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martedì 16 aprile 2013

Il debito è privato, privatissimo, consolidiamolo

“Solo il debito resta pubblico” è un refrain pubblicitario, e uno slogan politico, di destra estrema. In realtà “pubblico” va inteso qui all’inglese, come privato. Il debito è privato, privatissimo, pagato da tutti i cittadini, anche dai pensionati a 500 euro. Mentre si preannuncia un’altra “manovra”, cioè un altro prelievo. A conferma di ciò che si sa ma non si dice: che le tasse non colmano il debito ma lo aumentano. 
Una forma di consolidamento è necessaria. Andava fatta prima della partenza dell’euro, ora è difficile, ma va fatta. Una riduzione cioè dell’esposizione. Le formule sono tante. La più efficace sarebbe l’eurobond, la trasformazione dei debiti nazionali.
L’Italia ne ha esperienza. Fu italiano il primo consolidamento moderno del debito, subito dopo l’unità, a opera di un dimenticato (per questo?) ministro delle Finanze, Antonio Scialoja. Il 2 maggio 1866, in reazione alla caduta delle quotazioni dei titoli del debito pubblico italiano alla Borsa di Parigi, per una delle tante crisi commerciali, Scialoja proclamò il “corso forzoso”, ossia la temporanea inconvertibilità. Al contempo il ministro obbligava la Banca Nazionale, antenata della Banca d’Italia, a fornire al Tesoro un mutuo di 250 milioni – l’odierno acquisto Bce a sostegno del corso del debito. E subito dopo emise un prestito redimibile forzoso, a carico delle banche.
Qualche estratto da anti.it aiuterà:
“Nel 1926, richiamato alla presidenza del consiglio dei ministri per risolvere una crisi di eccezionale gravità che bloccava il funzionamento dello Stato, Raymond Poincaré fece il 3 agosto una “manovra” da undici miliardi di franchi, cioè impose undici miliardi di nuove tasse. E il 7 agosto creò una Cassa d’ammortamento del debito pubblico che, prendendo il testimone dai Monopoli di Stato, utilizzerà le tasse sul fumo e le lotterie per ammortizzare i buoni della difesa nazionale 1914-18, e rimborsare anticipatamente o convertire le rendite anteguerra, più le anticipazioni, rateizzandole, della Banque de France. Lo Stato riprese a funzionare e dopo diciotto mesi Poincaré poté varare il franco che porta il suo nome, e che per oltre mezzo secolo è stato il mark-up della tesaurizzazione - nonché il tema di dottorato di A.O.Hirschmann, il ragguardevole cognato di Eugenio Colorni e Altiero Spinelli, “Il franco Poincaré”.
“Il 21 giugno 1928 alla Camera dei Deputati Poincaré ricordava lo scoraggiamento dell’Assemblea due anni prima, quando aveva cominciato a delineare il piano fiscale, e i risultati acquisiti: “La politica d’ammortamento e di consolidamento facoltativo non è stata affatto, come si è preteso talvolta per ignoranza o malafede, una politica d’indebitamento. Essa è consistita, al contrario, nella sostituzione di prestiti rimborsabili a breve termine, e di conseguenza minacciosi e pericolosi, con prestiti a lungo termine automaticamente ammortizzabili, che non hanno, di conseguenza, niente di minaccioso. Con l’effetto di rafforzare rapidamente il credito dello Stato”. Nonché le esportazioni, valendo il franco Poincaré un quinto del vecchio franco germinal.
“In precedenza lo stesso Poincaré, non volendo affrontare il problema, aveva puntato sui debiti di guerra della Germania, come se fossero esigibili, col suo famigerato “la Germania pagherà”, in quella che chiamava “Verdun finanziaria” - Verdun essendo la Vittorio Veneto della Francia. Esagerando, era arrivato a sostenere che la Germania alimentava l’inflazione per sottrarsi agli impegni. Per questo, a gennaio del 1923, occupò militarmente la Ruhr, come “pegno di produzione”. La Germania si fermò, non poteva nemmeno riscaldarsi, e si ebbe l’iperinflazione. Il cui effetto, oltre la fame dei tedeschi, fu il crollo del franco, e dello stesso Poincaré, nella primavera del 1924. Il Cartello delle sinistre che gli succedette, presieduto dal radicale Herriot, lo Zapatero dell’epoca, si inimicò col suo acceso laicismo i cattolici, che decisero di non sottoscrivere più un franco del debito, e la Banque de France. La Francia andava avanti con gli anticipi della banca centrale. La quale era però privata, e doveva far guadagnare i suoi duecento azionisti. Che erano le duecento famiglie più ricche della Francia, molto religiose, cattoliche e calviniste. Il Cartello di Herriot vivacchiò un paio d’anni, ma dovette cedere al cosiddetto “muro dei soldi”: non era mai successo che un governo in Francia cadesse per una questione di soldi.
“In Italia Mussolini aveva adottato una Cassa per l’Ammortamento del Debito Pubblico interno dello Stato – dopo avere beneficiato dell’abbuono del debito estero contratto in guerra dall’Italia con Stati uniti e Gran Bretagna – un anno prima di Poincaré. Ma con effetti non risolutivi, anche se la situazione era notevolmente stabilizzata in Italia rispetto al resto d’Europa......
Meno spesa, meno tasse
