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giovedì 18 aprile 2013

La sconnessione fa libri felici

Libro svelto, di pronta lettura, raggruppa scritti d’occasione (articoli, discorsi, conferenze), e i medaglioni di alcuni personaggi (Einaudi, Foà tra gli altri - e Vladimir Dimitrievic, geniale direttore di L’Age d’homme, ma altrimenti infrequentabile, è filoserbo). La Adelphi emerge in controluce su una “piccola storia”, a proposito dell’Enciclopedia Einaudi, che Calasso dice affetta da sovietismo (“sovietica era la pretesa, implicita nell’opera, di offrire la versione corretta di come si debba pensare”): “Uno dei responsabili dell’Enciclopedia Einaudi mi offrì un giorno di scrivere la voce «corpo». Gli dissi che mi sentivo onorato e perplesso, ma mi venne anche spontaneo chiedergli a chi  era stata affidata la voce «anima». «È una voce che non è prevista», mi rispose subito, come se avessi chiesto qualcosa di sconveniente. Mi fu chiaro in quell’istante che non ci saremmo mai intesi”.
Non un trattato. Dell’editore Calasso non dice l’aspetto dominante, il mass market, la pubblicità, compresi i premi, le segnalazioni e le recensioni, le “cordate”, le librerie come catene commerciali – solo l’aspetto romantico, rabdomantico. Non  una storia della Adelphi. Manca il boicottaggio anche aspro negli anni 1970. A partire dall’espunzione dei suoi libri dalla librerie Feltrinelli, in una coi titoli Rizzoli, eccetto la Bur, Rusconi e De Agostini, nell’estate del 1969, quando il Lem dell’Apollo allunava nel Mare della Tranquillità – l’Italia è sempre stata un po’ fuori del mondo. È una storia di capacità e di successo, anche se la casa è finita nel gruppo Rcs – per esempio la riproposta di Simenon, 45 romanzi “duri” e qualche Maigret, “stabilizzati su una tiratura iniziale di 50 mila copie”. E una non piccola memoria per la storia dell’editoria, di un’editrice incoerente o informale – l’insegna di Calasso è “sconnessione”. Che non esclude la “forma”, e anzi la coltiva, nella scelta e nella proposta, di grammatura, tonalità (non il bianco Einaudi ma l’opaco, e per le copertine l’imitlin, a rete), colori, copertine, formati (e andrebbe aggiunta la colla, i libri Adelphi sono difficili da maneggiare). Calasso si rifà a sant’Ignazio di Loyola, che lasciò decidere alla sua mula il suo destino, e alla vedica śraddhā, “gesto mentale”, la fede della conoscenza.
L’anamnesi è alla fine pessimista, molto, dietro l’intenzionale difesa dell’editore, sotto il titolo “Faire Plaisir”. E tuttavia i libri ci sono, e si vendono come non mai, in Italia – avendo cominciato a occuparsene nel 1968, nel “Giornale della libreria”, quando le librerie erano un decimo delle attuali, arcigne, infrequentabili, e i libri un centesimo, non si può non rilevarlo. Anche per merito dell’editoria, che ha variato e moltiplicato, come lo stesso Calasso riconosce, il “pubblicabile”, allargandolo ai generi più infidi.
Adelphi si può dire che parla per sé: la Biblioteca e la Piccola Biblioteca sono il catalogo più vivente. Ma di morti, di ripescaggi. Per fare giustizia alla storia contro le tante censure,  ma anche per scelta, del solido, stagionato. Non c’è un autore nato con Adelphi. L’eccezione è forse Pessoa, che “nasce” con Adelphi, sebbene tardi, nel 1979. E il Simenon dei “romanzi duri”, che dopo Adelphi anche la Francia comincia a rivalutare. Ma si parla sempre di morti.
Calasso fa l’elogio del “libro unico” di Bazlen. Ma l’editrice si costruisce anche, e poi si accredita, per le “opere complete”, Joseph Roth, Savinio, Simenon, Blixen, Nabokov, Bernhard, Landolfi, ora Némirovsky e Malaparte, Nietzsche naturalmente, Schopenhauer, molto Heidegger. Unica in altro senso è l’editoria, una delle forme più incerte di imprenditoria. Bazlen che si vuole nume tutelare di Adelphi è rivelatore: se ne è fatto un mito, e sicuramente ne avrà avuto gli stamina, di curiosità, sapienza, amabilità, ma i titoli “unici” con cui fece debuttare la casa editrice, prima che Fuà e Calasso mettessero riparo, sono catastrofici per snobberia, Daumal etc.
Roberto Calasso, L’impronta dell’editore, Adelphi, pp. 164 € 12

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