Cerca nel blog

venerdì 25 dicembre 2015

Secondi pensieri - 244

zeulig

Asessismo – Si cancella, dopo il padre, ora anche la madre. Improduttiva e irrazionale – una madre è uno spreco. Per un disegno di deumanizzazione, nel quadro del livellamento tecnico e della  della parcellizzazione efficientista (ugualitaria): il mercato, sedicente individualizzante, vuole disponibilità totale: singletudine senza impedimenti. La stessa singletudine diventa misantropica – per la residua sensibilità erotica basta un incontro al bar il sabato sera.

Congiura – È destino che ci siano cospirazioni nella filosofia di Evola e Guénon. Se le società umane, cioè,  non sono innovative (evolutive), ma gerarchiche e rituali.

Custode – È testimone, di un percorso continuato, in una corsa a segmenti. Di un percorso. Oltre che depositario della continuità. Dell’interpretazione, anche – l’interminabile ermeneutica.

Destino – È il proprio giudice, l’io in forma di giudice. Non l’innovazione o la sorpresa, ma una sommatoria e l’esito di un giudizio. Inafferrabile ma personalizzato, proprio - il suo destino è il suo giudice.
È il senso di Benjamin: se uno ha carattere il suo destino è costante. Ma non di un fluire quanto di un rappresentarsi-giudicarsi - rappresentarsi è in ogni momento giudicarsi.

Fascino – È di ogni genere, non il meglio, né perfezionista. Si prenda Hollande, il presidente francese, che attira a ripetizione donne molto belle e altrettanto volitive, a lui sempre devote, malgrado l’incostanza, i tradimenti, e ora i ripetuti fallimenti politici – è lui che sempre le lascia, non loro lui. Pur non essendo bello, né atletico, né spiritoso, né simpatico, e anzi piuttosto piedi piatti. È solo un po’ meglio di Sarkozy come statura, 1,70 contro 1,60, che invece le donne lasciano. Ma è più basso, anche molto, di Chirac, Mitterrand, Giscard, Pompidou, e naturalmente De Gaulle, i presidenti cui la Francia è – era – avvezza. Ed è sempre più basso delle donne che incanta. Il suo fascino è il provincialismo. Anche presso il pubblico: non  un presidente pugnace, né della Francia che parla inglese, ma quello della pétanque e della fine, che non esiste più ma si fantastica, e fa lo smargiasso. Ma dotato di chiacchiera, sempre persuasiva. E non è un caso, il fascino dell’umo senza qualità c’è sempre stato. Anche della donna.

Futuro - È proiezione del presente, senza dubbio – altrimenti è postero. Ma è anche il presente: si costruisce momento dopo momento, cioè oggi. Nelle proiezioni fantastiche e nei dati materiali - l’investimento (il fondo, la casa, l’assicurazione), l’apprendimento, il lavoro, la programmazione-progettazione. Non c’è senza il presente, ma ne è anche una forma.
Lo stesso concetto di postero è di un presente che si continua: nel ricordo, l’immaginazione, la celebrazione, il mito. Lo steso si potrebbe argomentare della immortalità: è una costruzione-idealizzazione dell’esistente.

Gender – Inevitabilmente approda al no gender,: è un autonegazione:. Se la distinzione sessuale è solo culturale.

Genio – È quello che genera l’ermeneutica moltiplicatrice, la lettura del genio, multiforme per definizione, l’interpretazione. È un fatto di ermeneutica. Moltiplicando e stimolando l’attività del creatore, in prospettiva. Moltiplicando l’applicazione critica, l’interpretazione.
È un fatto di applicazione, di critica creatrice. Dante è tutto e il contrario di tutto. Shakespeare che è cento diversi personaggi. O Platone, o l’inafferrabile Socrate che periodicamente risorge. Il genio multiforme – Leonardo – lo è in modo diverso: interpreta se stesso.

Morte – È un fatto, ma più  è una suggestione, quando si vive. Può capitare di festeggiare i riti della luce e della rinascita leggendo occasionalmente un poeta che, bello e adolescente, amato e già di successo, Georg Heym, pure dubita, “inaudita parola saremo?”, e solo poeta della morte.

Il diritto la considera e la deconsidera, con l’istituto del testamento, o comuqqne dell’eredità. Che perpettua e consoldia l’istituto familiare, ma prima la persona del testatore. Che intende sopravvivere non soltanto negli affetti o sentimenti, ma di fatto, nella vita quotidiana. E lo fa in tutti i casi, anche se contestato.

Storia – “L’histoire est dans le flou”, Michel Serres, “Roma, il libro delle fondazioni”, 9: la storia è nella dissolvenza. Quale storia?

