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lunedì 9 febbraio 2015

Secondi pensieri - 205

zeulig

Classicità – È frammentaria. È storia, ricostruzione storica. È composta di frammenti, ricostruiti a volte, rimessi insieme. Contro il principio che il vaso rotto non si ricompone. Un puzzle più o meno verosimile. Di alcuni autori piuttosto che di altri, le tragedie greche per esempio, che sono quelle scelte e fatte trascrivere da Licurgo nel 335 a.C. – un canone composto  di alcune opere di alcuni autori, non tutte intiere, e più o meno ricopiate fedelmente e\o riadattate. Mondi, opere e personaggi si scompongono anche a seconda dell’illuminazione che vi si proietta: di luci, toni, angolazioni, tagli,di prospettiva e di testi.
È anzi il campo privilegiato della storia, dell’ermeneutica. Il sottinteso essendo che la classicità è normativa, e quindi va ricostituita, interpretata e presentata. Un procedimento tanto più vero – dichiarato – agli inizi del classicismo: gli umanisti se ne sono serviti, forse non proditoriamente. per dire altro. Anche per gusto antichistico. Ma di più per liberarsi di una normativa etico-religiosa che sentivano stretta e inadeguata.  Coma fattore di rinnovamento, quindi, più che di ricostruzione dell’antico.
Il frammentarismo è d’altronde il suo fascino: la classicità è un terreno fertile, basta seminarvi sostanze vive e riproducibili. Ciò ne spiega anche i cicli: la romanità oggi spenta, dopo un secolo e mezzo di fulgore, il revival di etruschi e italici, i fenici obliterati, la riscoperta micenea, o celta, le voghe.

Il mondo antico potrebbe non essere esistito, alla Baudrillard: è una scoperta e non una riscoperta – è una proiezione di sé: L’antico andrebbe più conseguentemente visto come Fellini, il regista, quando si apprestava a girare “Satyricon”: “Il mondo antico forse non è mai esistito, ma non c’è dubbio che lo abbiamo sognato”. Felini si apprestava a girare “Satyricon” – lo stesso poi con “Roma” - come “un film sui marziani”.
In una visita ai Musei Capitolini  in cerca di ispirazione (di immagini) il regista si fece accompagnare da un antichiesta. Che davanti al busto di Solonina o Salonina, a Fellini sconosciuto, che gli ricorda una cuginetta dai capelli ricci rossi, sempre allettata, a bere acqua contro un’allergia,  gli dice: “Questa Solonina era una specialista di stragi  crocifissioni, il suo più grande godimento era quello di togliere con le sue mani il cuore alle vittime umane durante i sacrifici”. Mentre Solonina non faceva sacrifici, tanto meno umani, assicurò col marito imperatore Gallieno il più lungo periodo di pace ai cristiani nella seconda metà del terzo secolo, e fu a suo modo una classicista, favorendo la ripresa degli studi greci.
C’è continuità ma a ritroso, a partire dal presente.  

Corpo - Locke prima del sensismo, nel “Saggio sull’intelletto umano”, spiega che non c’è niente d’intelligibile che non sia stato prima una sensazione – “È dal corpo che l’anima tiene la facoltà di pensare”. O D’Alembert, volendo bypassare la questione dell’innatismo: “Tutte le nostre conoscenze dirette si riducono a quella che riceviamo dai sensi”. Ma questo è già in sant’Ambrogio, “De Abraham”, libro II, cap. VIII: il vescovo di Milano vi spiega che non c’è nulla che non sia materia, eccetto la sostanza della Trinità.

Dio – “L’empio parla con disprezzo di ciò che crede al fondo del suo cuore”, Diderot. Anche se ne parla con compassione, ma non volendo credere. E certo è una forzatura, dovere o voler credere: credere è un atto e non un fatto o una condizione. La prova del divino è che sia così ingombrante. Il marziano ne è esente?

Dubbio – È il lievito  dell’esistente. E ne è la controprova: non ci può essere dubbio che di una cosa possibile. L’esistente – la realtà – è intessuto di possibilità – è una possibilità.

