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domenica 25 febbraio 2018

Secondi pensieri - 336

zeulig

Conoscere e capire – Due funzioni diverse - soprattutto se riguardano la Germania: è l’argomento principale degli scritti dispersi di Joseph Roth raccolti nella silloge “Al bistrot dopo mezzanotte”. Di fatto una testimonianza francofila (occidentale) e antitedesca, una presa di coscienza e una denuncia. Dei germanisti oltre che della loro Germania “mitica”.
La distinzione viene nella nota “Il nemico storico”, dedicata a Clemenceau. Ma dopo un devastante “Il mito dell’anima tedesca”, in cui Roth fa i conti direttamente con i germanisti. E interviene a proposito della Germania bismarckiana del 1870 guglielmina del 1914, e di Clemenceau, che sempre le si oppose, radicale, perché la “capiva”, ne capiva la natura: “Era il solo politico e statista francese che avesse capito i Tedeschi – i Tedeschi nuovi, borussificati, conosciuti forse li avevano anche altri…”.
La differenza è rilevabile in due modi: “In Occidente è scontato dire di «conoscere un paese e il suo popolo» quando se ne sia studiato la lingua, si sia vissuto nelle sue città, se ne siano percorsi i villaggi, i boschi e le strade, e si sia abbia avuto modo di parlare con il maggior numero possibile di persone dei ceti più diversi. Invece si scopre che presso alcuni popoli le abitudini, i costumi, le forme statali, politiche e sociali cambiano con una frequenza tale per cui un straniero, tornando dopo cinque anni nel paese che pensava di avere studiato a fondo, è costretto a ricominciare da capo”. La comprensione è di altro tipo che la conoscenza, va alla radice della cose. Anche solo per intuito.
La conoscenza è importante ma non risolutiva: “La maggior parte di coloro che intraprendono viaggi di studio vedono di un popolo solo quelle peculiarità che, per antica tradizione, sono considerate i suoi caratteri distintivi: lingua, abbigliamento, usi, paesaggio. Tutto questo vale, anche se solo approssimativamente, in paesi che hanno un carattere stabile, una forza ostinata, uno sviluppo coerente  una grande libertà di organizzare in modo individuale la propria vita”. Non nel caso della “Germania borussa”. Che fa aggio su questo desiderio di “conoscenza” – vogliono una Germania “mitica” (eddiana, faustiana, bayreuthiana), diamogli una Germania mitica.

Femminismo – Il fondamento più saldo trova nei vangeli apocrifi. E nella “Pistis Sophia”. Dove si persegue – con insistenza – l’annullamento della dualità di genere. Si torna nel Regno dopo aver eliminato la dualità, “sicché non vi sia più né maschio né femmina” (“Vangelo di Tommaso”, 22). La divisione maschio-femmina origina la morte: “La morte sopravvenne allorché la donna fu separata da lui (da Adamo). Se rientra in lui, e se egli la prende in sé, la morte non ci sarà più” (“Vangelo di Filippo”, 68,20). Ma, allora, a prezzo della sterilità.  
Le Marie sono “più perfette” negli apocrifi essenzialmente perché androgine. Elette in quanto oltrepassano l’uomo, e lo oltrepassano componendo lo sdoppiamento maschio-femmina nell’uno. Con l’assunzione letterale dell’invettiva di Gesù sulla via del Calvario alle donne di Gerusalemme: “Verrà un giorno in cui si dirà: beate le sterili  e i grembi che non hanno generato”. Il femminismo si esprime nella verginità – e la realizza. Il cuore della sophia della donna, e la creazione spirituale, è questa verginità, il segno divino. Che l’androginia esprime e realizza.
Il femminismo si esprime nell’annullamento della propria specificità, del proprio essere. Non si impone la donna all’uomo, sia pure nella eguaglianza dei diritti, si rinuncia all’essere donna – come si nega l’essere uomo. L’abolizione dei generi, come di ogni particolarità, di ogni specificità, è un’autoabolizione.

Heidegger – È l’intellettuale post-bellico, al modo di Gadda, Céline, Jünger, Ernst von Salomon, in parte anche Musil  – il “figlio” frastornato-confuso della Grande Guerra (la “Guerra dei Trent’ani”, la guerra civile europea, dal 1870 al 1945). La prima guerra mondiale lo ha marchiato ai – gli ha rubato i vent’anni. Vive il dopoguerra da estraneo, alla “meccanizzazione!”, alla “stupida tecnica”. Una voragine specialmente sentita dagli intellettuali ebrei austriaci, più esterni alla frattura in atto dal 1870, J. Roth, S. Zweig – in parte anche Canetti., Schulz. Una prospettiva di lettura e una contestualizzazione andrebbero operate in questo senso.
Heidegger andrebbe comunque storicizzato. Fu nazista “come tutti” in Germania, specie gli apolitici. Molti intellettuali non lo furono, anche tra i conservatori (Thomas Mann per tutti), ma era parte di un mondo intellettuale: Heidegger era un isolato. Anche questo aspetto andrebbe analizzato: era un outsider, non ce n’è uno si può dire più di lui.
Heidegger resta sempre un provinciale. Anche quando fu “riconosciuto”, in Italia, in Germania, poi in Francia. Rifiuterà Berlino. Anche Monaco. Non saprà che dire a interlocutori illustri e di spessore, Celan, lo stesso Char malgrado l’amicizia agreste. Fu sempre legato al localismo, alemanno, svevo, hebeliano. Il vero test dell’antisemitismo di Heidegger lo avrà fatto Hannah Arendt, la volpe che per tana si costruisce una trappola. I “Quaderni neri” non sono antisemiti come hanno voluto gli stessi editori (Donatella Di Cesare), se non per lo stigma del cosmopolitismo, ingiuria suprema per il filosofo.


Medio Evo  – Si rappresenta, per le spesse stratificazione imposte dall’Umanesimo, dal ritorno ai codici e ai classici, quale mondo di ingenuità e ignoranza. L’assioma stereotipo è quello di Joseph Roth, che pure conosceva il Medio Evo e lo amava, a Les Baux, all’aria cristallina di montagna: “Non c’è bisogno di essere un ingenuo cavaliere del Medioevo per credere di essere passati in sogno attraverso una parete di vetro”. Perché il cavaliere del medioevo sarebbe stato ingenuo? E non sognava, pure lui? Un Medioevo “ingenuo” ma già “problematico” – lo stesso Roth ne avverte la sostanza,: “tragico” anzi, più che “problematico”.

Odio – È dei santi? Più della misericordia, e come si concilia? Per il cristiano sì – Luca, 14, 16: “Se uno viene a me e non odia il padre e la madre, la moglie e i figli e i fratelli e le sorelle, ed anche la sua vita, non può diventare  mio discepolo”.
Il verbo non è equivoco: misein, odiare.

Storia – Non si fa più – la storiografia. Sull’esempio degli Stati Uniti che ne hanno fatta poca e a malincuore, e dal dopoguerra non più?
Spadolini (“Giolitti e i cattolici”, “Il papato socialista”, “L’opposizione cattolica d a Porta Pia al ‘14”), per dire, aveva già fatto la storia del giolittismo, sui documenti, cinquant’anni dopo i fatti. La storia del fascismo si è fatta, abbastanza, fino agli anni 1970. Soprattutto sui memoir. Poi solo per generi, e specialisti. Della Repubblica, che ha fatto settanta e più anni, non sappiamo niente, se non per memoria personale.

zeulig@antiit.eu 

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