La storia si scrive, Barthes l’ha scoperto. A lungo fu oggettiva. Ma, Koyré l’aveva intuito, la storia non prova niente. E se lo fa è crudele: c’è mai stato uno storico che non abbia sognato di poter nutrire, come Ulisse, le ombre di sangue, per poterle interrogare? La teoria precede la storia, aggiunge Aron. E Ricoeur: “Il documento non era documento prima che lo storico avesse pensato di porgli una domanda”. Croce: “La cultura storica ha il fine di serbare viva la coscienza che la società umana ha del proprio passato, cioè del suo presente, cioè di se stessa”. E Edward H. Carr, lo storico del sovietismo: “C’è un continuo processo d’interazione tra la storia e i fatti storici, un dialogo senza fine tra presente e passato”. Gobetti ne fa il fulcro della “Rivoluzione liberale”: “La nostra sarà una generazione di storici: tanto se ci applichiamo all’economia come al romanzo e alla politica”.
La storia è l’Uomo di Michelet, opera dell’Uomo. La ricostruzione a opera dell’uomo di Febvre. Le vite di Emerson. L’essenza delle vite di Carlyle: “Lo storico è il Prestigiatore di Gulliver: ci riporta l’animoso Passato perché possiamo guardarvi dentro e scrutarlo a volontà. La storia universale è un libro, che siamo obbligati a leggere e incessantemente scrivere, e nel quale siamo scritti”. Cassandolo, che è la cosa più facile, della storia e di ogni realtà. Testo divino, volendo, con Swedenborg, “nel quale ci scrivono”. Chi? Swedenborg parlava coi diavoli.
La storia è figlia del tempo, oggi come ieri. Quando Casaubon nel “Polibio” depreca: “Amaro destino della storia, che una volta in un’aureola di luce splendente soleva godere della più stretta familiarità dei re, i principi, i nobili di più riguardo, insegnando loro la saggezza e le norme di una dignitosa esistenza e ricevendone in cambio prestigio, mentre ora, dimentica della precedente condizione e resa inutile ai fatti della vita, è lasciata ai borghesucci, che rimescolano la polvere delle scuole, e si coltivano in un’i-pocondriaca inattività”. E ancora è meglio di quando la rimescola Hitler.

Uguglianza – Passa, nell’era globale, sotto il segno dell’uniforme e indistinto. Del  “relativismo culturale” - nobilitato quale dialogo. La “eguale libertà” di Martha Nussbaum meglio espone il paradosso: bisogna essere per la “vera differenza” e contro “l’omogeneità”. E perché? L’uguaglianza ha sempre creato problemi politici. I diritti umani sì, sono affare suo, ma la storia e la politica vivono meglio di adattamenti. C’è un paese, gli Stati Uniti, dove la libertà pesa più della tradizione, e c’è l’Europa, dove la storia pesa di più – si parla di pesi per l’unità del paese, della società. Si veda il diverso esito della “eguale libertà” negli Usa, paese crogiolo, dove il fatto unificante è la libertà, e in Gran Bretagna, dove il multiculturalismo ha presto inciampato nel rifiuto – o dovremmo chiamarla obiezione di coscienza? Non senza ragione: perché i pakistani dovrebbero essere inglesi? E il Cristo maomettano? Il dialogo religioso illimitato, estenuato, assillante, proprio in questa epoca, in cui non ci sono guerre di religione, è più che un atto di buona volontà, è il disegno-sogno di istituzionalizzazione della religione.

Unità – Quella del mondo passa per utopia, da Dante a Campanella e Tommaso Moro, a Hobbes, alla trascurata parte III del “Leviatano”, “Del Commonwealth cristiano”, a Kant. O non un dogma pratico in forma di tradizione? Gregorio Nazianzeno lo dice. Dio può essere anarchico, poliarchico e monarchico, dice. Del Dio anarchico (confusione) e poliarchico (rivolta) “si divertono i figli dell’Ellade e lasciamo che si divertano ancora… noi onoriamo la monarchia”. Non un re, specifica, ma “quella sovranità che è costituita da uguaglianza di natura, da unanimità di giudizio, da identità di vedute, dal concorso delle persone a formare una cosa sola con quella dalla quale derivano, il che è impossibile nella natura creata”. Il Dio ebraico fuso con col principio monarchico della filosofia greca”.
Non solo in Dante, tuttavia, l’unità mantiene una sua dignità. Frances Yates ne ha recuperato non molti anni fa perspicui significati, anche in fase di democraticismo radicale, in “Astraea”. Tanto più oggi, in questo mondo di trasvalutazioni, o continue svalutazioni, che è stata finora la globalizzazione, un’asta al ribasso, o una perversa uguaglianza - chi è meglio dell’Occidente?

zeulig@antiit.eu

Nessun commento: