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venerdì 27 gennaio 2017

La verità è un collage

“Un grande scrittore dell’Ottocento, Gobineau”, dicono gli intervistatori, “parla della fine del mondo come di un’epoca invasa «dalla morte, in cui il globo, diventato muto, continuerà, ma senza di noi, a descrivere nello spazio impassibili orbite»”. “È una frase meravigliosa, davvero stupenda”, risponde Lévi-Strauss, “ma io non penso che quest’epoca sia vicina. L’astrofisica ha fatto dei progressi dal tempo di Gobineau”.
L’antropologo di lunga esperienza è pragmatico. Anche, a proposito di Gobineau, in fatto di razzismo, il teorico dell’unità delle culture, “Razza e razzismo”, 1952: “Un antirazzismo semplicistico finisce per dare più armi al razzismo di quanto non si pensi, perché tenta di negare cose evidenti e di buon senso”. O si prenda la “mucca pazza”, di tanto allarme e di pronta e radicale rimozione: era – è? – dovuta “al’introduzione nell’organismo di ormoni della crescita tratti dal cervello umano”. Destinati a bambini con problemi di crescita, e alle donne  con problemi di sterilità, che ne furono le vittime. Nella Bibbia l’uomo diventa carnivoro uscendo dall’Arca di Noè.  Dalla convivenza forzata con gli animali – una ritorsione, una vendetta? Il passo successivo fu la torre di Babele: “Alla separazione di uomini e animali segue quella tra gli uomini”, sulla base della lingua – o non tribù-nazionalità?
Piacevoli conversazioni con un maestro, che non insegna nulla. Se non a riconoscerci proteiformi e ripetitivi – inventivi e modulari. Con brio, senza saccenteria, ai (quasi) novant’anni – l’intervista, con Silvia Ronchey e Giuseppe Scaraffia per i programmi culturali Rai, è del 1997. Una plaquette perfetta – cadenzata, misurata – con l’impressione dell’inesauribile che è il segno della saggezza. Di un maestro che peraltro si lamenta di scarsa autorevolezza, almeno in patria.
Il lavoro dell’antropologo Lévi-Strauss assimila a un collage, proprio in senso tecnico, come quelli d Max Ernst: “Mettendo insieme dei miti, io li ho ritagliato dal contesto nel quale si trovavano presso popolazioni estremamente diverse tra di loro”. Ne ha accumulati molti, e poi ha cominciato a comporre dei puzzle: “Ho cercato di capire come avrei potuto disporli gli uni in rapporto agli altri, in modo che ne scaturisse un significato più generale e più profondo”.
I “Cristi di oscure speranze” sono di Apollinaire, quando agli inizi del Novecento, in giro con Picasso al mercato delle pulci, avevano scoperto le maschere di legno africane e amerindie. Lévi-Strauss, per la curiosità degli intervistatori, ne ha tappezzata la biblioteca dove li riceve. Ma non ne azzarda letture esemplari. Un tardo positivista, blasé, sornione. .
Claude Lévi-Strauss, Cristi di oscure speranze, Nottetempo, pp. 61 € 6

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