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martedì 26 maggio 2015

La creazione di Taormina

Una storia d’amore., per la gentildonna del titolo, che “creò” Taormina, l’accoglienza, l’architettura modesta e sontuosa, i colori e  profumi - di cui un ritratto imperituro si può trovare in abbozzo in E.M.Forster già a inizio Novecento, in uno dei racconti-ricordi d viaggio (con la mamma) che raccolse poi in “Omnibus celestiale”. E per Taormina. Anche per la massoneria, e l’esoterismo n genere, antroposofia, Rosacroce, alchimia. Con qualche ingenuità. La parola massoneria facendo derivare da massi, le pietre da costruzione, invece che da maçon e mason, francese e inglese per muratore.
Florence Trevelyan è tracciata dall’autore fin nelle omonimie, con una cantante d’operetta in Australia. Un percorso anche tortuoso, tra omonimie, pettegolezzi, indiscrezioni, superficialità, bugie – lasciandosi peraltro sfuggire l’essenziale, per quanto concerne la personalità della sua protagonista: il rapporto a due di Florence, esclusivo, possessivo, con una prima e una seconda cugina. F.T.T. è un feticcio più che una donna, seppure umano, per cui Chirico non nasconde e anzi ripetutamente dichiara la sua devozione: la storia si potrebbe dire la passione di una cosa. Del luogo, Taormina, dietro il nome del titolo. Che l’autore celebra senza dirlo, senza forse saperlo, con un’illustrazione sontuosa: le foto, benissimo stampate, occhieggiano da ogni pagina come il vero flusso narrativo.
Un’altra testimonianza della Sicilia che avrebbe potuto essere “inglese”, e poi ha distrutto (quasi) tutto: i giardini come la costituzione,  a lungo anche i vigneti e gli agrumeti. Florence Trevelyan, che ha ricreato a Taormina un pezzo d’Inghilterra, i suoi possedimenti chiamando lo “Hallington siculo”, la proprietà di famiglia in patria, ha impostato un’arte del giardinaggio che nell’isola è stata d’esempio, e malgrado tutto resiste – per questo soggetto di molte monografie, Papale, Roccuzzo, Gandolfi, fra i celebratori di Taormina.
Florence Terelyan, gentildonna inglese di poca appariscenza e scarse sostanze, si stabilì a Taormina, al termine del suo modesto Grand Tour con una “cugina”, soprattutto perché il luogo, bello e molto bello, era abbandonato e non costava nulla. Apparentata alla lontana con almeno due Trevelyan molto italianisti, George Macaulay, lo storico appassionante di Garibaldi, e lo scrittore Raleigh, il narratore della battaglia di Anzio morto qualche mese fa, aveva capacità eccezionali di giardinaggio e imprenditoria, e ne fece dono a Taormina. “Creandola” letteralmente, in quelli dei suoi aspetti attuali che restano attraenti. Vi organizzò il primo vero albergo, il Timeo. Quindi, sposata Cacciola, medico, professore di istologia a Padova, inglese fluente, appreso a Malta, bell’uomo, più volte sindaco, ne ampliò e trasformò i possedimenti, una parte dei quali è il giardino pubblico attuale.
Nel disinteresse dei ceti borghesi, avidi soprattutto di terreni edificabili, ma col volenteroso supporto dei villici – i suoi “coloni”, numerosissimi e obbedienti – F.T.T. creò la Taormina e la Castelmola della tradizione, con giardini, prospettive, specie rare, costruzioni favolistiche. Che ai suoi tempi erano agibili, ma poi che il parco di famiglia è diventato giardino pubblico sono perennemente transennate. Anche la vegetazione è trascurata. “Oggi le fiabesche costruzioni” che adornavano la villa, nota Chirico, “sono tutte pericolanti”. E “molte delle centenarie essenze arboree sono morte, altre sono gravemente malate”.
Soprattutto, Florence Trevelyan ideò l’Isola Bella, un largo scoglio desertico denominato di Santo Stefano, che ribattezzò e in breve tempo ravvivò di piante e fiori. Vigilando poi, anche per testamento, sulla sua integrità. Inutile dire che il testamento fu disatteso, l’isola fu venduta a una ricca famiglia messinese che la trasformò in un albergone privato, con piscina e altre amenità, poco curandosi della vegetazione. E poi, quando la famiglia fallì, è rimasta abbandonata.
Daniele G.C.M. Chirico, Florence T. Trevelyan, Memoranda, pp. 244 ill. € 15

1 commento:

Anonimo ha detto...

Casualmente mi sono imbattuto in questo blog e vorrei principalmente ringraziare l'autore della recensione sul mio libro che - per la cronaca - si intitola "MISTERI E SEGRETI DI FLORENCE T. TREVELYAN" e non come riportato erroneamente "Florence T. Trevelyan".
L'articolo, inizialmente, critica la mia ingenuità, poichè la parola massoneria non deriverebbe da massi, le pietre da costruzione, ma invece da maçon e mason, francese e inglese per muratore.
Egregio amico recensore, nella prefazione scrivo semplicemente che da “masso” deriva “massone" e per Sua comodità Le riporto fedelmente ciò che tutti i dizionari della lingua italiana indicano: "massòne è il fr. MAçON = prov. MàSSO, lat. Medioev. MàCRO muratore e propr. tagliatore di pietra, che risponde all’a. a. ted. MEZZO, MEIZZO, mod. METZ tagliatore, taglia-pietre, da MEIZAN intagliare, affine al got. Maitan tagliare, mozzare, mod. ted. Meisseln tagliare con lo scalpello (cfr. Massacro). Deriv. Massoneria: Massonico".
Ma passiamo oltre. Sinceramente non comprendo la frase che io mi sarei lasciato "sfuggire l’essenziale, per quanto concerne la personalità della sua protagonista: il rapporto a due di Florence, esclusivo, possessivo, con una prima e una seconda cugina".
Nel mio libro ho descritto la personalità della benefattrice inglese fin dalle prime pagine e inoltre Louise Harriet Perceval fu la sola cugina con la quale Florence intraprese il suo lungo viaggio tra Nordafrica ed Europa. Non esiste nel libro la descrizione o il rapporto con un’altra cugina di Florence, quindi presumo che Lei, caro amico, si sia un pò confuso e la smentisco anche quando Lei afferma che io sarei devoto a "F.T.T. un feticcio più che una donna, seppure umano": al contrario, invece, ho scritto che Florence Trevelyan Trevelyan appartiene alla leggenda che non testimonia la vita di una Santa, poiché lei non lo era". Quindi mi consenta, caro censore, Lei ha preso tante cantonate.
Stendo un velo pietoso sul resto della Sua "illustre" recensione, in quanto è evidente che Lei il libro lo ha letto svogliatamente, ma di questo me ne assumo le responsabilità, in quanto presumo che Lei si sia smarrito per le innumerevoli circostanze dei tanti personaggi collegati alla protagonista centrale che ho riportato nel libro ma mi creda, non ho potuto farne a meno.
Mi permetto, infine, di farLe notare che Lei usa molto spesso mezze frasi e parole racchiuse tra apici, punti, punti e virgole che qualora vengano impiegate sporadicamente indicano uno spiccato interesse ed impegno nel riportare citazioni o frasi, ma che se vengono utilizzate frequentemente irritano chi legge.
Cordialmente, Arch. Dott. D.G.C.M. Chirico