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venerdì 10 marzo 2017

Le primarie fatte in casa

Virginia Raggi resta gradita, secondo tutti i sondaggi, a un grillino su due. Al più. Non più dai berlusconiani, che peraltro l’hanno votata al secondo turno per opportunismo. E nemmeno, va presunto, dagli ex democratici dalemiani.
Era inevitabile, perché: chi è Virginia Raggi, chi era al momento del voto? Come si era formata, cosa aveva fatto, cosa progettava, come, e con che forze – oltre a Marra e Romeo? Era una outsider, che ha racimolato mille likes alle primarie online dei 5 Stelle per il sindaco di Roma, e ciò le è bastato per diventare la candidata.
Si sono adottate le primarie, per battere la “vecchia politica”, come se fossero una pacca sulle spalle. In pochi giorni e non in mesi e anni di lavoro. Senza un programma, e senza la mobilitazione di vasti dibattiti. Senza organizzazione. Queste estemporaneità vantando come migliore: più aperta, democratica, egualitaria. Parole: vince le primarie all’italiana chi ha un gruzzolo di seguaci fedeli, parenti compresi. Non ha bisogno di spiegazioni, apparentamenti, programmi.
Le primarie storicamente più importanti, quelle che videro emergere Renzi candidato sindaco a Firenze nel 2008, subito dopo l’adozione del sistema da parte di Veltroni, si svolsero così. La città era saldamente in mano all’ex Pci, da un quarantennio. Si candidarono tre ex Pci, e il giovane Renzi, presidente della provincia, cioè la minoranza cattolica del Pd, divenne maggioranza. I tre ex Pci si divisero il 60 per cento, e lui col 40 trionfò.

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