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lunedì 23 giugno 2014

Essere Montaigne, al mare

Successo alla radio, 39 mezzogiorni d’estate su France Inter, per un pubblico, si pensava, di pensionati a casa refrattari all’ombrellone. Ma il successo si è duplicato col libro che riunisce le conversazioni: uscito in sordina a metà maggio l’anno scorso, ebbe un solo “passaggio” in tv, due mesi dopo a Télématin, che però bastò a venderne tra luglio e agosto 100 mila copie, secondo solo all’“Inferno” di Dan Brown e alle “Sfumature”. Un miracolo? Non senza motivo.
Compagnon evita il massimario – cui Montaigne peraltro non si presta, gli almanacchi alla Schopenhauer: Charron ci aveva provato subito, ma il “Traité de la sagesse” fu un fallimento. Lega Montaigne alla sua vita, al modo di vivere (la solitudine, la famiglia, il cavallo), ai retroscena necessari, e alla storia del tempo, in ognuno dei quaranta capitoletti tematici. Al modo di Montaigne o della casualità, dell’ordine disordinato. Ma il successo è indubbiamente di lui, di Montaigne, solo reso leggibile, in cento invece che in mille pagine. Uomo attivo, in tempi di guerre e di pesti, diplomatico, “per esempio, mediatore tra i cattolici e i protestanti, tra Enrico III di Valois ed Enrico di Navarra, il futuro Enrico IV”, sindaco energico di Bordeaux in una pausa del buon ritiro nel castello di famiglia e della scrittura dei “Saggi”, l’opera della vita di Montaigne. Compagnon sa anche darne  con semplicità le chiavi dell’interesse costante che suscita nel lettore: “è uno scrittore”, “è un relativista”, è il cavaliere “in  equilibrio, in assetto precario”, è uno che non dispera e non si piange addosso, che ha e dà fiducia. La parola appartiene per metà a chi scrive e per metà a chi legge, si può dire parafrasandolo,  e nel suo caso l’equilibrio c’è e si rinnova.
È un moderato, senza essere un conservatore. E uno che sa ascoltare – fino a un certo punto. “Propone un’estetica”, come dice Compagnon, e un’arte di vivere nella bellezza (serenità d’animo). Nel gusto. Nel tempo sempre alla giusta cadenza – “quando danzo, danzo, quando dormo, dormo. E quando passeggio solo in un bel bosco, se i miei pensieri capita che si occupino di occorrenze estranee, io li riporto alla passeggiata”. Che sembra zen e lo è, senza l’applicazione dell’ascesi orientale, il maestro col bastone, e non per annullarsi ma per prendere possesso, della vita e di sé, nei limiti del possibile. Non presuntuoso, non ultimativo, non misogino, mai cattivo. Diretto: scrive breve come Cesare, nota Compagnon, con la “sprezzatura” che aveva trovato nel Castiglione, quello del “Libro del Cortegiano”. “Un antidoto contro la malinconia”, non, come lui stesso diceva ridendo, “una statua da collocare a un crocicchio”. O della perfezione dell’imperfezione.
Uno che vive solo e scrive solo, benché per un pubblico – dopo La Boétie, dai 25 ai 30 anni, non ebbe altri interlocutori. Che la solitudine rende amabile, attitudine non facile - non cedere all’amarezza. Per un equilibrio spontaneo oppure coltivato, non fa differenza. I “Saggi” si compongono per aggiunte, riletture, riscritture. Non come sistema filosofico e non per esercizio di saggezza – e come avrebbe potuto? Montaigne era scettico di proposito. Perciò curioso sempre: è questo il meccanismo. E tuttavia di giudizio certo (solido).
Il segreto della longevità di Montaigne è di aver dovuto cominciare a parlare in latino? Con istitutore tedesco inflessibile, su prescrizione del padre, legista altrettanto inflessibile; Cui il resto della casa doveva acconciarsi: “Mio padre, mia madre, i servitori e le fantesche in mia presenza dovevano usare soltanto quelle poche smozzicate parole latine che ciascuno di loro aveva imparato per comunicare con me”. Che sembra ridicolo, certamente non utilitaristico, ma è un progetto pedagogico degno di nota.
Antoine Compagnon, Un’estate con Montaigne, Adelphi, pp. 136 € 12 

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