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giovedì 10 ottobre 2019

Letture - 399

letterautore


Brecht – Morì suicida. Non per un gesto violento, ma per essersi voluto lasciar morire. Lo rivela Wolf Biermann a Tonia Mastrobuoni sul “Venerdì di Repubblica”. Non si uccise, ma volle morire, per una sorta di “complesso di Galileo”. Biermann lo spiega bene: “ “Fu un italiano a ucciderlo.  Galileo Galilei”. Di cui Brecht aveva scritto la “Vita” nel 1938. Quando era già in esilio, ma “tipicamente, scrisse un elogio della vigliaccheria, della furbizia e dell’inganno. L’abiura è stata un bene, questa la tesi”. Poi ci fu la California, la distruzione della Germania, e la bomba atomica. “E Brecht si spaventò a morte. Decise di riscrivere l’opera, condannando Galileo per la sua vigliaccheria dinanzi all’Inquisizione. Ma siccome era un genio pigro, non riscrisse tutto. solo la scena finale”. E qui, dice, “viene la parte complicata”: a Berlino nel 1956 il “Galileo” non funziona: “Non convinceva nell’improvvisa svolta dell’ultima scena”. Brecht stava male: “Era scioccato, come tutti noi, per i crimini di Stalin svelati a Mosca”.  Ma “si intestardì: passò ore e ore alle prove”, Biermann era allievo del Berliner Ensemble, “anche se era già malato. Capì che avrebbe avuto bisogno di molta forza per rinnegare se stesso”. E scelse di dileguarsi: “Disertò nella morte”. Era malato, ma non tanto: “Il dottor Tsouloukidse, un medico mio amico, lo esaminò. Brecht aveva appena 58 anni, avrebbe potuto vivere ancora per decenni”.
I tempi sono giusti. Krusciov denuncia Stalin a fine febbraio. A maggio Brecht si ricovera in ospedale, ma ha solo un’influenza. A Ferragosto muore d’infarto. Certificato ma non accertato. 

Brexit – Riprende una tradizione vecchia. Sempre in Europa si è parlato male degli inglesi, parlar male degli inglesi era un invito alla connivenza, poiché su questo tutti erano concordi. “La corte inglese era un inferno dell’odio”, spiega il pur simpatetico Huizinga, “L’au­tunno del Medioevo”, dei secoli prima, durante e dopo il Rinascimento. Sentimenti analoghi si nutrivano nell’isola verso il continente: “Di là egli (il viaggiatore) porta l’arte dell’ateismo, l’arte di gozzovigliare, l’arte di fornicare, l’arte di avvelenare, l’arte della sodo­mia”, stabilisce “II viaggiatore sfortunato” di Thomas Nashe, classico del grand tour nel ‘500. Secondo Pirandello, “gli inglesi parlano come se avessero una patata calda in bocca” - da qui la forma della bocca?

Casalingo – Si può dire di molti scrittori, anche quando hanno esperienza di mondo. Il più importante è Manzoni, che era anche il più “viaggiato”, quello con maggiore esperienza e cultura internazionali – amava parlare in dialetto. Lo è Lampedusa, altro cosmopolita. Alvaro, id.. Calvino è invece scrittore cosmopolita di programma, benché molto (variamente) “impegnato” in Italia. E Soldati, malgrado lo strapaesismo professato, per i cibi, i vini, i visi, il com’eravamo. Michelet è uno scrittore casalingo, malgrado i viaggi all’estero programmati ogni anno, e i due traslochi in Italia, a Firenze e a Nervi. A differenza di Flaubert e di Baudelaire, che si sarebbe tentati di dire molto francesi, mentre invece dalle esperienza all’estero derivarono molte idee, e anche scritture. O Dumas, che fece tesoro delle esperienze in Germania, Italia e Russia.

Dialetto – “Quello che veramente ognun dice, ogni nato della sua molteplice terra, e non la roca trombazza d’un idioma impossibile, che nessuno parla”: così Gadda a plauso del “dire” di Manzoni  - “Apologia manzoniana” (in “Divagazioni e garbuglio”). Della “roca trombazza” continuando a dire: “Che nessuno parla (sarebbe il male minore), che nessuno pensa, né rivolgendosi a sé, né alla sua ragazza, né a Dio”.

Editoria – “Fare libri è come giocare d’azzardo”, Gian Arturo Ferrari

Flaubert – Lavorò a “una codificazione gregoriana” della scrittura”, R.Barthes, “Il grado zero dela scrittura”.

