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martedì 7 gennaio 2020

Prima che gli americani, via l'Iran dall'Iraq

L’Iraq vota il ritiro delle truppe americane, ma non ha fretta. Vota per il ritiro, senza scadenza e senza fretta, la metà del Parlamento di Baghdad che ha partecipato al voto, quella sciita. L’altra metà, quella sunnita, che è però largamente maggioritaria nel paese, non ha partecipato al voto. Il capo della coalizione sciita Saairun, “in marcia”, Moqtada el Sadr, che ha combattuto l’occupazione straniera già dal 2003, appena deposto Saddam Hussein, con l’“esercito del Mahdi”, si è opposto a un ultimatum. Contro le altre due formazioni sciite, il Dawa e lo Sciri.
Al momento, in Iraq, il dopo-Suleimani è un confronto all’interno del movimento sciita, tra El Sadr e i due pariti concorrenti. Creati e gestiti da iracheni che negli anni 1980, durante la guerra portata da Saddam Hussein contro l’Iran, si erano esiliati a Teheran, erano ritornati con i fondi e le paramilizie iraniane, e collaboravano con Suleimani e Muhandis nell’assedio all’ambasciata americana e in altre provocazioni. Dopo aver alimentato col terrorismo la guerra civile contro gli iracheni sunniti, le loro scuole, le loro moschee, i loro mercati.
È come Trump ha detto in uno de tanti tweet contro Suleimani: “Gli iracheni lo temevano e lo odiavano”. Suleiman e Muhandis sono stati colpiti di precisione su informativa irachena, probabilmente dello stesso Sadr.
C’è ostilità in Iraq, anche nella comunità sciita, per l’intromettenza iraniana. Che ha abusato dell’impegno anti-Is per esautorare le autorità irachene. Anche quelle sciite, ma non filo-iraniane.  Il risentimento si estende al piccolo commercio e allo sfruttamento locale degli idrocarburi, il petrolio e il gas, sempre per l’intromettenza iraniana, dei bazarì.

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