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lunedì 7 ottobre 2019

Secondi pensieri - 397

zeulig


Durata – “Il nesso ineffabile dell’esistenza”, R.Barthes, “Il grado zero della scrittura” (“La scrittura del Romanzo”). La liaison, “che è anche legame sentimentale”.

Immagini – La civiltà (contemporaneità) si dice delle immagini – da E. Jünger a Sonntag e ora all’opinione comune. Che però si manipolano – sono un artefatto. Si vede dove sono portate a prova: che affermano e sconfessano indifferentemente, le stesse immagini. Nei sogni come in foto, al cinema, in tv, sui social. Nel ricordo-ricostruzione come in tribunale e sui campi di gioco (la moviola, il Var). Non c’è solo la manipolazione, che presume un progetto. L’immagine è effetto di luci, e d’ombre. E di movimento, anche quella statica. Varia col posizionamento dell’occhio riflettente, anche video- o tele-camera, con l’illuminazione, con l’inquadratura, col movimento, al’interno di essa e all’esterno (rallentamento, anche minimo, accelerazione).
Forse la verità non fa un passo indietro con le immagini, ma nemmeno un passo avanti.

Lingua – Una difesa o una barriera? È l’una cosa e l’altra. Identificandosi con la nazione, di cui è anzi il fondamento, limita la qualità veicolare entro confini. Erige confini, nazionali e anche sociali – attraverso l’alfabetizzazione, l’apprendimento. La misura in cui diventa una piattaforma, oppure una prigione, un castello assediato, dipende dalla rigidità che (si) impone, dal grado di elasticità.
Resta il fattore primo dell’identità, comunitaria – nazionale e sociale: uno svizzero italiano è italiano prima che svizzero – lombardo sarebbe più giusto, ma sempre italiano. Ma sopravvive e si rinnova per innesti, endogeni e esogeni: è la comunicazione, e quindi si vuole curiosa, aperta.

Selfie – Va contro il romanzesco? Contro la terza persona, l’“egli” di R.Barthes che è il perno del romanzesco. Ma è l’appropriazione del romanzo, dell’“egli”, da parte dell’io. In una prospettiva dichiaratamente piatta, di orizzonte rivoltato sull’io che guarda. O anche: l’io si dichiara attore in proprio, senza più intermediazioni (finzioni). O si pretende di più, di “più verità”, per essere presuntivamente spontaneo e non riflesso, non costruito: la verità come spontaneità.
Il problema è – può essere – questo: che ambisce a verità. La confessione e il ricordo si erigono fondamenti di verità.

Oggi molto più che in ogni altro tempo, la storia è dei testimoni, di giustizia e non: ognuno recita la sua parte. I fili che s’intrecciano sono per sé veritieri, non si valutano. La civiltà del selfie, se c’è, è una civiltà del sé. Di tessitura inesistente, o debole – un narcisismo di bassa lega.
Si dice anche genere moderno, freudiano. È in effetti un prolungamento (volgarizzazione) dello storione familiare di freudiana memoria. Ma di fatto anti-freudiano, di maniera invece che di ricerca. Prodotto assemblando le due-tre nozioni freudiane di uso comune, non l’apertura all’inconscio\ignoto\indeterminato\ipotetico freudiano, un allargamento della sfera del’esperienza o avventura.

I Grandi Uomini ne rifuggono. Ne hanno rifuggito in passato, non ci sono più Grandi Uomini - è il motivo per cui oggi non ci sono più Grandi uomini, che le memorie sono articolo obbligatorio? Cesare lo praticò a fini politici: si scrisse gli annali delle proprie “imprese” da solo.

Storia – “È sempre e anzitutto una scelta e i limiti di questa scelta”, R .Barthes, “Il grado zero dela scrittura”( “Che cos’è la scrittura?”)
È rassicurante, un energetico. “Il passato narrativo fa parte di un sistema di sicurezza delle Belle Lettere. Immagine di un ordine”, id., “La scrittura del Romanzo” (“romanzo e storia hanno rapporti stretti nel secolo che ha visto il loro più grande sviluppo”). “Il passato semplice è… l’espressione di un ordine, e di conseguenza di un’euforia. Grazie a lui, la realtà non è né misteriosa né assurda, è chiara, quasi familiare, a ogni momento raccolta e contenuta nella mano di un creatore; subisce la pressione ingegnosa della sua libertà. Per tutti i grandi recitanti del XIXmo secolo, il mondo può essere patetico, ma non è abbandonato perché è un insieme di rapporti coerenti, perché non c’è sovrapposizione tra  fatti scritti, perché quello che lo racconta ha il potere di ricusare l’opacità e la solitudine delle esistenze che lo compongono, perché può testimoniare a ogni frase di una comunicazione e di una gerarchia degli atti, perché infine, è tutto dire, quegli stessi atti possono essere ridotti a segni”.

Tribù – Richiamata in Europa in chiave nazionale, dalla rivoluzione francese e poi nell’opinione del primo Ottocento, da Walter Scott, da Michelet. Nel mentre che il colonialismo la deprezzava in chiave etno- antropologica. Michelet, autore de “Il popolo”, in “La montagna” arriva a una sorta di protezionismo biologico. Guardando le efflorescenze effervescenti dei Caraibi o delle isole della Sonda: “Alla vera Flora francese, un po’ povera è vero ma affascinante, squisita, sposa legittima del nostro spirito nazionale, sono succedute queste concubine che la cultura spinge a ingrossare, a prendere i colori invadenti che la barbarie del tempo ama”. Le erbe e gli alberi sono “mondo amabile di mutualità, di ospitalità fraterna”. E ancora: “Com’erano degni e gravi i clan originari dei nostri alberi e le piante dei Galli! Erano parentele, erano amicizie. Parenti tra essi, lo erano con noi. Conoscevano e dicevano i nostri pensieri, ci parlavano secondo i nostri bisogni”.

L’invenzione della tradizione è opera piacevole, scovare un passato utile è pure facile –se limitato a sé, la famiglia, il clan. Il metodo è quello di Walter Scott, il genio che dei pastori scozzesi convertì i clan in casati, dotandoli di pedigree, armi in forma di tartan, stendardi, inni, miti, saghe, kilt, uniformi, e i corni ha doppiato di cornamuse berbere importate via Gibilterra, avendo per sé scelto, per nobilitarsi, l’Inghilterra.

“Ci sono realmente cose come le nazioni”, George Orwell chiede in “Il leone e l’unicorno”, il saggio che al tempo dell’attacco di Hitler dedicò all’Inghilterra madrepatria, “non solo 46 milioni di individui tutti differentissimi?” Ci sono, la risposta l’ha già data: “Col “bravo soldato che uccide alla cieca il “nemico”. Con la abitudini di vita. Con l’aspetto fisico – la cura, i modi. Con la lingua.


zeulig@antiit.eu

1 commento:

Anonimo ha detto...

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