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sabato 14 febbraio 2015

Un presidente islamico, di centro

Una fiction di fantapolitica alla Ballard, alla Philip Dick, anche loro come Houellebecq narratori, saggisti e filosofi. O meglio, essendo la narrazione senza suspense, né artifici terrificanti, al modo delle “vite immaginarie” di Walter Pater, e poi di Schwob, di uno dei due filoni, quello del contesto, di cui Houellebecq narratore è specialista, della storia possibile - l’altro è far rivivere una persona come personaggio, dal vivo, senza cioè il distacco prospettico e critico del biografo perfezionista, che la verità storico-psicologica atteggia come attendibilità, attento ai particolari, alle virgole, alla lettera (il filone di “vite immaginarie” di cui è cultore Emmanuel Carrère - “Limonov”, etc. – ora il più entusiasta sostenitore dell’umorale Houellebecq, soprattutto di questo). Il fatto è semplice: fra non molti anni, contro Marine Le Pen, gli altri partiti candidano un “centrista” d’obbligo islamico.
Il titolo è del film olandese dieci anni fa, di Theo van Gogh e Ayaan Hirsi Ali, una sfida che provocò una mezza guerra di religione - opera di coraggio, o di provocazione. La storia è diversa, divertente. E quasi appeaser, a fronte dello scandalo sopravvenuto con le stragi a Parigi. Di una vigilia elettorale in cui il partito islamista di Francia si avvia a prendere il potere, in un futuro non lontano. Una satira bonaria, della maniera come l’Europa si fa fare dagli eventi: l’immigrazione di massa, l’islam. Nel mentre che fa come se il Mediterraneo, l’Africa, l’Asia non esistessero, non alle sue frontiere. Che le stanno  invece alle costole, e in tutti i modi vogliono possederla, senza più complessi e senza rispetto. È una storia di possessione più che di sottomissione: non c’è masochismo, se non nella passività, nell’inerzia.
La sottomissione di Houellebecq non è nemmeno quella di maniera di cui si fa carico all’islam - che significa “sottomissione”. Della passività, cioè: l’islam è al contrario bellicoso e conquistatore, fertile di figli e di odio. È quella dell’europeo nella sua buona coscienza, di ecologista, animalista e agnostico. Houellebecq non è anti-islamico, cioè finge di non esserlo – così come i suoi editori: fa di peggio, ride dell’Europa sciocca. Di un’Europa passata in una generazione dalla “fortezza” alla spiaggia indifesa, con una popolazione allogena cresciuta in pochi anni a un decimo del totale e in rapida moltiplicazione – i coefficienti demografici la danno maggioritaria tra non molto. L’Italia registra ogni anno un record negativo di nascite, e si dice la crisi. Ma la Germania pure. E la fertilità ha i suoi ritmi che vanno come treni.
La storia è semplice, di come la Francia si è adattata, quando fra non molto un islamico si candiderà vincente alla presidenza. Non arrabbiata, alla maniera dei pamphlet di Oriana Fallaci che si ripropongono. È naturalmente un islam attraente, non solo per la poligamia. A cui le donne non si ribellano – ma Houellebecq è sicuramente misogino. Si possono (ancora) avere idee diverse. E si beve, tra gli stessi agitprop del presidenziabile – l’ottimo Mersault, lo chardonnay verdeoro della Borgogna.
Sprezzante ma non il solito Houellebecq: non acido e arcigno, ma uno divertito e forse sorridente. Distaccato, tra il comico e il cinico – è un po’ il personaggio dei film in cui si è ultimamente specializzato, “Near Death Exprerience”, e “The Kidnaping of M.H.”. Un divertissement, si sarebbe in altra epoca editoriale. Per il lettore pure. Probabilmente anche per il lettore islamico. Un apologo più che una fantapolitica visionaria. Un tempo si sarebbe detto un’utopia, in Campanella, o in Tommaso Moro che inventò il genere. O in Orwell che lo ha rovesciato, in utopia negativa o distopia. Ma non l’Orwell di “1984”, scientificamente plumbeo, quello della leggibile “Fattoria degli animali”. In forma di apologo.
Houellebecq non è altrettanto godibile perché ha eletto a suo mondo quello comune, “simenoniano”, della piccola gente. Non protagonista della storia, e nemmeno sua vittima, ma gregario, in qualche modo remissivo. E per ciò stesso malinconico, senza dover essere – in questo caso – razzista: la sensazione il racconto diffonde che quella che viviamo non è un’osmosi, un incrocio o meticciato in qualche modo avvincente, ma uno tsunami di varia umanità, cui non si può non rassegnarsi.  
Michel Houellebecq, Sottomissione, Bompiani, pp. 252 € 17,50

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