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venerdì 11 ottobre 2019

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (405)

Giuseppe Leuzzi


La Corte Europea dei diritti umani dice che l’ergastolo ai mafiosi non è umano. È un problema di lettura dei diritti umani, che pure dovrebbero essere indivisibili. Di una civiltà giuridica europea scesa a livelli da basso popolo, social. Dice bene al contrario Rosaria Schifani, la vedova di una delle vittime delle stragi di mafia: “Ci hanno condannato all’ergastolo del dolore”.
I giuristi europei non sono equanimi: gente con cento omicidi esce dal carcere dopo venti e quindici anni, senza pentirsi. Dice: è redenta. Da che cosa? I giudici non hanno senso del reale.

Il “papello” di Riina, che i giudici tanto denunciano, non prevedeva esattamente quello che la Corte Europea dei diritti umani impone, l’abolizione dell’ergastolo? Sì. Ma celebreremo mai un processo alla Corte Europea per mafia? No, giudice non morde giudice.

Catanzaro ha il record della raccolta differenziata, col 67 per cento. Bari ha fatto meglio in uno dei quartieri, con l’80 per ceto. Cosenza è passata in sei ani dal 22 al 66 per cento. In paese, si può testimoniare, la differenziata è stata al 100 per cento appena promossa, senza nemmeno tante spiegazioni, dal Comune. Il Sud è legalitario Sarebbe, se i Carabinieri gliene dessero lo spazio. Debellando la mafia, per esempio, invece di coltivarla ingigantendola.  

Ma il Sud ha un solo impianto per il trattamento dei rifiuti, quello di Acerra in Campania. Voluto e realizzato peraltro dal governo screditato di Berlusconi. Purtroppo il Sud è materia di chiacchiere, nella chiacchiera generale che è la politica italiana.
Il Sud dovrebbe emanciparsi dall’Italia: tutti i discorsi sull’unità sono terribili, e inutili, perché confluiscono sul vincolo territoriale. No, il Sud deve liberarsi dalle chiacchiere italiane, tornare fattivo.

Il Cavazzoni mafioso
“C’è stata un’epoca in cui vincevo continuamente dei premi (letterari) specie nel sud d’Italia, ho vinto a Palmi in Calabria, a Cosenza, a Catania, a Roma, a Barletta, in Lucania, a Bari, e in altri posti minori che non ricordo”: Ermanno Cavazzoni, “Quando vincevo i premi letterari”, “Sole 24 Ore” di domenica. A  parte Roma confinata al Sud, il beffardo Cavazzoni non è contento di essere confinato al Sud nella critica letteraria e non ha torto: al Sud non si vendono libri, e se se ne vende qualcuno non lo si paga al distributore. Ma conferma che il cazzeggio ha corso al Sud, l’ironia dissolvente, e un po’ amara.
Lo scrittore emiliano approfitta delle congiuntura, nel racconto che pubblica nella raccolta “Storie vere e verissime”, per satireggiare l’illustrazione della mafia, l’esercizio prediletto dell’Italia. “Mi sono convinto a posteriori che mi appoggiava la ‘ndrangheta: frequentavo a quel tempo dei calabresi…”. Dev’essere così: “La mafia spazia, ragiona in grande, usa a loro insaputa le grandi personalità della storia”. E organizza premi letterari. 
I premi letterari mafiosi non è male.
I penultimi che avevano “capito” il Sud e le mafie sono Fruttero e Lucentini, che sono morti da tempo.

Gesuiti e cappuccini
Due ordini di Cappuccini si sono formati attorno al 1552, uno in Calabria e uno nelle Marche - Silvestro Morabito, “Cappuccini calabresi nel mondo”. Il primo “movimento di riforma” fu calabrese, 1518, a opera di due francescani di Reggio, Ludovico Comi e Bernardino Morlizzi, cui furono confidati i conventi di Terranova, Cinquefrondi e Tropea per esercitarvi con altri confratelli la “genuina” regola francescana. Matteo da Bascio, in Ancona, seguiva. Ma nel 1525 richiese e ottenne da papa Clemente VII il placet per ritirarsi a vita eremitica. Una iniziativa che altri due frati, i fratelli Ludovico e Raffaele da Fossombrone, trasformarono in movimento di riforma. Ottenendo dallo stsso Clemente VII il 3 luglio 1528 il breve “Religionis zelus” per il riconoscimento di una nuova congregazione francescana, i Frati minori della vita eremitica.
Anche i frati calabresi, spiega padre Morabito, avevano ottenuto nel 1525, in occasione del pellegrinaggio a Roma per l’Anno Santo, un breve papale di riconoscimento, che consentiva loro, insieme con altri dodici fratelli, di ritirarsi nell’eremo di Valletuccio. Ma questo breve è andato perduto: nel 1544 arrivò in visita a Mileto, dove il documento si conservava, il Generale del nuovo ordine, un marchigiano, padre Eusebio di Ancona, che se lo prese per portarlo alla sede centrale a Roma, dove non si è più trovato.
Padre Silvestro Morabito, nome arabo, professione cappuccino, tratta nella sua storia dei Cappuccini missionari. Con orgoglio. Ma c’erano missionari e missionari.
I cappuccini, i barbadinhos, erano la causa del ritardo dell’Angola, secondo José Eduardo dos Santos, scherzoso ma non del tutto, un ingegnere di Mosca, incontrato ad Algeri, compagno di Agostinho Neto nella guerra contro il Portogallo per l’indipendenza dell’allora colonia – di cui poi sarà il “presidente” ininterrotto per quarant’anni, fino all’anno scorso. Ma, poi, senza loro colpa.
Il fatto è narrato nel romanzo di Astolfo, “La gioia del giorno”:
“È scettico José Eduardo dos Santos, un ingegnere, coetaneo:
“- Tutta l’Africa è indipendente, eccetto le colonie portoghesi: per quale peccato? – E si risponde: - C’è chi ha avuto i francesi, chi gli inglesi, chi i gesuiti. Noi abbiamo avuto i portoghesi e i cappuccini, i poveri di Europa, che dopo due settimane montavano come conigli, insabbiati nella brousse. Siamo la loro carne.
“I cappuccini accatastano teschi in chiesa, a Palermo, a via Veneto, al Kreuzberg, ma fuori, si vede, se la godono. Sono bizzarri i destini della storia. L’Africa subì i cappuccini, ma i guaranì e gli altri nativi americani, che i gesuiti protessero dalla stupidità coloniale, non ne furono salvati. Né si può dire negativo l’ardore dei cappuccini. Il progressista marchese di Pombal, che perseguitò i gesuiti, impose agli angolani l’emigrazione in Brasile. Ne nacquero il samba e tanti brasiliani. Il marchese, riponendo la prosperità nella demografia, fece del Brasile un fottisterio: “L’estrema voluttà dei portoghesi li portava a integrarsi senza difficoltà ai tropici”, così Freyre spiega il lusotropicalismo, prima della squalifica del negro, e delle negre.”

