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venerdì 27 giugno 2014

Vita da pensionato, alla Montaigne

All’improvviso è l’ora di Montaigne, di cui si ripubblicano anche i “Saggi” di Fausta Garavini “riveduti e corretti” - con l’originale fanno un libro di 2.500 pagine. Un doppio, uno specchio, un compagno, mai impositivo. Uno che non dà una filosofia, nemmeno scettica. È non dà soluzioni. La chiave del buon ricordo è questa, che non dà soluzioni? Ma uno che aiuta a “scriversi”, a conoscersi.
Il miracolo è doppio, essendo il personaggio invece uno che ha tutto per essere antipatico. Pre-pensionato, anzi pensionato baby, coltivatore incapace, padre di famiglia assente – eccetto che per la “figlia eletta” Marie de Gournay una giovane corrispondente alla sua tarda età. Da tutti i punti di vista un egotista. Anzi un cialtrone: uno che vive di rendita, dissipandola. Con appossimazioni. Quella per esempio, I, 25, di associare i turchi agli spartani in quanto negatori della cultura, e di tenerli per questo in gran rispetto – cosa non vera, e comunque, se lo fosse, ingiustificabile. Tutta roba che la biografa, competente archivista, non manca di sottolineare un po’ in tutti i venti capitoli, in ognuno di quelli che chiama inviti o tentativi di dare una risposta al quesito montaigniano “come vivere?”.
Titolo originale “How to live. Or A Life of Montaigne, in one question and twenty attempts at an answer”, questa “arte di vivere” è un esercizio in biografia, attraverso la rilettura dei “Saggi”. Una biografia un po’ acida. Prolissa a volte, ripetitiva, per indirizzarsi pedagogicamente a un grande pubblico. E, forse,  per voler essere equanime, cosa di cui Montaigne non ha bisogno. Con qualche faglia. Pietro, il padre, rappresenta dapprima soldato di ventura al seguito dei predatori francesi in Italia, e poi commerciante di dubbia moralità. Mentre fu padre sempre attento ai figli, quello che volle il piccolo Michel educato in latino, e alla moglie. Cui lasciò nel testamento il patrimonio e la gestione, fatto allora inconsulto. Lo stesso per varie idiosincrasie di Montaigne, di cui Montaigne era conscio, senza nello stesso tempo dare loro eccessivo peso. Ma è l’opera che ha contribuito per prima e con più sostanza al revival. E un saggio di grande cultura in tutti i contesti, oltre che di rianimazione degli archivi, con piglio narrativo.
Coi “Saggi” e tutto, Montagne fu del resto uno come tutti: non sapendo (volendo, potendo) più dedicarsi agli affari, evita il rischio che il suo maestro Seneca aveva individuato, di cadere in quella condizione che oggi si dice depressione, scrivendo le sue paturnie, anche le deprimenti. Iniziò così i “Saggi”, e li raddoppiò e triplicò a ogni rilettura, invece di “tagliarli”, come gli avrebbe imposto il moderno editor, semplificarli. La sua prima idea era di un commonplace book, una sorta di zibaldone, di chiose, glosse, appunti, promemoria, ma presto si esemplò su Plutarco, sugli opuscoli, tutti a tema. La saggezza viene assaggiandola.
Sarah Bakewell, Montaigne, l’arte di vivere, Fazi, pp.443 € 19

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