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mercoledì 10 febbraio 2016

La guerra Instagram prima di Instagram

La preistoria di Instagram, sulla comunicazione-persuasione per immagini. Di un potere però rovesciato, dissuasivo: Le immagini di guerra sono di distruzione, nella sconfitta: occhi bassi, smorfie di sofferenza, fango, macerie. Più che un abbecedario una appello contro la guerra. Contro la guerra di Hitler, ma poi anche, su pressione del Partito, degli Alleati occidentali. Ma sempre malinconico più che militante. Brecht sperimenta qui la retorica delle immagini più che quella dell’antimilitarismo.
Analogo esperimento aveva anticipato Ernst Jünger negli anni a cavaliere del 1930 con cinque volumi fotografici e un breve saggio sul “nuovo primitivismo” della civiltà delle immagini, e sulla sua violenza “tecnica”, connaturata al mezzo  (una mostra se ne è tenuta a Milano nel 2007, a Brera). Nel quadro del suo tema più noto, la non verginità del mezzo: “La tecnica possiede il senso di un mezzo esistenziale in confronto al quale la differenza delle opinioni non ha che un ruolo subordinato”.
Quello di Jünger  era il primo ripensamento del linguaggio delle immagini, che sarebbe stato successivamente fertile, tra gli altri con Benjamin, Barthes, Sontag – la quale spesso cita Jünger. Sulla traccia jüngeriana per eccellenza della modernità egualizzatrice (uniformante), per i singoli e per la società. “La vita moderna produce immagini caratterizzate da una sempre maggiore geometria… Una disciplina automatica cui sono sottoposti sia l’essere umano che i suoi strumenti”. Nel volume che Jünger progettò con Edmund Schultz per la mostra di Brera, una sorta di antologia dei volumi da lui steso curati,  una sezione è dedicata alla guerra, “La guerra non ha creato un ordine del mondo”.
Brecht preparò questa raccolta per una ventina d’anni, concentrandola sulle immagini di guerra. E  la corredò via via con quartine di commento, più evocative che didascaliche, La breve nota di Ruth Berlau, che curò la pubblicazione nel 1955, l’anno prima della morte di Brecht già malato, ne spiega la composizione in termini politici: “Non sfugge al passato colui che lo dimentica”. Nelle quartine è presente – voluta dal partito – anche la polemica anti-americana e anti-occidentale. Coll monito su un nazismo sempre vivo: “È ancora fecondo il grembo da cui è strisciato”. Anche questo di propaganda, riferito alla Germania Federale, benché non senza verità. Ma con una nota di fondo, che era quella sua propria originaria, prima della censura, che ci fu, sulla potenza dell’iconografia: “Questo libro vuole insegnare l’arte di leggere le immagini”, assomigliate a “vere e proprie iscrizioni geroglifiche”.
Bertolt Brecht, L’abicì della Guerra, Einaudi, pp. 162, ill., € 11

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