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lunedì 13 dicembre 2021

Come (non) essere Flaubert

Il racconto, distrattamente repertoriato sul sito come “Mr Flaubert, c’est moi”, è invece al contrario. Barnes, sempre riconoscente a Flaubert per essere arrivato al mainstream con lui, col romanzo “Il pappagallo di Flaubert”, fa il giro attorno al monumento, come un bambino sempre curioso, ma anche mordace. Sorride dell’idolo, e anche degli idolatri, come lui stesso.
Sorride dell’assoluta mancanza di erotismo, di uno che scrisse anche una “Educazione sentimentale”, oltre che di Adulteri, e “scopava (nei bordelli) come un gendarme”, a detta del suo intimo amico Louis Bouilhet, il poeta. Della scarsa memoria, malgrado la puntigliosa accuratezza verbale. Perfino di cosa aveva scritto in “Madame Bovry”, che lo aveva trascinato in tribunale. A Hyppolite Taine, che glia chiedeva un contributo per il suo studio “De l’Intelligence”, spiegò che le immagini e i personaggi erano veri per lui come delle realtà oggettive, a volte più complesse di quella che scriveva: “Ci sono molti particolari che non trascrivo”, spiega a Taine: “Il signor Homais, come lo vedo io, è leggermente butterato dal vaiolo”. Ma questo è quello che ha scritto in “Madame Bovary”, Homais è proprio “leggermente butterato”. Anche se è vero che a volte ometteva dei particolari. Barnes fa il caso del rapporto di Emma con Rodolphe: “Negli appunti di Flaubert per il romanzo in un’occasione la fa tornare a casa passando dai campi, «le foutre dans les cheveux», lo sperma nei capelli. È un dettaglio che ai lettori del libro viene risparmiato”. Ma non cambia la figura di Emma?
“Una singola parola cambia tutto”, Barnes d’altronde concorda con Flaubert. Il processo per “Bovary” gli fu fatto nel 1857 per una parola, “le piattezze del matrimonio”, come contrapposte, argomentava il pubblico ministero, alle gioie dell’adulterio. Flaubert rimediò suo a  del, in “le piattezze del suo matrimonio” – per una quindicina d’anni, nel 1873 ripristinò il generico del.
Un’altra parola decisiva. Flaubert è famoso tra i letterati anche per una massima o consiglio di scrittura – Styron e poi Philip Roth se l’appesero sopra la scrivania: “Sii ordinato e regolare nella tua vita, come un borghese, così potrai essere sfrenato e originale nel tuo lavoro”. Ma Flauber lo scrittore voleva “ordinaire”, ordinario e non ordinato. Un piccolo borghese, imperspicuo.
Fra gli idolatri ce n’è per tutti. “Sartre, quando scrisse ‘L’idiota della famiglia’”, la sua trilogia su Flaubert, “la sua analisi-più
-tentato-omicidio teoretico-psicoanalitico-politica”, tremila e più pagine, “non citò quasi mai direttamente da Flaubert”. Per evitare di “scrivere bene”. Ce n’è naturalmente per lo stesso devotissimo Barnes. E per le “mamme degli scrittori (scrittori maschi, beninteso)”. La sua e quella di Simenon – anche se purtroppo il salto di una parola, o di una riga, non consente di apprezzare per intero l’aneddotica.
C’è l’amicizia con Turgenev, “La sua anima gemella letteraria”. C’è il mancato, dopo ponderazione sempre attenta e partecipata, engagement politico, da “arrabbiato” ma “liberale”. “Ritengo Flaubert e Goncourt responsabili della repressione seguita alla Comune, perché non scrissero neppure una riga per impedirla”, Barnes dice “una delle affermazioni più monumentalmente fatue di Sartre”, nel 1948, prima dell’“Idiota”.
C’è la vecchiaia incombente, già in gioventù. Al banchetto che gli amici gli organizzarono nel 1850, già autore di grande successo, nel giorno del suo prediletto san Policarpo “(un vescovo di Smirne del II s ecolo famnoso per il suo lamentoso motto: «Oh Signore, in che mondo mi hai fatto nascere»)”, si scopre “un monumento”, anzi “in via di liquefazione come un vecchio Camembert”.
“Morì di vecchiaia ad appena cinquantotto anni”, può concludere Barnes.
Prima della fine c’è la questione della stupidità. Col progetto trentennale di “Bouvard e Pécuchet”. Ma questo è un capitolo  ancora da scrivere.
Julian Barnes, Gustave, l’educatore sentimentale, “Robinson” € 0,50

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