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mercoledì 15 maggio 2013

Il poeta è felice senza il Partito

L’unica cosa che rimane del poeta?  “Sento a tal punto la mia libertà che non sono più padrone di me stesso”. Poi vivrà nella bugia, e nell’opportunismo. Testimone di molte infamie, per esempio dell’assassinio, a suo dire, di Gor’kij. E di alcune anche autore, a carico per esempio di Kravchenko, l’autore nel 1948 di “Ho scelto la libertà”, la prima testimonianza del gulag, che poi, persa la causa intentata da Aragon si suicidò  (al processo Roger Garaudy, filosofo cattolico e comunista, assolse i campi con l’autorità di Giovanna d’Arco, Lacordaire, Carlo V e Renan, il tribunale di Parigi non credette a Margarete Buber Neumann, che era stata in un campo in Kazachstan “grande due volte la Danimarca”, sentenziando non potersi dire un campo “se non è cinto da mura”). E tuttavia stalinista, anche alla memoria. Marcato stretto da Elsa Triolet, l’inflessibile musa sovietica.
Qui Aragon è giovane alla conquista di Parigi. L’originale significa specificamente contadino, Paolo Caruso ne ha però ben tradotto il senso con “paesano”, provinciale. Reduce dagli smanettamenti adolescenziali con tipi pericolosi, Montherlant, Drieu (“Guy”, “Aurélien” di altre sue narrazioni) e E.E.Cummings. Poi s’innamorerà del Partito, nelle vesti della musa venuta da Mosca. Sarà il “fou d’Elsa” - ma già ambiguo “con d’Irène”, con un apertissimo infine “il n’y a pas d’amour heureux”, non c’è amore felice, il verso per cui è celebre. “Il paesano” è il libro di come uno scrittore, una vita e una storia avrebbero potuto essere, non fosse stato per l’ideologia e l’opportunismo. Un’esistenza nella quale l’idea di piacere trova poco posto, riempita dal piacere stesso, “giovane di ogni bellezza” che a lungo manterrà “il sentimento del meraviglioso quotidiano”, da tutto “distratto, eccetto che dalla distrazione”.
La vita da un certo punto di vista Aragon non la sbagliò: il “figlio della nonna”, rifiutato dai genitori, si rifece nel Partito con gli onori e una sontuosa dimora con annessa proprietà a Saint-Arnoult, che Elsa governava. Ma era una maschera. A maggio del ’68 si lasciava così presentare da Cohn-Bendit: “Silenzio compagni, parla un traditore”. Detesto la curiosità, aggiungerà in “Mentir-vrai”, che non si traduce, non mi diverte, detesto la stupidità. Si detestava, forse, infine. Ma non è solo, censure e autocensure hanno reso malagevole al realista contemporaneo, al testimone, di dire la verità. Lui lo sosterrà, sempre convinto: “I realisti dell’avvenire dovranno sempre più mentire per dire la verità”. Ci vuole disonestà per il genio, è il limite della virtù.
Aragon, Il paesano di  Parigi, Est, pp. 200 € 2,79 (remainders)

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