Cerca nel blog

lunedì 23 gennaio 2017

L’occhio di Dio sulla narrazione al Sud

“Dio non ha armi contro i misfatti umani”. E un Dio disarmato deve presiedere al Sud. Ma non sulle lettere, se Pedullà riesce a estrarne numerose gemme, malgrado questa constatazione desolata di metà percorso.
“Narratori meridionali del ‘900” è il sottotitolo. Di una raccolta corposa e pratica, “unitaria”, di testi diversi. Una rivendicazione – anti-leghista sottofondo, viviamo ormai in questa scatola. E una rivisitazione, come un ritorno a casa. Walter Pedullà non ci ha mai pensato nei tanti decenni di critica militante e di insegnamento alla Sapienza. Ora sì, perché gli è stato proposto, e perché anche lui probabilmente è a disagio - il leghismo non è indolore. Ma senza poi crederci molto.
Un europeo nato al Sud
Chi va via dal Sud tende a privilegiare l’approdo. E in questo dopoguerra, cosmopolita e poliglotta, ad allargarlo: uno tende, come già Alvaro, a considerarsi “un europeo nato in Calabria”. Come si fa comunque a dividere l’Italia? Quella delle lettere poi è indissolubile – comincia dalla Sicilia. Ci ha provato Dionisotti, cui si accredita autorevolezza, ma l’esito è incerto, se si fa la tara della politica. Nord e Sud non sono peraltro tematiche distinte, Pedullà insiste molto su questo limite nel centinaio di pagine che ha premesso alla raccolta. Difficile anche segnarsi i confini, se non linguistici. Roma no. E l’Abruzzo, gli Abruzzi? D’Annunzio no, Flaiano sì. Ma anche Napoli Pedullà frequenta poco – per un calabrese è difficile. E la Puglia? La Sardegna?
Mare, madre, morte
Filologo acuto del Novecento, e fan della modernità, della novità, Pedullà aveva ben analizzato in precedenza molti scrittori meridionali, in analisi che può riproporre ancora parlanti, ma senza farne una geografia. Non la fa nemmeno oggi – “la lingua comune, l’italiano, agevola il più ricco contrabbando”, primo tra i contrabbandieri il milanese Gadda, alla frontiera col vecchio Regno del Sud. Ma si sarà stancato, anche lui, il leghismo stanca tutti, e ha pensato che affermare un punto di consistenza del meridione, fra i tanti di sfacelo ordinario - ordinariamente imposti, là dove si fa la realtà del discorso (o è il viceversa?) - non fosse sbagliato e anzi necessario.
Ora poi vanno gli “atlanti” anche in letteratura, dei luoghi, delle persone, dei temi, con i “parchi” e le fondazioni. E così il critico della R & S letteraria è voluto tornare là da dove era partito. Con una  introduzione che è un saggio a parte, e alcune note inedite, sistematizza e ripropone in chiave Sud altri suoi scritti e parti di volumi. Calabrese d’un pezzo, fisico e metafisico, le radici sono anch’esse ineliminabili, ha vissuto una vita col migliore Novecento, italiano e straniero. È in quest’ottica che si era imbattuto anche in scrittori del Sud, che hanno vissuto al Nord o vi si identificano – Pirandello, Pizzuto, Bonaviri, in parte anche D’Arrigo, l’“Autore” siculo-calabrese che Arnoldo Mondadori ha fortissimamente voluto. Senza trionfalismi, che pure, per peso specifico e peso assoluto, sarebbero stati giustificati, e anzi con una vena di pessimismo – che non si può rimproverare: “Nel fondo del Mediterraneo giace pure l’etimologia comune di mare, madre, morte”, sarà la conclusione. Partendo da questa “nota a margine”: “Nel Sud d’oggi abbondano i pupi e non nascono più i veri paladini”. Comunque in un’ottima collana Rubbettino, “SS 19”, l’ex statale delle Calabrie, con testi rilevanti di Galasso e Francesco Bevilacqua, e il ripescaggio di Répaci e Zappone. Sotto il vessillo, se non le insegne, di Pirandello, dello “scomporre, disordinare, discordare” con cui il narratore e drammaturgo siciliano ha “aperto” il Novecento. Del resto, è al Sud come al Nord: “Si scrive soprattutto per se stessi. Per imparare la vita e la morte scrivendo degli altri”. Un saggio, una raccolta, non pessimisti, ma malinconici sì – chiude Foscolo: “E avea sul volto il pallore della morte e la speranza”.
Il critico è un mecenate
S’incontra molto, guardando il mondo da sotto, Pirandello, uno dei pochi del Novecento in precedenza trascurati dal critico. Sciascia e Lampedusa controvoglia, per completezza. Molto D’Arrigo. E i coetanei compagni Bonaviri, Strati, il fratello maggiore, compagno di studi e dell’avventura in Italia, anche La Cava, maggiore dei tre ma altrettanto compagnone, ai quali sono dedicati oltre alle avvolgenti letture anche medaglioni personali, di vita e di avventure letterarie – modeste, ma la letteratura è modesta. Corrado Alvaro, certo, di cui Pedullà riproduce la lunga introduzione premessa al volumone Bompiani degli “Scritti dispersi”. E sempre gli autori amati e già lungamente e variamente analizzati: Svevo, Palazzeschi, Gadda, Savinio, Bontempelli. Si fa perdonare anche “Pizzuto”, dopo l’ennesima trattazione: un maestro più che un narratore, “fu suo vanto non avere usato due volte la stessa parola con lo stesso significato”. Con gli altri nomi d’obbligo: Vittorini, Brancati, Flaiano.
I più naturalmente scorrono in brevi note: Mazzaglia, Bufalino, Camilleri, Scotellaro, Pierro, La Capria – di tanti napoletani solo Rea viene approfondito, Domenico. Mancanze incoraggianti, in qualche modo: il Sud è più grande di un libro, di quanto un critico possa abbracciare. La parte finale replica alcune delle recensioni che Pedullà ha sparso nei giornali. Con l’aggiunta di veloci schede su nuovi e nuovissimi, Alajmo, Saviano, Lagioia – anche qui mancano i napoletani eccetto uno: Starnone, De Luca, “Ferrante”, Pascale, Piccolo, et al..
Un libro d’autore, uno che dialoga e duella con i suoi scrittori. Portato alla scoprimento o rovesciamento - allo sberleffo e più al paradosso. “È stato un grande secolo il Novecento , anche in letteratura, pure in Italia”. Con preferenze – la lingua, la scrittura – e rifiuti – il “civile”, lo “storico”. E un bilancio ancora seminale.  I saggi scorrono in forma di frammento, che è anche un modo d’essere e di raccontare al Sud: epigrammatico, allusivo, complice. Tutti per qualche verso pregni, Pedullà è scrittore di brio: dell’arguzia, e dell’ironia non disseccante o humour. La diagnosi di tutte le arti del trivio e del quadrivio, fino all’osceno. La guerra tra il fatto e l’interpretazione. La perdita del modello – “un mondo senza Dio è aperto a tutte le correnti d’aria, è inevitabile”. Pedullà scrive molto – critico militante, giornalista, accademico – e scrive poco: “conosce” anche lui come il suo vecchio mentore e amico La Cava, “l’arte del frammento”.
Il viaggio è lungo nel secolo breve
Un viaggio anche attraverso il Novecento, l’ennesimo di Pedullà, novecentista anche (ancora) appassionato. Con una punta caustica: il viaggio è lungo nel secolo breve – l’elenco fa interminabile, di innovatori e non: “Futuristi, lacerbiani, vociani, rondisti, surrealisti, realisti magici, ermetici, neoralisti, neoavangardie, nonché pirandelliani”, e i tanti “che hanno scritto alta poesia, ancorché ortodossa”. E pieno di umori, lampi, squarci, rivelazioni del visibile. Aperto da Pirandello, dal saggio sull’umorismo, e dal coevo Pareto dei “residui” e delle “derivazioni”. “Ha vinto la struttura che ordina di ridere su tutto e su tutti”. Nel quadro metafisico, incerto, del pirandelliano “scomporre, disordinare, discordare”, che vale per il Sud come per tutta l’espressione italiana. Un secolo di ricerca e di trasgressione: “Il comico e l’avanguardia saranno la copia più feconda del Novecento. Hanno generato alcuni suoi figli maggiori: anzitutto Pirandello, che non piaceva a Serra cui piaceva invece l’umorista Panzini, e poi Svevo, Palazzeschi, Bontempelli, Savinio, Gadda, Zavattini, Brancati, Landolfi, Calvino, Pizzuto, nonché Malerba, Bene, Manganelli e Arbasino”.
Soprattutto stimolante – si legge come uno di quegli scrittori che Voltaire consiglia di scorrere con la penna in mano. Apodittico mai, spesso epigrammatico, di quesiti e scorci pregnanti. “Il Sud ha sconfitto tutti i governi, ma quasi tutti i governi hanno sconfitto il Sud”. “Meglio l’uovo oggi che la gallina domani” è “l’empirismo del non innocente Sud”. “Il comico che è anche tragico”. Un florilegio se ne potrebbe estrarre, gustoso. “Da Napoli è scappata la commedia dell’arte e nessuno l’ha ripresa: era una magra consolazione”. “Il materialismo migliore è quello storico”. “Il capitalismo ha stravinto, e la sta facendo pagare cara a tutto il mondo” (“Troppo salati i danni di guerra: ci sta togliendo il welfare”). Aggiogati come siamo a “un sistema sociale che ora è così potente da diventare invincibile, oltre che invisibile”.
Il critico è un signore
Una summa – un repertorio – da duellante. Che all’incontro con l’autore ne studia, carpisce, somatizza ogni tecnica e abilità, più spesso mimandolo. In un corpo a corpo da scrittore a scrittore, più che da sarto a cliente, da professore a materiale, da presentatore a gentile pubblico. Sia da professore, è da credere dalle monografie, che da critico militante. Con un distinto penchant per la scrittura: il progetto e l’innovazione, o la scrittura che pensa alla scrittura – si polemizza spesso contro la “scrittura”, ma da parte di “scrittori della non-scrittura” (Montale, Pasolini), altrimenti è sciatteria. A volte problematico. “I meridionali ridono poco perché hanno paura” non è vero. I meridionali ridono molto, sono i soli ch ancora ridono - troppo? il riso è una forma di difesa. Ma la colpa è qui probabilmente di Freud, che il riso spiega come reazione alla paura, quando cessa - o prima di Freud, insinua Pedullà, di Baudelaire, che però non rideva per principio, il dandy non ride.
L’ultimo Grande Lettore – forse è qui la malinconia, in questa constatazione. Testimone sempre partecipe, curioso, infaticabile. Il critico è un generoso per definizione. Non un saprofita ma un cultore dell’opera altrui, che contribuisce a far crescere, amare, valorizzare. Un signore. Si vede meglio oggi, che è una figura assente – dopo duemilacinquecento anni di “fortune di Omero”, di invenzioni di Omero. Forse perché non c’è l’autore – la letteratura globale è altra cosa, di classifiche, di vendite, di rimbombi tra una lingua e un’altra e immediatezza (forse è qui l’ombra lunga del Novecento, in un Millennio che è un ritorno dell’Ottocento, minimale).  
Walter Pedullà, Il mondo visto da sotto, Rubbettino, pp. 638 € 19

Nessun commento: