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martedì 24 gennaio 2017

L’amore è gioco

È legge di natura\ e non prudenza solo: amor cos’è?\ Piacer, comodo, gusto,\ gioia, divertimento,\ passatempo, allegria: non è più amore\ se incomodo diventa\ se invece di piacer nuoce e tormenta”. “Così fan tutte” è un exemplum libertino, il terzo che la coppia illuminato-massonica Da Ponte-Mozart mette in opera a Vienna, nel 1790, quando a Parigi la rivoluzione monta, dopo il “Don Giovanni” e “Le nozze di Figaro”. Un’emulsione lieve: “È amore un ladroncello”, canterà la solare Dorabella, che con la sorella sentimentale Fiordiligi si è prestata a mettere alla prova l’amore come fedeltà. Come promessa di fedeltà in questo caso, dato che gli innamorati di entrambe figurano al campo per la guerra. E d’altra parte “Così fan tutte”, inteso delle donne, si sottotitola “La scuola degli amanti”: anche i due innamorati sciocchi, imboscati in una finta guerra, impareranno.
L’opera, due anni prima della morte, è il primo dei tre lasciti di Mozart: un dramma giocoso che è un’opera buffa – cui seguirà l’opera seria “La clemenza di Tito”, e il vaudeville popolare e campestre “Il flauto magico”. Attraente e anche divertente. Grazie qui alla regia, che contemporaneizza la vicenda senza tradirla, come in una tv-verità del pomeriggio che fosse allegra e non vendicativa. E soprattutto agli interpreti, che peraltro sembrano divertirsi anche loro. Giovani come vuole la storia ma non solo, spigliati, scattanti, esagerati, invece che immobili al proscenio. Francesca Dotto e Chiara Amarù, “Fiordiligi” e “Dorabella”, le due sorelle tentate. Monica Bacelli, “Despina”, una serva padrona incredibilmente versatile, è anche medico e anche notaio, e sempre musicalmente in tema. Vito Priante, “Guglielmo”, e Juan Francisco Gatell, “Ferrando”, i due giovani svitati che scommettono sulla fedeltà delle innamorate. Pietro Spagnoli, “don Alfonso”, il libero pensatore che architetta la scommessa-beffa. Con un che, tuttavia, di eccessivo, della regia e quindi degli interpreti, che il dramma corale, perfino dolente, di un erotismo sottile, scardina con troppa sit-com adolescenziale.
La storia è semplice e complessa. Di adulteri, tentati, favoriti, riusciti, quasi, falliti. Con pochi assolo, il gioco è corale – esemplare. Si dipana tra quartetti, quintetti, sestetti, talvolta duetti, con arie residuali, quelle d’obbligo per i ruoli primadonna, ma non decisive. Che la messinscena romana per questo aspetto interpreta al meglio, vorticosa e insieme semplice, sorridente sempre. Di un Mozart fortemente caratterizzato. Su un doppio registro, come si conviene alle sue opere dapontiane. Agitato sul palcoscenico, andante lieve nella fossa mistica, sotto la bacchetta di Speranza Scappucci. Autorevole specie nella non invasività: la sua orchestra ha per tutte le quattro ore gli accenti giusti, brillante e misurata, non aggressiva
Una rappresentazione piacevole, oltre che sorprendente. A cui un curioso triplice rovesciamento, o tradimento, ha fatto seguito, nella presentazione e nei commenti. Della storia. Del significato. Di Mozart in quest’opera, che si vuole quasi politico e comunque impegnato. E come si potrebbe, al di là del tiepido libertinismo viennese? L’opera gli fu rimproverata, e non più rappresentata per un secolo abbondante, ma per sconvenienza - per un moralismo anticipatamente borghese, della borghesia delle tende alle finestre e delle mutande chiamate calzoncini.
La storia è classica e variata, dell’incostanza femminile, e\o della fedeltà come scommessa. Gli amanti sono in prova in Shakespeare, “La Tempesta”, il “Sogno di una notte di mezza estate”. In Molière, “La scuola delle mogli”. Sarà ripreso da Goethe autonomamente (di “Così fan tutte” si parlò poco, niente più dopo la prima), “Le affinità elettive”. Animava altri libretti di Da Ponte, prima di quest’ultima collaborazione con Mozart, e poi dopo – specie con Martin y Soler a Vienna, “Una cosa rara”, e dopo la morte di Mozart ancora col compositore spagnolo a Londra . Qui è più spregiudicata: le due giovani sono volubili senza una vera insidia, né ricchezza, né nobiltà o eroismo, nemmeno esotismo benché i due cavalieri serventi si figurino albanesi. Giusto per curiosità. È una storia libertina nella Vienna ancora ancien régime del 1790, benché illuminata dalla massoneria, anche se altrove c’era la rivoluzione – Mozart fu accusato dai confratelli di sprecarsi in banalità e volgarità. Despina è anche più manigolda dei precedenti servi padroni di Da Ponte-Mozart, Figaro e Leporello, e meglio individuata, più personalizzata. Si può anche dirla il vero deus ex machina della vicenda, e uno al femminile, invece di don Alfonso, il libero pensatore e dissacratore che impone la s commessa - l’alter ego di Da Ponte. Ma perché l’opera sarebbe rivoluzionaria?
La si vuole già femminista. Lo sarebbe perché gli interfaccia maschili sono, all’inizio, superficiali. Due occhi: si lasciano convincere a scommettere sulla fedeltà delle fidanzate senza nessuna ragione, per gioco. Sarebbero superficiali, perché anche loro poi, come le due sorelle, prendono gusto all’innamoramento, al gioco della novità.
È un dramma giocoso, quale si vuole, non femminista. Dirlo la liberazione sessuale delle donne non ha senso, nessuno le teneva in castità – e comunque è salvata la virtù. La spregiudicatezza (libertinismo) di Da Ponte è lontanissima dai temi correnti dei “femminili”. la coppia, il tradimento, la fedeltà, la sincerità, la gelosia, il perdono. Siamo sempre nel Settecento.
Soprattutto non ha senso – curiosità nella curiosità – in questa rappresentazione. Di retrogusto antifemminile sottile e costante, come è della donna sessuata in mano gay. Queste donne fanno di tutto, compreso (Despina) masturbare i due finti albanesi finti morti per farli rinvenire, invece di applicare loro “quel pezzo di calamita,\ pietra mesmerica,\ ch’ebbe l’origine\ nell’Alemagna” . che oggi avrebbe fatto ridere di più. O, le due sorelle, sfregarsi un cuscino tra le gambe, alla menzione di un “bel naso”, qui letto come il dottor Fliess lo leggeva al suo amico dottor Freud. Nonché inguainarsi in improbabili lamè sciantosi, da entraîneuses. La sessualità femminile vista con spregio. Le primedonne sono qui eroiche, Dotto, Amarù, Bacelli, ma attendono di essere liberate.
W.A . Mozart (regia Graham Vick), Così fan tutte, Teatro dell’Opera, Roma

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