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mercoledì 11 febbraio 2015

L’apoteosi del Buonannulla

Un selfie  appassionante , in forma di elusione-evasione picaresca, di un irrequieto “che non porta nulla a compimento, cambia e cambia continuamente” . Con qualche esagerazione rispetto allo Hamsun giovane – qui si ruba, e c’è stato forse l’assassinio di una giovane moglie – ma col personaggio di sempre, senza famiglia, senza radici, senza mestiere, povero e ricco insieme. “L’eterno sperduto del mondo” lo dice il curatore della “Medusa” alla prima edizione nel 1939, e “pittore di minutaglie”, con molta verità - forse lo stesso Luigi Rusca che dirigeva allora la collana di romanzi stranieri. Con un tributo alla giovanilità dell’allora settantasettenne scrittore (quattro anni dopo Rusca sarà un capo partigiano contro l’occupazione tedesca e Hamsun un collaborazionista). E così è.
È strano – un caso – che uno scrittore possa raccontare sempre la stessa storia, la sua, in ogni suo romanzo o racconto, e ogni volta sempre fresca. Cinquant’anni dopo “Fame” – e lo stesso del resto per le narrative intermedie - luoghi e personaggi sembrerebbero ricalcati, riciclati, e invece no, si leggono come nuovi e nuovissimi. Tutto è racconto vivo, anche dei vecchi che al giardinetto, ogni, giorno, “hanno cominciato a morire”. Mentre lui no, l’autore demiurgo ancora quasi centenario continuerà a raccontarsi alla stessa maniera, frivola e tragica, nell’ultima narrativa, “Per i sentieri dove cresce l’erba”, benché lo tengano chiuso fra cliniche e ospedali per non condannarlo alla prigione. Irridente, qui delle vanità femminili. Con una satira della presa di possesso sindacale – della rivoluzione come presa di possesso – prodroma a sicura rovina. 
Abel è il protagonista, come il primo figlio dell’uomo. È il vagabondo, “lazzarone e gentleman insieme” - il Buonannulla dei referenti germanici di Hamsun. È l’apoteosi del Buonannulla, ora ricco ora povero, ora amato ora sfruttato, e indifferente. Senza progetto e senza scopo, come tanti, come in definitiva tutti: “Uno senza nome, un nulla, uno zero”. Uno che aspetta sempre “il momento buono per fare qualcosa”. Uno sradicato, contro l’istinto di ogni specie animale.
C’è un miracolo Hamsun, ed è la scrittura. Se riesce a vivificare una materia che non solo è ripetitiva, ma è anche effettivamente di “minutaglia”, di piccola gente, piccoli affari, piccoli sentimenti. Una scrittura stregata e stregonesca. Il suo segreto qui palese sono i dialoghi, di cui è stato maestro per tanti, a partire da Hemingway,  così vuoti e pieni.
Knut Hamsun, Il cerchio si chiude

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