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mercoledì 15 aprile 2015

Letture - 211

letterautore

Duemila – È un calco di Huizinga, “La crisi della civiltà”, 1935? O Huizinga aveva poteri profetici? Paure vecchie e nuove, timori di catastrofe, natura problematica del progresso, la scienza e i limiti del potere di pensare, l’indebolimento del giudizio, il declino dello spirito critico, il cattivo uso della scienza, la sconfessione del’onestà intellettuale, il culto della vita, il deterioramento degli standard morali, l’eroismo, il puerilismo, la superstizione, arte e letteratura estraniate dalla ragione e la natura: è questo l’indice degli argomenti che lo storico olandese trattava criticamente nel 1935. O: il pessimista ha sempre ragione?

Dio – “Sommamente stupida e crudelmente comica la cosiddetta parola di Dio!”. Parole divine quali che siano le parole di Dio.
Al § VII delle riflessioni titolate “Agonie” e confidate all’amico Le Poittevin, datato 20 aprile 1838, quindi già di 17 anni, Flaubert ha questa “cosiddetta” parola di Dio. Al § VIII “l’ultima parola del sublime in arte”.

Eutanasia – “Sentendosi vecchio, Mathurin decise di morire, stimando che la grappa molto stagionata non ha più sapore! Ma perché, e come metterlo in pratica?”. Il dottore è il primo personaggio di Flaubert narratore, quando lo scrittore aveva 14 anni – il perché non se lo chiede, il come è un banchetto. La letteratura ne è sempre stata piena, della buona morte. La novità è che la si vuole per legge. Insidiosa, e non senza colpa: somministrata da altri a comando, agenti della buona morte che è sempre insidioso delegare, o dando a qualcuno la facoltà di decidere per un altro, il figlio stanco, il genitore, lo Stato provvido. È parte della legificazione come realtà.

Grass – Lo “specchio straordinario del nostro Paese” (il presidente della Repubblica Federale Joachim Gauck) era anche molto italianista. Per il calcio. E perché apprezzato in Italia per il giusto verso, riteneva, grazie a interpreti creativi, Enrico Filippini, Inge Feltrinelli. Uno dei pochi tedeschi non indifferenti al papato di Ratzinger. In Italia si era anche “liberato” nel dopoguerra.
L’ambizione di Grass diciottenne smobilitato era di fare lo scultore. Ma non riuscì a farsi ammettere alla scuola d’arte di Düsseldorf. Fece altri tentativi in Germania, poi – deluso anche da un’innamorata - provò a Roma. Dove invece fu accettato, per un breve periodo fino a fine corso. Il corso successivo poté  invece frequentarlo alla scuola di scultura dell’Accademia di Belle Arti di Palermo, dove era arrivato per svago con mezzi di fortuna. Senza le fisime burocratiche che avevano reso difficile la sua accettazione all’Accademia di Düsseldorf .
In attesa della corrispondenza, di questa formazione in Italia si sa il poco che Grass lasciato nelle narrazioni autobiografiche. Che sono in pratica una, “Sbucciando la cipolla”. La quale è più rappresentazione che memorialistica. In più punti Grass fa caso di Ratzinger, che ritiene di avere incontrato coscritto, in caserme e in campi di prigionia. E menziona la sua fiamma di Palermo, Aurora Varvaro, in tono molto elegiaco, come il primo e vero amore.
Nel pacchettino per il viaggio di ritorno che Aurora gli ha preparato – era il 1947, o 1948, tempo non di scialo – Günter Grass è sorpreso di trovare, “accanto a biscotti e fichi secchi”, anche “una mezza dozzina di uova sode”. Il solido tedesco è sorpreso dal realismo dell’innamorata giovanissima – 17 anni contro i venti-ventuno del futuro scrittore.
Ad Aurora lo scrittore premio Nobel si dirà legato ancora per cinquant’anni - ora sessanta e più: “il mio amore non vissuto ma sopravvissuto”. Senza più – senza rimpianto né emozioni. Aurora non è neanche scomparsa nel nulla. È pittrice e ceramista, vive alle Eolie e ha fatto molte mostre.


Keynes – La “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”, 1936,  l’economista Joseph Schumpeter perfido celebrò all’istante come “il più grande successo letterario della nostra epoca”, nella monumentale incompiuta “Storia dell’analisi economica”, che sarà pubblicata postuma nel 1954. L’intento di Keynes era, invece, politico. E, curiosamente, liberale e anti-marxista: “Saranno distrutti i fondamenti ricardiani del marxismo”, così preannunciava nella corrispondenza la “Teoria generale che andava elaborando.

Machiavelli – Un catalogo di libri inglesi d’occasione elenca i “Discourses on the First Decade of Titus Livius” nella narrativa. Magari gli sarebbe piaciuto.

Bodin inizia la sua grande opera, “De la République”, con un’invettiva contro Machiavelli – “un’invettiva che era di rito per un autore cristiano”, osserva Bobbio. Ma poi, a proposito di ciò che differenzia il buon principe dal tiranno, sostiene: “Non si può considerare tirannico quel governo che debba valersi di mezzi violenti, come uccisioni, bandi o confische, o altri atti di forza e d’armi”.

“Questo grande conoscitore della natura umana” lo vuole Puškin, che ne possedeva l’edizione francese in dodici volumi, in una nota dei postumi “Table-talks”. La cattiva fama Puškin attribuisce al gesuita Possevino, molto attivo in Russia nel Seicento. Che, annota, “non aveva mai letto Machiavelli ma lo interpretava per sentito dire”.

Mansfield – La scrittrice che ebbe sempre vent’anni – anche perché è morta giovane, a 34 anni - per una notte d’amore con Francis Carco nella grande guerra si sobbarcò un viaggio da Londra a Parigi e poi al fronte.
La sua opera si può dire continuata da Irène Némirovsky, per la quale fu lettura costante. Lo stesso brillio caleidoscopico e l’apparente futilità della scrittura. Nonché una psicologia applicata (ai personaggi) capricciosa più che coerente. Solo la materia è più dura in Némirovsky rispetto a Mansfield: l’avidità, la violenza, l’indigenza. E i sentimenti, che sono bassi più spesso che lievi o elevati.

Le Monde – Come già per Tabucchi, che su “Le Monde” insolentì Ciampi, Parigi val bene una messa? Martone è teatrante d’ingegno - anche se non per l’opera. A Parigi non lo sapevano, e gli hanno commissionato il “Macbeth” di Verdi. Che non è piaciuto, ma ha valso a Martone di essere toccato dalla grazia di “Le Monde”. Che, sebbene sempre meno letto, resta un gran nome. E il regista se ne è ubriacato. Non solo si attribuisce la scoperta del vero Leopardi nel suo film – non che il suo Leopardi abbia incontrato il Leopardi degli italiani, ma al contrario, che agli italiani lui ha rivelato Leopardi. Ha voluto anche affermare l’ignoranza degli italiani prima di lui: “Contrariamente ai francesi, che conoscono bene le contraddizioni della Rivoluzione francese, gli italiani hanno invece una visione unilaterale della loro storia. Il che testimonia la nostra profonda incapacità di diventare maturi”. Immaturità, certo. Le “Operette morali”, dice Martone, sono “un libro comico”.
Già Scalfari si era rifatto a “Le Monde” per lanciare “la Repubblica” - che invece ne è l’antitesi, giornale di parte e di partito. Ma presto Dante Matelli fece trovare  una mattina sulla lavagnetta della redazione a gesso bianco: “Le Monde non abita più qui”.

Proust – Il primo autore multigender. In Albertine, che delinea come “eterno femminino”, incostante, inafferrabile, impersonando l’amato chauffeur fedifrago.

letterautore@antiit.eu 

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