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mercoledì 13 maggio 2020

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (425)

Giuseppe Leuzzi

L’ennesima riproposta su Rai 1 del “Campo del vasaio”, scontate le curve della dark lady Dolores-Belen, ha l’effetto di un’apparizione. Si tratta per Montalbano, onesto servitore dello Stato,  di sventare un complotto contro la mafia. Niente di meno. Con l’aiuto del consigliori del capomafia.

Cioè: non tutto è mafia. È la chiave dell’attrattiva perdurante di Camilleri, siciliano fuori norma.

La regione Calabria decreta l’apertura di bar e ristoranti lunedì 4 maggio. Il governo impugna l’ordinanza regionale e il Tar calabrese gli dà ragione. Fin qui una normale “dialettica politica”: il Tar dem boccia la giunta regionale di destra. Lunedì 11 riapre l’Alto Adige: non solo bar e ristoranti, ma tutto. E non succede nulla. Il governo ha impugnato anche questa ordinanza locale ma forse no, non si sa, nessun Tar è adito. In Alto Adige si respira meglio.

Fa un po’ pena, oltre la simpatia, l’imprenditore Commisso che ha voluto coccolarsi la Fiorentina, rivitalizzandola, tenendosi a un costo i gioielli, Chiesa, Castrovilli, dopo l’ostentato lungo abbandono dei Della Valle. Ora che la Fiorentina, insieme con la Sampdoria, è colpita dal coronavirus, l’unanimità si è fatta in serie A per riprendere il campionato: tanto, due delle tre da retrocedere sono già scritte. Sicuramente capace in America, dove ha creato tanto dal nulla, il calabrese Commisso non ha capito che in Italia bisogna essere mafiosi.

Un  giudice accusa in diretta tv il ministro della Giustizia di intendersela con le mafie. Il ministro replica che non è vero. E tutto finisce lì. Non solo i media, che forse non capiscono e comunque non contano, nemmeno un giudice a Roma, dove il reato si è consumato, perché di un reato si tratta, a carico del ministro o a carico del giudice, si è alzato per aprire un procedimento penale. Perché è così: l’antimafia non è una cosa seria.

Il senso profondo della legge condanna a una vita infelice, per la sua vertiginosa assenza. È Kafka,  la sua esperienza e la sua opera, se non una sua riflessione - un, diciamo, disadattato. Ma l’esperienza è comune al Sud, pratica, fattuale, sociale, non psicologica o metafisica.

Al Sud, secondo Eurispes, l’agricoltura è infiltrata al 60 per cento dalle mafie. Se anche fosse severo al 6 per cento, sarebbe lo steso terribile. Ma è pure vero che le aziende mafiose, che s’incontrano per esempio nella piana di Gioia Tauro, sono le meglio accudite, più avanti con le tecniche, più capaci di accedere ai fondi europei per l’ammodernamento, la sperimentazione, la commercializzazione.

Ci sono stati momenti, nella piana di Gioia Tauro, dall’agro di Pami a quello di Rosarno, apice Cinquefrondi-Cittanova, in cui le aziende agricole mafiose erano all’apparenza derelitte: alberazione malaticcia, terreni non ripuliti e non dissodati, recinzioni spoglie o rotte. Eccetto quelle recuperate da Libera, il cartello di associazioni di don Ciotti. Era l’epoca , venticinque-venti anni fa, dei pentimenti dei capi mafiosi – in cambio di rendite non visibili? Ora si vede invece il contrario. I terreni delle mafie, passati evidentemente di mano, a congiunti o prestanome, prosperano, quelli assegnati a Libera languono: recinzioni dissestate, alberi non potati, terreni infestati.

Il regista torinese Livermore programma a Genova in autunno, con grande clamore pubblicitario su “La Lettura”, la tragedia “Elena” di Euripide. Una messa in scena originale prodotta dal Teatro Greco di Siracusa nel 2019. Con la stessa Elena di Siracusa, Laura Marinoni. Senza mai citare Siracusa, dei tanti teatri con i quali vanta di avere lavorato. Che ci sia stato lo ricorda, in mezza riga, Emilia Costantini, l’intervisatrice. 

Si leggono con sgomento le bio dei mafiosi scarcerati per malattia. Tutta gente che è stata libera di trafficare per decenni, partite anche complesse come la droga, e di grande visibilità (contatti  transoceanici, spostamenti, carichi e scarichi, immagazzinamento), pur essendo noti alle polizie. Che li ricercavano, ma non tanto, evidentemente – quasi tutte le donne non erano nemmeno latitanti.