Italiano – “Il difetto maggiore degli italiani è di parlare sempre dei loro difetti”, è detto noto di Flaiano, registrato nel “Frasario essenziale” collazionato da Manganelli e Maria Corti. Ma non è noto l’articolo di cui è l’incipit, una raccolta straordinaria di likes, due cartelle che sono un concentrato dell’italianità (reperibili ora solo nel volume “Opere. Scritti postumi” dei Classici Bompiani – non più reperibile, come del resto lo stesso “Frasario essenziale”).  “Mi piace, per esempio, che sia generalmente bugiardo”, eccetera, “che pensi sempre alle donne”, “che sia pigro”,”che sia gentile, sentimentale, cinico, spendaccione, imprudente, frivolo, fastoso”,“che non sia tanto patriottico” (“gli permette di essere uno dei popoli meno razzisti e intolleranti” – vero, il razzismo si misura), “che sia generalmente estroverso”, “che non abbia molto sviluppato il senso dei rapporti sociali”, “che l’italiano del nord se la pigli con l’italiano del sud”, “che l’italiano sia portato alla confusione”. Perché, in generale, riconosce i suoi difetti: “Evidentemente, quando si parla dei difetti dell’italiano si prende a confronto un popolo ideale che non esiste in nessuna parte del mondo ma che noi, sempre ottimisti (altro difetto!) crediamo che viva e prosperi realmente”.
La lunga lista non registra il difetto che Maria Corti illustra alla fine della lunga presentazione delle opere postume di Flaiano, a proposito della sua mancata popolarità, dello scarso seguito di critici e lettori  di Flaiano: “L’allarmante incapacità di cogliere e assimilare ironia e satira nei propri riguardi”.

Libro – “Ogni libro è un fallimento”, G. Orwell, “Perché scrivo” (in “Letteratura palestra di libertà”). Per il suo autore e in sé: “Tutti gli scrittori sono vanitosi, egoisti e indolenti, e al fondo dei loro motivi c’è un mistero”.

Mameli – Incontrava il gusto del patriottico Gadda, invece di Carducci, autoeletto “Vate d’Italia alla stagiona più bella!”: “Possiamo passarla al Carducci”, commenta Gadda, “anche se, come vate, le nostre preferenze le ha tutte Goffredo Mameli” – (in “Divagazioni e garbuglio”, 40).
Ma “vate” non è una buona parola per Gadda. Risponde alla “posa del profetismo”che non è buona, se non per due aspetti: “La posa del profetismo, così connaturata a tutto l’800…. aveva nell’800 un che di ingenuo, di rispettabile e anche di vero. C’erano due grandi aurore in fàbbrica: l’aurora sociale in Europa e, da noi, l’aurora vera e santa del Risorgimento”.

Michelet – Fu traduttore di Vico, della “Scienza nuova”. Con un saggio sulla vita e l’opera di Vico.- e alla seconda edizione della traduzione di una “Vie de Vico par lui-même”

Naturalismo – “Nessuna scrittura è più artificiale di quella che ha preteso di dipingere da presso la Natura”, R. Barthes, “Il grado zero della scrittura”: Maupassant, Zola, Daudet. Combinando l’“arte” flaubertiana con gerghi, parole forti, dialetti, “per una natura verbale francamente estranea al reale”.  

Poesia – Differisce dalla prosa per la cantabilità – la diversa “misura”: “La poesia classica non era sentita che come una variante ornamentale della Prosa, il frutto di un’arte”, R. Barthes, “Il grado zero della scrittura – “C’è una scrittura poetica?”

Romanzo – Una “masturbazione solitaria”, Michelet, “Diario”, lunedì 22 luglio 1861. Michelet, sempre felice sposo da una decina d’anni della giovane Aténaïs, aveva avuto l’idea di un romanzo, “Sylvine ou les Mémoires d’un jeune femme de chambre”, tema pruriginoso. Finché un giorno riflette: “Avendo avuto il 10 una felicità così completa, così ben condivisa il 17, mi dico il 19: perché fantasie bizzarre? Hai la poesia sotto mano. Riprendi il solito equilibrio”.

Scrivere – “Lasciare al senso la scelta delle parole, e non l’inverso”, G.Orwell, “La politica e la lingua inglese”: “In prosa la cosa peggiore che si può fare con le parole è arrendersi a esse”.

letterautore@antiit.eu

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