Fedeltà – Nella coppia è molto apprezzata da Diderot: “Non siamo più allo stato di natura selvaggio”, afferma con insolita eloquenza a chiusura della voce “Infedeltà” nell’ “Enciclopedia”, “in cui tutte le donne erano di tutti gli uomini, e tutti gli uomini erano di tutte le donne. Le nostre fedeltà si sono perfezionate; sentiamo con più delicatezza; abbiamo idee di giustizia e d’ingiustizia più sviluppate; la voce della coscienza si è risvegliata; abbiamo istituito tra noi un’infinità di patti differenti; un non so che di santo e di religioso s’è mescolato ai nostri impegni: annienteremo le distinzioni che i secoli hanno fatto nascere , e riporteremo l’uomo alla stupidità della prima innocenza, per abbandonarlo senza rimorsi alla varietà dei suoi impulsi? Gli uomini producono oggi uomini; rimpiangeremo i tempi barbari in cui non producevano che animali?”

Filosofi – Non possono darsi senza “un onesto superfluo”, spiega Diderot nell’ “Enciclopedia”. La con la casa in Toscana. Anche in Umbria. I “philosophes” della stessa enciclopedia e dell’illuminismo è regola censire come aedi e araldi della verità e la ragione. Ma hanno biografie controverse, tutti eccetto forse Diderot. Erano anche poco anticonformisti: a metà Settecento la guerra ai gesuiti e per il laicismo era matura anche senza i loro pamphlet e trattati. Molti lasciarono  l’“Enciclopedia”, che non pagava, quando il censore Malesherbes rischiò di non poterla più proteggere, a metà opera – l’ “Encicloepdia” è di Diderot. Voltaire fu sempre accomodante, anche al di là delle convenienze. Quando Palissot fece rappresentare alla Comédie Française “Les Philosophes modernes”, contro gli enciclopedisti e i loro sostenitori, Helvétius, Rouseaau, Diderot (“Dortidius”), madame Geoffrin, rappresentati con nome e cognome quasi alla lettera quali intriganti, bricconi malversatori, ricattatori, Voltaire rispose due mesi dopo con una contro-commedia, sempre alla Comédie Française, “L’Écossaise ou le café”. In cui però non attaccava Palissot ma il solito Frèron – Palissot era un suo protetto.
Nella bilancia fra il potere e l’antipotere, l’illuminismo pende più a favore del primo piatto.

Occidente – È, fatte le somme, si sa, la ragione. Che è presuntuoso, presumere troppo di sé. Ma inutile non è. E consente l’understatement, quella specie di regia teatrale con cui il regista fa delle sue pedine prodi Orlando sul Baiardo. Se è qualcosa, la ragione è utile: capisce, fa. I filosofi fanno buoni manager, e i pedagoghi.

Razzismo - È nozione composita, contrariamente all’opinione comune, anche quando si vuole biologico (“sangue”, “territorio”, etc.). Nozione non scientifica, ma pratica (politica) e sentimentale. Il razzismo più radicale, quello nazista, temperava il dato genetico e territoriale con la “tenuta”, lo “stile”, l’ “impronta” di Heidegger, il “mondo ambiente”, l’“essere in comune”.

Selfie – Ha Heidegger per araldo, inconsapevole: l’affermazione del sé e la cura del sé. Nella ripetitività, la superficialità, inutilità. Di immagini falsamente reali – Roma pullula di selfie davanti al Pantheon, a San Pietro, all’Altare della Patria, a Castel Sant’Angelo e perfino al Palazzazzio, di cui non resterà forse nemmeno il nome di Roma, giusto l’emozione per il grandioso e il massiccio. Di questa affermazione e questa mania resta solo il movimento introspettivo. Ma inesausto e inesauribile, insignificante. Divorante anzi, non costruttivo: divagante. Nemmeno, come usa la psicoanalisi, asservito a certi parametri – noti: depistabili, contestabili. Una deriva passiva.
Quanto di questa deriva non era inevitabile?

zeulig@antiit.eu

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