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martedì 30 maggio 2017

Il mondo com'è (305)

astolfo

Lavoro autonomo – Resiste solo in Italia. “La Lettura” costruisce un atlante del lavoro che dà all’Italia il record del lavoro autonomo, nel quadro complessivo della forza lavoro. Il persistente rilievo dell’artigianato si desume indirettamente, dalla minore percentuale del lavoro dipendente nell’insieme della forza lavoro: il 57,2 per cento. Mentre nell’insieme delle economie sviluppate la percentuale dei lavoro dipendente è molto superiore - attorno al 75 per cento in Germania, Olanda, Danimarca, Giappone, Svezia, Gran Bretagna.
Solo la Grecia ha una percentuale di lavoro autonomo maggiore dell’Italia (il lavoro dipendente vi è poco più della metà della forza lavoro complessiva), probabilmente per l’incidenza del turismo e del piccolo commercio sul pil. Ma l’economia italiana è più diversificata, è una delle più ricche del pianeta, e a ha l’industria manifatturiera più grande d’Europa dopo la Germania (due grandezze non comparabili, la popolazione, e quindi la forza lavoro, essendo in Germania di un terzo superiore).
L’economia italiana è ancora in linea con la sezione che se ne fece settant’anni fa agli albori della Repubblica, ai lavori della Costituente, dove si volle salvaguardare l’artigianato o lavoro autonomo come una specificità italiana – a opera di Amintore Fanfani, che andò alla Costituente come economista.
La diffusione del lavoro autonomo in Italia è legata anche alla persistenza del piccolo commercio, altrove rapidamente fagocitato dalla grande distribuzione.  
L’atlante è costruito sui dati dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, che raggruppa i i”vecchi” paesi più industrializzati dell’Occidente. L’Ocse non tiene conto degli effetti della globalizzazione, che ha cambiato gli equilibri della distribuzione mondiale della ricchezza - dalla Cina e la Thailandia al Perù, al Cile, al Brasile.

Opinione pubblica – È fatta più che farsi. Per i motivi più vari, anche la stupidità, ma è sempre manipolata-agita. Per anni e tuttora in Germania l’opinione è stata largamente antigreca. Perché il governo e i giornali l’hanno portata a credere il falso. È anche facile nei movimenti un animistici, e l’opinione pubblica ne è uno: tutti si curvano dove spira il vento, anche leggero.
Molti tedeschi - non tutti ma la maggior parte - sarebbero sorpresi di scoprirsi anti-greci, loro che amano la Grecia, che per loro ha creato quando erano proibite le isole gay, nudiste, del fumo libero  eccetera, insomma di arbitrio totale. Come molti furono sorpresi quando, dopo la sconfitta, si scoprirono nazisti: loro non volevano.
Lo stesso, a un gradino di poco inferiore di virulenza, in Germania contro l’Italia e l’Europa in genere – compresa la Francia, che il galateo tedesco vuole assolutamente amica e sorella, come gli ebrei e ogni altro vecchio nemico. La Germania ogni giorno è portata a interrogarsi: “Quanto ci costerà?”, la Francia, l’Italia, la Grecia.
Lo stesso su internet: un tweet riuscito, con milioni di fan, ed è fatta.

Su internet però l’opinione è più democratica. La rete, la tela comunicativa, non è di massa o d’insieme:  la piazza, il mercato, il bar, il talk-show - con gli applausi a regia, le inquadrature buone e cattive, i tempi, prolungati, tagliati, asfittici, la modulazione delle sonorità, mille artifici. La rete è individuale, e implica una riflessione, per quanto minima. È di accesso libero a tutti. E garantisce, a differenza dei media, una variata verità documentale, qualora uno volesse accedervi.
La reazione, però, su internet è superficiale più che documentata o argomentata. Questo può non essere un limite: internet dà spazio anche alla verità emotiva - sentimentale, viscerale, d’intuito. Ma lo è, per la mancanza o l’evanescenza del dialogo, del contraddittorio.

Commentando una bomba rudimentale scagliata contro l’arcivescovado a Milano l’8 gennaio 1956, un atto simbolico, anarcoide, Leo Longanesi si irrita per l’eco che ha nei giornali: “Una bomba al tritolo reca meno danno di una trasmissione televisiva, di un provvedimento di legge, di un titolo su cinque colonne”. Un’esagerazione non ingenua: “I quotidiani vi dedicano vasti titoli apocalittici, di involontaria comicità, in cui al modesto scoppio sono associate parole di un calibro eccessivo, che lasciano trasparire l’acuto rimpianto di un vero terrorista, di un vero re del tritolo”. Un’anticipazione di quella che sarà la saga del terrorismo, non molti anni dopo.

Ha alti e bassi. Anche molto: è l’opinione che condannò Socrate, per esempio.

Razzismo – È un proiezione. È stato biologico, ma senza fondamento. È stato economico, finché alimentava lo schiavismo, e poi culturale. Ma si alimenta unicamente del pregiudizio, e in forme tortuose, contraddittorie.  I giapponesi, a lungo considerati inferiori negli Stati Uniti, che a un certo punto ne proibirono anche l’immigrazione, sono impermeabili e anche razzisti nei confronti di qualsiasi estraneo, tutti gli asiatici compresi. Il razzismo è stato forte ed è durevole negli Stati Uniti, dove i non bianchi non sono mai stati maggioranza – neppure negli stati del Sud, dove erano e sono più numerosi. E si è esercitato, per l’ipodiscendenza, su tutte le misure di commistione, di meticci che abbiano anche solo un ventiquattresimo di razza non bianca. Nei confronti degli afroamericani ex schiavi come degli asiatici. In Brasile, all’opposto, dove afroamericani e indios sono sempre stati maggioranza, il colore non è stato dirimente, se non collegato alla povertà e alla marginalità sociale. La minoranza portoghese aveva bisogno di allargarsi per mantenere le sue posizioni, e questo portò all’accettazione di tutte le misure di meticciato. Nel creolismo, notevole affrancamento dalla minorità razziale - Obama sarebbe stato considerato bianco in Brasile. E anche istituzionalmente. Quando infine nel 1888 abolì la schiavitù, il Brasile lanciò il branqueamento, lo sbiancamento della popolazione, adottando vasti piani d’immigrazione, prima dal Nord Europa, poi pure dal Mediterraneo – ci sono così in Brasile più lombardi che siciliani.
L’incrocio razziale è tuttora ritenuto dalla scienza nazionale brasiliana causa di follia, criminalità e malattie, ma il Brasile è forse il paese più meticcio al mondo. Con il culto anzi della differenza razziale – che la pubblicità delle prostituzione curiosamente alimenta, distinguendo l’offerta in base al colore: branca, bianca, amarela, che non è bionda ma asiatica, parda, bruna di pelle, il colore si riferisce alla pelle, e preta, nera (anche indigena, che non è più il colore, ma la razza). Si capisce al tropico che il bianco puzzi di morto per i neri, tanto è pallido. Il branqueamento si può dire in quest’ottica una scelta eroica, essendo il Brasile eminentemente tropicale. Il progressista marchese di Pombal, che perseguitò i gesuiti, che proteggevano i Guaranì e le altre popolazioni indigene, impose agli angolani l’emigrazione in Brasile. Ne nacquero il samba e tanti brasiliani. Il marchese, riponendo la prosperità nella demografia, fece del Brasile un fottisterio. “L’estrema voluttà dei portoghesi li portava a integrarsi senza difficoltà ai tropici”, così Freyre spiega il lusotropicalismo, prima della squalifica del negro, e delle negre.

“È il colore della virtù bianco?”, già il negro del “Flauto magico” dubita. Il razzismo è nato poco prima.
Il razzismo nasce col neo schiavismo, quello che si impianta in Africa per colonizzare l’America. Nasce nel Cinquecento. Ma già un secolo prima in Spagna si era creato il problema dei mori e degli ebrei convertiti: anche se convertiti a forza, mantennero lo stigma del nemico, che era già dei mori e degli ebrei. L’esito di un paradosso: mori ed ebrei erano rispettati in quanto tali finché restarono distinti e separati. La religione è del resto sempre stata un fattore attivo del razzismo: nei pogronm anti-ebraici, fino alla Shoah, nell’eccidio degli armeni in Turchia, nelle innumerevoli liquidazioni di minoranze “settarie”, compresi ora i cristiani in ambito mussulmano.
Ma la vera squalifica del negro viene nel Settecento, con l’abbandono dell’unità cristiana di anima e corpo, Voegelin lo spiega dal ‘33 in “Rassenidee”, e della creazione. In favore della materia immanente, partendo dal botanico John Ray e dal concetto di organismo, fino alla storia della terra di von Humboldt. Il razzismo moderno, biologico, è effetto  della secolarizzazione, e Darwin lo sanzionerà, ogni qualità, dello spirito, del corpo, della storia, fondando sulla natura, checché essa voglia dire, e sui suoi processi, unificati nella cosiddetta selettività.   

Via della Seta – È il nuovo progetto di politica estera cinese. Un disegno globale, anche se lascia fuori solo gli equilibri multipolari, con gli Stati Uniti, il Giappone e l’Europa. La ridefinizione cinese del progetto russo di Eurasia è militare e politica, oltre che economica, e allarga la proiezione cinese ben al di fuori del vecchio asse, della Via della Seta di Marco Polo a cui si intitola. Si estende infatti al subcontinente indiano, in funzione anti-India. E all’Africa. Non escludendo proiezioni in America Latina, per il commercio e per gli investimenti.
Commercio e investimenti sono sviluppi in atto da tempo in Africa. Dagli anni 1970 si può dire, quando ancora le Guardie Rosse imperversavano a Pechino, ben prima di Deng e le “quattro modernizzazioni” . Allora Pechino forniva manodopera qualificata a buona mercato per le opere civili, infrastrutture, comunicazioni. Ora prospetta delocalizzazioni.
Delocalizzazioni prospetta anche nel Sud-Est asiatico. Con attenzione però agli aspetti militari e della difesa. Prospettandosi come difesa dalla potenza indiana. Al Nord come al Sud dell’India, in Nepal e nello Sri Lanka.  

astolfo@antiit.eu 

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