Sudismi\sadismi - Il Sud non fa statistica

Il “Corriere della sera”pubblica i dati Istat sull’evoluzione del coronavirus al Nord, con una crescita media delle morti del 50 per cento a marzo rispetto al marzo 2019. Ma non dice niente del Centro-Sud, che invece ha avuto meno morti rispetto all’anno prima.

Una dimenticanza? No, c’è mezza riga: “L’eccezione di Roma, meno 9,4 per cento”. Anzi, due mezze righe: “In 1.817 Comuni per lo più del Centro-Sud, i decessi sono stati inferiori dell’1,8 per cento”.

Silenzio totale sul dato principale dei conti Istat: che il 91 per cento dell’eccesso di mortalità a marzo sulle medie stagionali, cioè nove morti in più su dieci, si concentra in 3.271 comuni, di 37 province, del Nord – più Pesaro-Urbino.

Un’informazione provinciale? Il leghismo non è solo.

 I briganti in Patagonia

Del quinto presidente del consiglio dell’Italia unita, Menabrea, estimatore professo del “sano terrorismo di Minghetti” e Cialdini al Sud dopo l’unità, non si ricorda il progetto romanzesco di deportare i “briganti” in Patagonia. Pure il fatto è narrato in dettaglio nelle bio wikipedia del savoiardo di Chambéry Luigi Federico Menabrea, matematico, generale, deputato di plurime legislature, senatore a vita, ministro della Marina e del’lAgricoltura, presidente del consiglio, ambasciatore.

Da presidente del consiglio, il 16 settembre 1866 Menabrea scrisse all’ambasciatore in Argentina, Enrico della Croce di Dojola, di sondare il governo di Buenos Aires su una concessione di terre “totalmente disabitate” del Sud della Patagonia, al fine di deportarvi i “ribelli” del brigantaggio meridionale, che, seppure in via di decimazione, affollavano le carceri. E anche per rinverdire “il sano terrorismo di Minghetti”, il primo ministro dell’Interno dell’Italia unita, poi presidente del consiglio. L’idea era di stroncare il ribellismo “col mezzo di stabilimenti penali in lontane contrade e colla deportazione dei rei”. Senza secondi propositi di crearsi colonie: “Limitata allo scopo poc’anzi accennato, l’occupazione territoriale non avrebbe in vista lo stabilimento di una vasta colonia destinata ad acquisire una vasta importanza politica”. Una sorta di Guantánamo, di Cajenna italiana. Menabrea si rivolgeva all’Argentina perché l’Italia non aveva colonie – anche se lui stesso ne aveva avviato la non felice storia con l’acquisto infausto di Assab. La risposta argentina fu breve, rispose l’ambasciatore: il governo nega “la vendita, l’ospitalità, l’affitto e il comodato”, ogni ipotesi di cessione del territorio.

Del progetto Menabrea si sono occupati Fulvio Izzo, “I lager dei Savoia”, pp. 173-178, e Lorenzo Del Boca, “Indietro Savoia!”, p. 235-236.  

Le delocalizzazioni in massa, un’idea romana per avere ragione dei riottosi (scambiarono per esempio gli Apuani con gli Irpini, per cui si trovano adesso residui irpini di varia natura a Massa e Carrara, e apuani in Irpinia), ritornarono nel secondo Ottocento, seppure solo allo stato di progetto. Il più celebre sarà la deportazione-concentrazione degli ebrei europei nel Madagascar.

La donna assente

Non ci sono donne nella letteratura del Sud, né in poesia né in prosa. Non nei siciliani, De Roberto, Verga, Pirandello, Brancati, Lampedusa, Sciascia, Bufalino. Se non nella forma della “dolicocefala bionda” – Verga delle novelle milanesi. Giusto la “Baronessa di Carini”, di ignoto. E “Giacinta” di Capuana.

Non c’è la madre divorante, la sognatrice, la tentatrice, la cinica, la monaca di casa, l’imprenditrice, la vamp, tutto ciò che la letteratura associa – ha associato – alle figure femminili. C’è nei racconti di Camilleri, anche questa del tipo dolicocefala bionda, ma ben impiantata nella vita, ninfa, amante, agra, cinica, dark lady, calcolatrice, devota, risolutrice, nella provincia, che è il proprio del Sud, privo di corti e di metropoli.

La donna non c’è nemmeno nei napoletani. Eccetto che in Domenico Rea, “Ninfa plebea”, “Gesù, fate luce”, e in un paio di figure tragiche di Eduardo.

Corrado Alvaro, che ha saputo leggere il potere della “mamma” mediterranea, la dea madre,  ci ha provato più volte, con esiti non memorabili.


leuzzi@antiit.eu

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