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venerdì 27 dicembre 2013

Letture - 157

letterautore

Beckett – È stato il logico della Rete? Ne è il grammatico. Del teatro internettiano. Nei gruppi, le chat, i forum, sui blog, su twitter, su facebook, ognuno esprime se stesso interloquendo solo temporalmente con gli altri – nel senso che una battuta segue l’altra, senza accordarvisi. Che non legge e a cui in realtà non risponde. Imponendosi e obliterando l’altro. Una conversazione asintotica, in cui ognuno s’inalbera a un certo punto – una virgola, un aggettivo, una preposizione, un malinteso. E si eleva come per levitazione, o anche perpendicolarmente si erge (s’imbizzarrisce, si direbbe in una conversazione equina).
Lo stesso apparato di segnalamento, con le tag o parole chiave, definisce una comunicazione asintotica (asintattica).

Confessione – Charles Dantzig, “Dictionnaire egoïste de la littérature française”, definisce “avvocati” gli scrittori di confessioni, autori che “si indirizzano a un pubblico, giudici immaginari o platea plaudente”. Poi caratterizza Stendhal, scrittore di molti diari, annotazioni, lettere,  e dei “Ricordi di egotismo”, per “l’assenza di narcisismo”. Che sembra una battuta, ma ha una ragione: si è tentato d’identificare Fellini con la “dolce vita”, piega Dantzig, mentre Fellini era contro, e così Stendhal, si scrisse perché non si trovava.

Dante – La sua forte filologia e la forte politologia sono vive ancora dopo sette secoli. Anch’esse contribuiscono alle sue periodiche resurrezioni.

U. Eco – Burlesco? Anche lo studioso, a suo modo, lo è, che fa la semiologia di Mike Bongiorno, o di Pinocchio, o del conte di Montecristo e il romanzo popolare. Non irridente, ma sorridente sì. È è lo studioso del “qui lo dico e qui lo nego”, o “che scienza è questa”: molto  decostruttivista. Della scienza con la falsa scienza. Della storia col complotto permanente. Dovunque mette mano, anche ai famosi suoi repertori, la vertigine della lista, il bello, il brutto, il leggendario, è con lo scalpello abrasivo.
Rinnova un genere molo “italiano” nei primi secoli, e poi trascurato e anzi cancellato.  

Parola - In teatro è diventata insignificante, un fondo sonoro, un borbottio. Non da ora, da un paio di generazioni. Bisogna risalire ai grandi vecchi, Albertazzi, Paolo Poli, per apprezzare una dizione dalla prima all’ultima parola in teatro, sia pure per un paio d’ore di fatica. Il teatro ha adottata la forma mimo o danza, il linguaggio dei corpi, del movimento, delle forme. Forse più universale, ma nel senso dell’arricchimento, o non dell’impoverimento, della comunicazione?
La dizione è trascurata, e quindi la parola, in italiano e nella drammaturgia di lingua tedesca, non in quella inglese, per esempio. Sono tendenze nazionali? Di rifiuto, al fondo, della propria lingua.
Lo stesso al cinema. Anche al cinema la recitazione in italiano è poco comprensibile. Gli unici film “parlati” sono peraltro anglo-americani. E quattro quinti delle produzioni si girano in inglese. Non per questo o quel mercato - nei maggiori mercati, in Asia, il film è comunque doppiato. Per il rifiuto della propria parola, insignificante.

Plagio - La voce di Marlon Brando che caratterizza “Il padrino” è quella di Al Capone (è detto Ghette Colombo nel film, ma la figura, fisica e sorica, è di Capone) in “A qualcuno piace caldo”. Che è forse il soggetto più rifatto al cinema. Esso stesso remake di un film tedesco di otto anni prima, “Fanfaren der Liebe”, su soggetto di uno dei due soggettisti di “A qualcuno piace caldo”, Michael Logan. Poi adattato in molte versioni solo lievemente diverse.
Al cinema il rifacimento è la norma, ogni volta con copyright diverso. Il reato di plagio resta dove è meno rilevabile, nella musica e la prosa, nelle quali un accordo, di note o di parole, può variare anche solo per il modo di dar loro suono e senso – la lezione di Borges nel racconto“Pierre Menard, autore del Don Chisciotte”.

Pasolini - È un altro in due scelte che René De Ceccatty pubblica in Francia, i “Sonnets” e “Adulte? Jamais!”. Un poeta poeta, quale era e si voleva - prima che agitatore, a disagio e confuso, e per questo perentorio. Entrambe le raccolte sono ora disponibili anche in Italia, da una diecina d’anni, ma annegate nei due “Meridiani” ponderosi che Water Siti ha curato, non ci sono edizioni accessibili ai più. I “Sonetti” sono quelli scritti quanto l’amatissimo Ninetto Davoli gli annunciò che si sposava. L’antologia si compone di molte poesie dei vent’anni, poco prima e poco dopo il caso di pedofilia per il quale il poeta fu processato e che risolse lasciando il Friuli per Roma, col sostegno sempre della madre: il “Canzoniere per T”, Tonuti Spagnol, il ragazzo di cui era innamorato, 1946-1947, molte poesie in friulano del 1943-45, alcune della raccolta “Le cose”, altre da “L’italiano è ladro”, contemporanee allo scandalo. C’è poi molto del “Diario” a Roma all’arrivo, nel 1950, e del successivo “Ritmo romano”. Anche la scelta tratta dall’“Usignuolo della chiesa cattolica” è diversa: “La Passione, “L’Annunciazione”, L’illecito”, “Il narciso e la rosa”, “Deserto”, “L’Italia”..
Non sarà “tutto il vero” Pasolini, ma una parte importante sì – che ancora si tace,

Stendhal - È il romanziere della politica. In tutte le sfaccettature: romantica, eroica, corrotta (appalti). L’unico che la fa rivivere (vibrare) in racconto – Nievo si potrà dire stendhaliano. Si lega Balzac agli appalti, Flaubert alla donna, Tolstòj alla guerra (pace), Dostoevskij al demonio, Kafka all’assenza.
Un narratore razionale, dunque. Lo si vuole in passionale, ma non si vede dove. Nei “Diari”? Uno stendhaliano, Jacques Laurent, opina che la “passione” sia solo tattica: un’affettazione in una strategia complessivamente ludica, o d’azzardo – di gioco. Una conclusione non affrettata, Laurent ci arriva con letture comparate di vari testi simultanei, lettere, diari, narrazioni.

È al seguito di Napoleone, alla conquista dell’Italia, attraverso le Alpi, e a Milano da liberatore, a 17 anni. Si capisce che sia rimasto sempre in quel’età felice, e infelice.
Al seguito di Napoleone fu anche in Russia, l’unico scrittore che abbia avuto visione diretta del silenzio di Mosca, l’incendio, il gelo, la fame, il panico (paura). E non ne ha scritto - giusto in una lettera alla sorella Paolina. Neanche nelle voluminose esercitazioni per l’abortito “Napoleone”. Le ha trasfigurate nella confusa Waterloo di Fabrizio Del Dongo nella “Certosa”? Ma la Russia ha preso sei mesi, d’incertezze più che di successi, e di disastri – di oltre 600 mila soldati della Grande Armée tornarono poco più di 100 mila, altrettanti restarono prigionieri, 400 mila morti o dispersi.

Liberale conservatore, nelle attitudini, e soprattutto nel linguaggio. Che l’Ottocento rifiutava – l’Ottocento non amò Stendhal – perché ancien régime.

letterautore@antiit.eu

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