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lunedì 29 maggio 2017

L’uomo è sacro perché impersonale

Simone Weil pianta due piloni di una nuova organizzazione della società in uno dei suoi ultimi scritti, a Londra nel 1942. Di attenzione all’essere umano come tale, fuori dalla collettività che lo rappresenti o nella quale si riconosca. Al di là anche delle istituzioni, fossero le più legali e le più democratiche. Per un concezione della giustizia che sfida le imposizioni del diritto – o allora per un diritto alla disobbedienza civile, si sarebbe detto trent’anni dopo (e forse per la manifestazioni “francescane” del papa regnante, benché confuse). Con una nota di Giancarlo Gaeta.
Un testo riedito in molteplici edizioni negli ultimi mesi, almeno due in francese, Gallimard e Rivages, quest’ultima  curata da Agamben, è disponibile anche online, in originale, nell’insieme “Écrits de Londres”, tra i quali è stato recuperato, uno delle ultime febbrili riflessioni di Simone Weil. Già incluso nei “Moralisti moderni », l’antologia del 1958 curata da Moravia e Zolla.
 “Ciò che è sacro, ben lungi che sia la persona, è ciò che, in un essere umano, è impersonale.”Tutto ciò che è impersonale nell’uomo è sacro, e questo solo”. Nella condizione umana come in ogni sua manifestazione: “Ciò che è sacro nella scienza è la verità. Ciò che è sacro nell’arte è la bellezza. La verità e la bellezza sono impersonali. Tutto questo è troppo evidente”. Dell’uomo, “non è né la sua persona né la persona umana in lui che mi è sacra”, aveva detto: “È lui. Lui tutto intiero. Le braccia, gli occhi, i pensieri, tutto”.
Tra diritto e giustizia c’è un abisso. “I Greci non avevano la nozione di diritto. Non avevano parole per esprimerlo. Si accontentavano del nome della giustizia”. Ma non solo i greci, i cristiani dovrebbero rifiutare il diritto: “Come la nozione di diritto è estranea allo spirito greco, è estranea anche all’ispirazione cristiana, là dove essa è pura, non mescolata di eredità romana, ebraica, o aristotelica. Non si vede san Francesco d’Assisi che parla di diritto”.
Una riflessione seminale. Violenta, come è nell’uso della penna in Simone Weil, ma articolata. Sotto la disputa semantica, di definizioni, in polemica col “personalismo” di Emmanuel Mounier, che monopolizzava la pubblicistica filosofica, cristiana ma anche laica. Un’etica del rigore. Dell’accettazione, inclusiva. E della giustizia sotto la durezza della legge.
Una riflessione gravida soprattutto nella nuova collisione di popoli e culture che è l’immigrazione transmediterranea di massa, dall’Africa e dall’Asia verso l’Europa, e quella americana, dal Sud al Nord America. Ma non ambigua, seppure irrisolta, sul governo attraverso la giustizia. “Lodare la Roma antica di averci legato la nozione di diritto è singolarmente scandaloso. Perché se si vuole esaminare in essa cos’era questa nozione nel suo nocciolo, si vede che la proprietà era definita col diritto di uso e d’abuso. Di fatto la più parte delle cose di cui ogni proprietario aveva il diritto di uso e d’abuso erano degli esseri umani”.
Il passaggio più delicato riguarda la “nostra” integrazione, quella dell’osservatore. Della sua “persona” nella sua collettività per quanto concerne gli estranei. “Il passaggio nell’impersonale non si opera che con un’attenzione di qualità rara e che non è possibile che nella solitudine. Non soltanto la solitudine di fatto, ma la solitudine morale. Non si compie mai in colui che si pensa lui stesso come membro di una collettività, come parte di un «noi»”. Con una forte denuncia antitribale e antinazionalistica: “L’errore che attribuisce alla collettività un carattere sacro è l’idolatria; è in ogni tempo, in ogni paese, il crimine più diffuso”. Un radicalismo che si giustificava nel 1942 contro l’idolatria nazista, ma non applicabile alla Resistenza, come a ogni difesa. Nell’un caso e nell’altro, resta imperativo come fuoco di sbarramento contro i muri.
Simone Weil, La persona e il sacro, Adelphi, pp. 78 € 7
Free online (in originale)

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