“Dopo la Grande Guerra, l’Italia più che la Germania sembrava predestinata a un rapido fallimento. Nel 1914 il debito pubblico era il 75 per cento del pil. Nel 1918 era il 150 per cento del pil. Un primo tentativo di ammortamento del debito, con la patrimoniale fortemente progressiva del 1920, fallì: il gettito fu esiguo. Le cose si trascinarono fino al fascismo, sotto il quale com'è noto l'Italia riguadagnò la fiducia degli ambienti internazionali, specie di quelli finanziari. Mussolini, col suo ministro De Stefani, ricavò molto più della patrimoniale con la riduzione della spesa, e il contenimento delle tasse. Nel 1926 De Stefani poté vantare un debito pubblico al 50 per cento del pil. Ma sapendo che era per effetto soprattutto del condono del debito estero da parte degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. Da qui il progetto di una Cassa d’Ammortamento, che il nuovo ministro del Tesoro Volpi realizzerà un anno dopo. Abbastanza per riportare la lira nel gold standard, con la famosa Quota Novanta (92 lire, esattamente, per una sterlina).
“Nel 1936, per finanziare la guerra in Etiopia, Mussolini emise un prestito doppiamente forzoso sugli immobili. I proprietari di immobili furono obbligati a sottoscrivere un prestito venticinquennale in proporzione al valore degli immobili stessi. Una imposta immobiliare straordinaria fu levata per il sevizio del nuovo debito.
“Le vie della finanza sono imperscrutabili, dal punto di vista della giustizia e della politica. La "manovra" di Mussolini nel 1936 è certo roba da fascismo, seppure anticapitalista: il prestito forzoso è odioso, e anche autoritario. E tuttavia è meglio, è meno ingiusto e più democratico, di una imposizione fiscale elevata, la più elevata al mondo, che a ogni manovra – ogni sei mesi – si aumenta.
La Spa del debito
“Nel 2005 l’ex ministro delle Finanze Guarino ha proposto un consolidamento sotto forma di una società per azioni, alla quale conferire i tanti attivi non esigibili dello Stato. Una società privata, fuori cioè dello Stato. In grado di produrre utili, e di raccogliere quindi un conveniente numero di sottoscrittori privati. Questo grazie al conferimento di un patrimonio che Guarino stimava in 450 miliardi, pari al 35 per cento del debito (di allora). Forse addirittura in 600 miliardi, pari al 45 per cento del debito, che così sarebbe sceso sotto la soglia virtuosa del 60 per cento del pil.
Era una stima prudente: il patrimonio pubblico, dello Stato e degli enti locali, si valuta in 1.800 miliardi. Togliendo dal computo i beni artistici, e quelli locali, difficilmente mobilitabili, l’Agenzia del Demanio calcolava all’epoca che beni per 450 miliardi si potevano agevolmente mettere sul mercato: partecipazioni, quotate e non, immobili, crediti. Il debito sarebbe stato abbattuto a mano a mano che le quote di Debito Spa venivano vendute agli investitori. Per un controvalore stimato appunto fra i 450 e i 600 miliardi.
“Il professor Guarino era un ex democristiano, senza più autorità, per di più ministro dell’infausto governo Amato nel 1992, e la sua proposta non ebbe fortuna. Lei stesso ridusse l’attivo ipotetico della Debito Spa a 60 miliardi, e poi non ne fece nulla. Inoltre, Guarino prevedeva che fossero le banche e le grandi imprese italiane ad avviare il successo di Debito Spa nel mercato, prendendone una quota di almeno il 10 per cento, e oggi le banche non sono in condizione di farlo, né le grandi imprese totalmente private, Fiat, Telecom, Pirelli, Autostrade, eccetera. La pratica, da lei passata al governo Prodi, fu affossata perché “economicamente priva di senso”. Ma il professor Messori, consulente di Prodi a palazzo Chigi, riteneva che in forma specializzata e non aggregata, con una serie di holding e non una sola, il progetto potesse riuscire.
Cassa d’ammortamento
“Una Cassa d’ammortamento è, insegna Jean-Baptiste Say, al cap. 30, “Sui prestiti pubblici”, del suo  Catechismo d’economia politica, “un mezzo per sostenere il credito del governo”. Domanda: “Che cos’è una cassa d’ammortamento?” Risposta: “Quando si mette un’imposta per pagare gli interessi di un prestito, la si mette un po’ più alta di quanto è necessario per pagare questi interessi, e l’eccedente è confidato a una cassa speciale che si chiama cassa d’ammortamento, la quale lo utilizza per riacquistare ogni anno, ai corsi di mercato, una parte delle rendite pagate dallo Stato. I ratei delle rendite riscattati dalla cassa d’ammortamento sono quindi versati in questa cassa, che li impiega, così come la quota di imposte che le viene attribuita a questo scopo, per il riacquisto di una nuova quantità delle rendite”.
“Say non amava il debito pubblico: “Un governo che vende delle rendite per appropriarsene il prezzo vende in realtà il reddito dei cittadini”. Non molti anni prima del suo “Catechismo”, nel 1776, una Cassa d’ammortamento era stata creata, col favore di Turgot, a fronte di un debito pubblico che all’improvviso apparve colossale, con lo scopo di rassicurare i sottoscrittori. Malgrado la Cassa, la Francia finì nella Rivoluzione. E la Rivoluzione, che si può anche dire provocata dall’instabilità finanziaria, finì negli assignats, cioè nella cancellazione della moneta”.
Se Prodi al Quirinale
Ma Prodi oggi, dovesse andare al Quirinale, probabilmente non obietterebbe. Successivamente alla proposta Guarino da lui bocciata, infatti, Il Mulino bolognese, un think tank  nel quale il Professore ha molto spazio, ha redatto “Debito pubblico”, una pubblicazione a cura del professor Musu, che è assolutoria e anzi incitatoria. No, categorica: “Il risanamento finanziario connesso a un processo di riduzione del debito pubblico può essere paragonato alla produzione di un bene pubblico, di un bene cioè del quale tutti i cittadini possono godere simultaneamente e in modo non reciprocamente esclusivo”.

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