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lunedì 13 maggio 2013

L’“eterna sinistra” di Mussolini e Hitler.

“Un giorno la questione della gerarchia delle motivazioni di Hitler  e del nazionalsocialismo dovrà diventare un punto controverso specifico della letteratura scientifica e la tesi della predominanza dell’antibolscevismo potrebbe esserne il punto di partenza”. Con la consueta acribia Nolte vi ha dedicato quindici anni fa questa riedizione, che ha appositamente curato per l’Italia, dei suoi “Streitpunkte”, concentrandola sulla secondo parte, il nazismo in rapporto al bolscevismo. Il sottotitolo dell’edizione italiana è “Nazionalsocialismo, bolscevismo, questione ebraica nella storia del Novecento”. Ma dotandola anche dei due saggi finali della prima parte, una discussione delle tesi revisioniste – e negazioniste – dell’Olocausto (su cui era centrata l’edizione originale del 1993, gli “Streitpunkte” richiamando lo Historikerstreit di qualche anno prima sul nazismo “male assoluto).
Questa prima parte ha un curioso effetto boomerangSi sa, si avverte, è pure inevitabile, passato il pericolo sovietico, viene anzi detta, un’ansia corrente in Germania di revisionare la storia della guerra e dello sterminio. Qui anche esplicitato, seppure in nota (p.169): “Chiunque cercasse la singolarità nel crudele e nell’atroce dovrebbe esplicitare a se stesso come solo le condizioni del dopoguerra abbiano messo temporaneamente fuori gioco i principio del «tu quoque» o del «tu prius»”. In chiaro: la divisione del mondo, dell’Europa e della Germania in due ha impedito a lungo l’attribuzione delle corresponsabilità della guerra e della sue atrocità, se non della colpa originaria – il gioco irresolubile dell’uovo e della gallina, e dei topi tutti grigi.
In quanto storico accurato, Nolte non teme di esporsi su questo fronte, di flirtare col revisionismo. Il negazionismo in cui Nolte si cimenta, compassionevole, è il più pernicioso. Sembra insidioso, ma è assurdo. Egli stesso si costringe da un lato ad argomentare la confusione  (delle autorità, delle procedure) nel totalitarismo che contesta, dall’altra pretende una non credibile rigidezza dell’ordinamento carcerario: “Nessun comandante dei lager poteva di sua iniziativa comminare anche una sola pena corporale, ma doveva chiederne l’autorizzazione a Berlino e , quando si trattava di donne, doveva essere il capo delle SS a concedere personalmente questa autorizzazione” (p. 162). Ingenuità?
Un universo chiuso, in cui ci sono solo la Russia, la Germania e gli ebrei - per metà russi per metà Usa, da ultimo nella forma di Israele. A p. 177 un excursus impressionante vede soltanto la Germania in Europa. In polemica non dichiarata con Fritz Fischer, lo storico suo contemporaneo, che ha accertato la responsabilità decisiva della Germania nella grande Guerra (“Assalto al potere mondiale”), e accettandone curiosamente questo presupposto, Nolte lo ribalta in una sorta di inno trionfale: “Il Reich tedesco era la potenza europea di gran lunga più forte e meglio organizzata”, etc., etc. E avrebbe vinto non ci fosse stato l’intervento Usa. Avrebbe anche portato all’“unificazione dell’Europa continentale sotto la guida del suo Stato più forte”, a una unione non imposta e quasi benvoluta. Non fosse stato sempre per gli Usa: “L’entrata in guerra degli Usa costituì invece il presupposto per un orientamento contro la Germania”, etc. Da cui tutti i lutti: Versailles, il revanscismo, Hitler. L’effetto è di finire ributtati sulla prima versione del nazismo e della sua guerra, quella della propaganda e di Norimberga.
Ciò è vero, per questo aspetto, anche della seconda parte della raccolta: la guerra sconsiderata all’Urss (occupare l’Urss….), è una sorta di gigantesco harakiri, da propaganda da quattro soldi. Una storia “nuova” (accurata, vera) si può fare solo ammettendo la Colpa, l’unità (la follia, la vergogna) della guerra e dello sterminio. Altrimenti ci si arrampica sugli specchi: se la Soluzione Finale non sia piuttosto Complessiva. O Radicale. E se – sfidando il ridicolo – la morte per asfissia, producendosi in pochi secondi, non sia più misericordiosa di quella dolorosa per fame (magari con testimonianze a sostegno di ebrei eccellenti, come il Nobel Brodskij, sulla morte per fame nel gulag). O se per la ferocia delle Einsatzgruppen, specializzate nelle retate di polacchi, ebrei e russi, che poi falciavano col mitra, “i concetti più adeguati di tutti non sono «massacro» o «assassinio», ma «reazione preventiva esagerata», oppure «sproporzione dei mezzi»”. Per non dire della teoria che vuole i commando omicidi una reazione alla deportazione dei tedeschi del Volga – che dopo la guerra riapparvero com’erano.
Su questa seconda parte, però, centrale in questa edizione, la “provocazione” di Nolte, pur scontando i diversi background e le antagonistiche finalità di Lenin e di Hitler, è ancora utile - “Il postulato fondamentale di Hitler: un antibolscevismo «bolscevico»”. Non è una novità storiografica. Era il punto di vista, tra gli altri, di Hjalmar Scacht, il banchiere che salvò il marco, lanciò il New Deal con la piena occupazione, e riarmò la Germania di Hitler, il tutto in due anni,  nel 1964. Ma sempre si trascura che l’Unione Sovietica è stata l’Europa per quasi tutto il Novecento. Ha pesato sulla prima guerra. Ha determinato il corso del primo dopoguerra, in Polonia, Germania, Ungheria, Italia, Francia, Spagna e altrove. Ha deciso il corso della seconda guerra, alleandosi a Hitler e poi sconfiggendolo a Stalingrado. Ha determinato la storia successiva, esterna (la guerra fredda) e interna (terrorismo) della maggior parte dei paesi europei, fino allo scudo stellare. Prima di Hitler, e durante il suo regno, nessuno dubitava che l’Europa non stesse per diventare bolscevica, da Tampere al Po e Algeciras, così come dopo a lungo si è scontato.
Le lettura di Nolte è opportuna tanto più che l’Urss non c’è più: il suo crollo ha rideterminato tutto il corso della storia europea. Dell’Unione Europea per prima: gli squilibri non nascono dallo spread, lo spread nasce da una diversa morfologia dell’Unione dopo la ricostituzione della Germania.
La parte più provocatoria, ancora da sviluppare, è la più pregna: la categoria dell’“eterna sinistra”. L’inappellabile richiamo dell’uguaglianza, suscitatore di fede indiscussa e entusiasmo. Lungo la linea che va dalle plebi romane a Babeuf e Pol Pot. Ma senza trascurare Mussolini, che ne soffrì la sindrome fino all’inizio della guerra, e lo stesso Hitler. Se non che, non ultimo boomerang, la “purificazione” del mondo dagli “inetti e parassiti” deve attribuirsi anch’essa dell’“eterna sinistra”.
Ernst Nolte, Controversie, Corbaccio, pp. 209 € 6,50 (remainders)

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