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martedì 22 dicembre 2015

Il fascino discreto del nazismo

Si riscopre la verità sul nazismo di Heidegger dopo la pubblicazione dei “Quaderni neri” - da lui voluta, e approntata – che era nvece sotto gli occhi di tutti, durante il nazismo e subito dopo. Il “Discorso del rettorato”, 1933, Jaspers poté definire subito “il fondamento nazionalsocialista dell’università”. Nel 1945, alla denazificazione, Heidegger fu interdetto dall’insegnamento. Se ne è riparlato nel 1952, quando Löwith, discepolo deluso, portò le prove su “Les temps modernes”, la rivista dello haideggeriano Sartre. E poi regorlamente dopo.  Qui in un pubblico dibattito tenuto a Heidelberg il 5 febbraio 1988, per i 55 anni del “Discorso del Rettorato”, a ridosso del libro di Farias, “Heidegger e il nazismo”.
Un dibattito informale, senza testi scritti. Che Mireille Calle-Gruber, presente alla serata nell’anfiteatro dell’università, riesuma. Con una nota irrisolutiva di Jean-Luc Nancy. Un dibattito, allora, non sul “caso Heidegger”, ma su una traccia anodina: “Heidegger, portata filosofica e politica del suo pensiero”.
Il problema in realtà non è se Heidegger fu nazista, lui stesso se lo disse con Carl Schmitt in “Ex captivitate salus”. Il problema irrisolto è se fu anche eazzista, e perché non si pentì dell’Olocausto. Perrché mai chiese scusa, adducedo magari l’errore o la cattiva informazione, e nemmeno si disse addolorato. Heidegger non era razzista bilogico, e anzi il biologico riteneva una sciocchezza. Ma fu anche negazionista? No, però. Non negò Auschwitz. Ma non volle riconoscerlo, ricoscerne la specificità. L’aveva anzi appaiato all’esodo con molto morti dei tedecshi dalla Slesia e dalla Galizia, cacciati dai russi e dai polacchi. E l’aveva ricompreso – non lui, i suoi difensori – nel probelma più generale della sopravvenienza della tecnica, dell’umanismo anti-umanista, per cui niente vale se non l’efficienza.
Dirlo antirazzista è d’altra parte troppo – Lacou-Labarthe ha qualche sospetto, dell’antisemitismo velato che emergerà nei “Quaderni neri”. C’è un razzismo spirituale, che in Heidegger era forte, e molto prima dei ”Quaderni neri”: la sua trattazione del linguaggio, centrata sul Volk, è germanocentrica – forse provinciale, ma allora non proprio eraclitea,  cristallina.
E poi c’è sempre il nazismo, in attesa di giudizio malgrado le condanne. Il “caso Heidegger” viene ridotto, anche in questo dibattito, a quello della Colpa: se – lui lo rifiutava – la Germania doveva professare una Colpa nazionale. Ma in questo aveva più ragione lui che non Jaspers – in fondo, la Germania ha avuto la resistenza più numerosa e agguerrita al fascismo. No, quello che resta da chiarire, sotto lo scudo della Colpa-Condanna, è il fascino dirompente dello hitlerismo. Vincente, appassionante – anche a Parigi, dove pure era l’occupante. Effetto della potenza militare ma, di più, evidentemente, per una sua attrattiva che non viene esaminata – il soldato comunque suscita risentimento. Biologicamente, non ci vuole Heidegger, il nazismo era risibile: “piccolo e nero”, panciuto, piedi piatti, denti cariati più che alto, atletico e biondo - questo era quello di Leni Riefenstahl, un’altra storia (che, anch’essa, non si può vedere né dire). E impacciato e ignorante, non quello che si mistifica nei film.
L’ordinatrice ricorda che per l’occasione Gadamer, l’ultimo discepolo devoto di Heidegger, aveva voluto partecipare a tutti i costi, anche se anfitrione del convegno era Derrida, con cui aveva litigato – voleva spiegare il mancato razzismo di Heidegger (ma anche Derrida non ha mai discusso il nazismo di Heidegger). Richiama la folta partecipazione del pubblico, oltre un migliaio di persone, per alcune ore di discussione in francese. E ricostituisce il contesto: non c’era solo il libro di Farias, in quei giorni, c’era anche il negazionismo di Faurisson, e l’affare De Man. Paul De Man si era scoperto dopo morto un collaborazionista. Non per caso – anche se era reduce da una serie impressionante di traumi familiari: l’abbandono del padre, la morte in un incidente del fratello maggiore, già condannato per stupro, il suicidio della madre. Aveva scritto per “Le Soir”, il quotidiano più influente del Belgio, e per il giornale tedesco “Het Flemische Land”, terra fiamminga, a favore del nazista Nuovo Ordine Europeo, contro la cultura francese, e contro la “degenerazione ebraica”. Derrida, suo maestro in decostruzionismo, ne aveva difeso la memoria con un “Mémoires – pour Paul de Man”.
Jacques Derrida-Hans Gadamer-Philippe Lacoue-Labarthes, Il caso Heidegger. Una filosofia nazista? Mimesis, pp. 110 € 12

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