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venerdì 2 giugno 2017

Torna l’orfanella, e la madre cattiva

Orfanelle, agnizioni, cavalieri bianchi, anche se con macchia: il repertorio è da grande fogliettone, solo aggiornato nel linguaggio. E negli ingredienti. Anche il sentimentalismo resta forte. Amori e avventure quali le vuole il romanzo d’appendice, calati nell’attualità: figli anonimi, la rete internet, la rete Nsa (spionaggio americano), wikileaks, la Germania rieccola, e il convitato di pietra rimosso, il nucleare sotto di noi. Attorno a un’Agenzia della Verità che butta fuori rifiuti e schifezze.
È anche  - involontario? - il rifiuto del sesso free. Purity è nome proprio, oltre che la cosa. Ma di Purity che si offre nessuno vuole sapere, tutti preferiscono, malgrado tutto, la moglie e la famiglia. La cosa è un brand, di un Andreas Wolf, “lupo” tedesco dell’Est, diventato apportatore di luce, a capo di una banda di hacker, tutti hired guns, concorrente di Assange e wikileaks.
Un occhio diverso sul mondo quale è. C’è il PTSD, il disordine da stress post-traumatico.  La ragnatela Nsa. Il nucleare dimenticato. La Bolivia con Evo Morales. E, non detto ma ben rappresentato, il nichilismo di Assange. Un monumento al giornalismo, quello vero, del controllo accurato dei dati (fatti, fonti), che rianima un po’ il residuo lettore. Toccando tutti i registri – anche fumettistici: due amanti molto intellettuali, di quelli che dell’amore parlano, parlano molto, che non si parlano da due mesi, alzano la cornetta del telefono allo stesso momento. Autoironico: c’è anche l’Autore che non può amare perché il Grande Libro lo impegna.

Tanti romanzetti posticci, che non legano. Leggibili – la leggibilità è di scuola – ma implausibili: una lunghissima conversation piece. Noioso peraltro nel capitolo più lungo, la storia della coppia madre, come tutti i litigi coniugali. Si può recuperare come una storiaccia – involontaria?: di madri divoranti. Delle figlie e anche dei figli.
Jonathan Franzen, Purity, Einaudi, pp. 642, ril., € 22

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