I Versace carbonai
Se è vero quanto racconta Donatella Versace a “Io Donna”il 14 settembre, i Versace vengono da una famiglia importante di Reggio Calabria. Santo, il fratello maggiore, laureato (con 110 e lode) in giurisprudenza a Messina. Donatella con studi universitari a Firenze. La madre stilista, e non una sartina. Il padre un ricco proprietario terriero: “Mia madre era una donna molto forte e autonoma. Veniva da una famiglia povera, si era fatta da sola: aveva sposato un uomo ricco, perché i Versace possedevano miniere di carbone, ma lei non gli ha ma chiesto un soldo. Aveva una grande sartoria, lavorava tantissimo e io la vedevo davvero poco. Siamo cresciuti con una specie di zia che stava con noi”
 “Miniere di carbone” è inesatto, non ce ne sono mai state, né in Calabria né in Italia. Si produceva carbone di legna, che allora era richiesto, nelle carbonaie, in primavera, nei grandi boschi dell’Aspromonte. E attorno a Carmelia, in territorio del comune di Delianuova, di cui i Versace erano proprietari per larghe superfici – la parte del Demanio che con l’Unità era sta ceduta ai patrioti e agli amici degli amici.
Ercole Versace, che per la famiglia curava gli interessi in montagna, fu il primo dei sequestrati dell’Aspromonte, il 3 luglio del 1963.

Delocalizzazioni
Si commissaria l’Asp di Reggio Calabra, con grave scandalo: ha accumulato 240 milioni di deficit. E lo scandalo continua dopo tre mesi. A Massa, per una popolazione che è un terzo della provincia calabrese, l’Asp ha fatto un crac di 400 milioni. Non ora, dieci anni fa. E nulla: la Regione Toscana l’ha commissariata e risanata senza storie. Con la pretesa di avere la migliore sanità d’Italia. Anche se ha il record di morti quest’anno per il virus New Delhi, dopo avere avuto per alcuni anni quello dei morti per meningite.
Avviene di passare un mese in Toscana e un mese in Calabria, oltre a vari soggiorni alternati nelle due regioni. Tra il più augusto compiacimento, cioè, e la celebrazione costante, e il continuo disprezzo, una geremiade costante.
D’estate il mare di Massa è molto celebrato, Riviera Apuana e Versilia. Molto caro. Con molte bandiere blu - Legambiente è sempre legata alla Toscana, benché la Toscana non sia più “rossa”. Anche se dopo ogni temporale, anche di pochi minuti, la sporcizia galleggia sulle acque e l’Arpat deve dichiararle non balneabili, per almeno 5-7 giorni - i torrenti che vanno a mare dalle Apuane sono neri di sporcizia. Come dire che si può passare la stagione senza mare. Nella Costa Viola, tra Palmi e Scilla, il mare è trasparente in proporzione inversa, nove giorni su dieci. Ma senza bandiere blu. E con titoli che campeggiano sui giornali allarmistici per più giorni se una macchia qua o là appare.
Anche i servizi lasciano a desiderare, a Massa e dintorni. Specie quelli essenziali, alla “navigazione”. Il segnale è scarso in tutta la riviera, nelle residenze – bisogna andare sulla spiaggia, dove i bagni si sono organizzati un wi-fi. Ed è assente in molti paesi, anche popolosi, delle Alpi retrostanti - che pure sono tutti vista mare, quindi sarebbero facili da servire, non fosse l’incuria. Si telefona dovunque negli anfratti dell’“area metropolitana” di Reggio Calabria.
C’è una evidente percezione diversa degli stessi fatti, in dipendenza dalla localizzazione. È positiva e convinta a Nord, pessimista e perfino disfattista a Sud - anche a Roma (a Roma si vede ogni giorno leggendo la cronaca di Milano sul “Corriere della sera” e la cronaca di Roma sullo stesso giornale: semplice e osannante quella, corrucciata e disperante questa).
Ma è pur vero che la storia dice, nella fattispecie, che i Romani, per punitre gli Apuani e i Sanniti, irriducibili, li delocalizzarono: gli Apiuanid deportarono nel Sannio e i Sanniti nelle Apuane.


leuzzi@antiit.eu

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