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venerdì 27 gennaio 2017

Secondi pensieri - 293

zeulig

Classico - È opera del tempo, si sa. La distanza e la patina, che sono funzioni del tempo e dello spazio (Spengler), alimentano, autoalimentano, la fantasia. “Il tempo – amico di Cervantes - ha saputo correggergli le bozze”, può dire Borges di espressioni del “Chisciotte” nient’altro che banali.

Il classicismo è l’antitesi del classico, l’abuso dei modelli, il manierismo. Da ultimo, esemplare, col postmoderno. Classificato anche, teorizzato, in tal senso, da Eco, che lo ha praticato in abbondanza, nei tanti “romanzi”. Tutti di testa, e tutti di calchi. Col solo contrappunto dell’ironia, che è certo parte del postmoderno, ma dissecca e non nutre.

Critico – È un prodigo: un mecenate e un evergeta. È “gli occhi della storia” di Menéndez y Pelayo (“Se non si leggono i versi con gli occhi della storia, saranno ben pochi i versi che sopravviveranno”), dice Borges, ma “questi occhi della storia capaci di resurrezione cosa se non un sistema di compassioni, di generosità o semplicemente di cortesie?”

Il critico è condannato a leggere più che a rileggere – se condannato è la parola giusta. All’opposto c’è Citati che invece fa professione di rileggere e non di leggere: non vuole? non ha interesse? non ha gusto? Non è una diminutio. Ma il critico è condannato alla generosità, altrimenti è un saprofita.

Colore – Di che colore sono i colori? È problema aperto. Il bianco e il nero che non si trovano in natura. Molte delle ninfee, anche blu, di Monet.
Lo scientismo voleva provare anche di che colore sono i suoni. Ma un tre secoli sono passati senza esito.

Compassione – È il fondamento del senso tragico della vita, che è l’essenza umana – così la vuole Ceronetti, lo scrittore: “Il senso tragico esiste dovunque c’è uomo e piangere sull’uomo è giustificato”. Anzi, “neppure ad una sventurata memoria da cui il senso, la percezione del tragico sono spariti, si può negare  una forte, una disperata compassione”. Di più: “Il bisogno di essere compatiti non viene meno neppure  all’agnello mentre è divorato”. Ebbe “il bisogno d’implorare i soccorsi di un Dio onnipotente” anche Spinoza nelle emottisi, dopo averli negati nel’“Etica”.
È il backup e lo zoccolo duro di Schopenhauer, che personalmente non ne aveva e comunque non la praticava, della sua appropriazione del buddismo, dove la compassione fa figurare la virtù suprema.

Dio – È un carcere? Anche, come non pensarci? Quevedo lo rileva in uno dei sonetti a Lisi, il XXXI del libro quarto (alla p. 26 dell’edizione italiana dei “Sonetti”), e non è un’agudeza, una trovatina: “Un’anima che ha avuto un dio per carcere”.

Famiglia – L’istituzione universale per eccellenza, secondo l’antropologia. Presente in tutte le società umane. In varie forme – ora, per esempio, nella coppia omosessuale, perfino in forme parossistiche. Manifestamente legata alla procreazione. In che forma sarà la famiglia della procreazione eterologa, e di quella per conto terzi, senza padre e\o senza madre? Dopo aver eliminato gli zii col figlio unico e i cugini.

Fenomenologia – “Il mondo bisogna pur guardarlo, per poterlo rappresentare: e così guardandolo avviene di rilevare che esso, in certa misura, ha già rappresentato se medesimo” – Carlo Emilio Gadda.

Intelligenza- “Certuni mi domandano con stupore”, riflette lo scrittore Savinio, “come io, uomo intelligente, tengo dietro a siffatte superstizioni da donnicciola”, alle storie fantastiche. E risponde: “Credono costoro che l’intelligenza dissipa il metafisico. Se così fosse, quale uomo intelligente accetterebbe di essere intelligente?”.

Lettura - È solitaria, certo, specie quella non condivisa. Anche un piacere solitario, in qualche modo vizioso. Una terapia. Un ricostituente, in dosi omeopatiche – ma a volte depressivo. Ma non è un vizio innato, si acquisisce. Per circostanze esteriori. Si è portati alla lettura nel senso che vi si è sospinti.

Libertà – Ci vuole fede per averne, per concepirla, e in qualche modo praticarla, comunque inseguirla. L’idea di una responsabilità individuale. Di un diritto e quindi di un dovere di libertà. Intralciando il quale, la punibilità interviene.
C’è un abisso tra il libero arbitrio di Giovanni Pico, o ancora di Erasmo, e l’impossibile fardello della libertà di Kierkegaard, sotto un cielo dissacrato dacché Dio s’è ritirato dal mondo.

Luoghi – Condizionano (stimolano, restringono) la creatività? Si vede in letteratura, di cui si fanno ora degli atlanti. Ogni autore si può – si poteva prima del globalismo – legare a un luogo. Per il genius loci di Vernon Lee, che non è un fantasma. È un apparato linguistico e di usi, mentalità, tradizioni che vincola la personalità. Manzoni, Sciascia, Eduardo, non si saprebbe leggerli legati a luoghi diversi da quelli di cui hanno scritto.
Diversi sono curiosamente, meno legati a un ambiente se non sradicati, i Nobel: Fo, Montale Quasimodo. Anche Hamsun, per esempio, che non è norvegese pur essendolo molto. O Tranströmer rispetto alla Svezia. C’è anche un universalismo, preponderante sui limiti originari, anche se non da essi dìsgiunto.

Memoria – “Ho una memoria devastante, autodistruttiva”, ha notato di sé Lévi-Strauss. Può esserlo. No, deve esserlo: la memoria è selettiva, altrimenti sarebbe ingolfata. Quella che è detta cattiva memoria è comunque memoria. Perché, altrimenti, cos’è la buona memoria? Quella giusta, apologetica. A altrettanto delimitativa – distruttrice.

Metafora – È il pensare. “Metaforizzare vuol dire pensare, vuol dire riunire rappresentazioni o idee”, Borges, “L’idioma degli argentini”, 68. È vero. E il contrario è pure vero: si pensa solo per metafora?

Tempo – È la chiave della scrittura – non solo in Proust: poetica, narrativa, critica? Camilleri, lo scrittore, analizzando la verbale percezione in riguardo al fenomeno (atmosferico, sanitario,  affettivo) opina giudizioso in questo senso: “Vuoi vedere che l’artista è colui che ha una costante percezione alterata della realtà?” Come il folle, secondo una tradizione.

zeulig@antiit.eu

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