel 1678 con Beverland, e dopo. Esprimendo “con mirabile plasticità la fede nell’ereditarietà del peccato”. Rincalzando “la tesi più rigorosa e pessimistica circa l’uomo e il suo destino”. Semplice e chiaro.
Una ricerca dimenticata, di un autore trascurato, ma di dottrina sicura, di giudizio approfondito, equilibrato, incredibilmente lineare. Fondamentale, si penserebbe, per la condizione della donna minoritaria e anzi peccaminosa, oltre che dell’oggetto proprio dell’indagine, del peccato originale. Indiscutibile alla lettura, tutto vi è significante, e anzi lampante. Con “la dicotomia insolubile della Chiesa, istituzione divina e anche politica” (p.31). Ma senza tacere che il “beverlandismo”, l’irrisione libertina, ossia “vedere nell’istinto generativo il peccato stesso” (55),viene da sant’Agostino, il peccato originale ereditario.
Studioso originale del romanticismo, Antonello Gerbi vi ha trovato tra le radici nel Settecento l’“ipotesi Beverland”, specie tra i due fervorosi corrispondenti Hamann e Herder - ma anche nell’“eterno femminino” di Goethe – e poi nella riflessione successiva, dei romantici a titolo pieno. Storico delle idee (fu docente di Storia delle dottrine politiche prima d’imbozzolarsi negli studi economici alla Banca Commerciale del suo amico e protettore Raffaele Mattioli), fervente germanista, autore infine de “La disputa del nuovo Mondo”, tuttora insuperata, Gerbi esordì con gli studi sul Settecento. A 24 anni pubblicava “La politica del Settecento. Storia di un’idea”, col patrocinio di Croce da Laterza, nel 1928. Nel 1932 licenziava “La politica del Romanticismo”, di cui analizza le radici nel Settecento. Dell’anno successivo è questo “Peccato”. Già denso dello spoglio del Migne, l’immensa trattatistica patristica, nonché di tutta la filosofia maggiore, irrobustito da contributi variatissimi, di vescovi sparsi, eresiarchi, profeti, rabbini, pensatori liberi. Documentato (e arricchito in questa edizione) di molteplici fonti figurative. Con una bibliografia, bisogna dire, quasi completamente tedesca, francese e inglese – così è anche della “bibliografia negativa”, o aggiuntiva, delle letture successive cioè ala stesura del libro, che Sandro Gerbi, rieditando l’opera del padre, allega.
Una storia del peccato è di per sé affascinante. Cioè delle concezioni del peccato. Tanto più se il peccato gira attorno alla sessualità, divenendo allora anche sconcertante. Un’ipotesi sacrilega, e tuttavia radicata e ritornante, Gerbi traccia centinaia di “fonti”. Fino a farne una storia anche della sessualità, divenuta inafferrabile tra Filone e sant’Agostino, cioè nel sincretismo ellenistico, poco riflessivo. E una storia alla fine di stupidità, rileggendo le “argomentazioni” in fila, oltre che di eresia – che il peccato sia la generazione… (credo quia absurdum?). La disamina di Gerbi è rispettosa, come si conviene a un dogma religioso, ma non sempre può trattenere il riso, neppure lui. Il serpente ha varie fogge e nature, che non staremo a ripetere. Il frutto proibito, più comunemente una mela, è talvolta banana, fico, e ghianda.
Gerbi ne rileva sempre il fondo eretico. E la riporta a innesti molteplici, più curiosi che riflessivi (p.75): “Il «beverlandismo» nasce dal connubio di teorie elleniche con miti orientali”. Miti che a loro volta, sappiamo da Lévi-Strauss, si formano per incrostazioni, anche casuali o avversative. E anche successivamente sempre all’incrocio, “di “un quid mistico avvinto in lotta con un quid tenero e sensuale” (p.115): l’Alessandria di Filone, il “cristianesimo africano e italiano del IV secolo2, i Càtari,”l’eresia d’Oriente nella Chiesa d’Occidente”, le foci del Reno, quando il Rinascimento invade il Settentrione, l’Olanda di Erasmo, tra teologia e ragione, scientifica e filosofica. Gli incroci si direbbe che accentuano l’intraprendenza, l’ottimismo, e invece in questo caso la penitenza, i sensi di colpa.

Antonello Gerbi, Il peccato di Adamo e Eva, Adelphi, pp. 273, ill., €28


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