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domenica 12 dicembre 2021

Gli africani sono troppo buoni per non essere mangiati

“Nero\Bianco”, n. 0.
Condorcet, il rivoluzionario, sostenne che, se gli africani sono cattivi, la colpa è degli europei, che hanno insegnato loro a bere l’alcol. Ma non c’era il buon selvaggio, e non c’è il povero buono. La decolonizzazione è l’ultimo regalo avvelenato dell’imperialismo, nelle forme della solidarietà. I popoli al Sud potranno a lungo nascondersi sotto le colpe dell’Europa. Uccidersi, distruggersi senza rimorsi. Fino ad aver consumato i doni che l’Europa ha lasciato, le scale connesse, gli intonaci, l’acqua potabile.
Non discendiamo dalla scimmia, dice Gobineau, ma lo vorremmo. L’Egitto andrà pure consegnato agli africani, ma quando? I tempi sono importanti. Se l’Africa disponesse oggi dell’antica civiltà egizia non ne sapremmo nulla. Soprattutto infatti scompaiono i bambini, anche se le statistiche non ne rilevano un numero sufficiente a far decrescere la popolazione, non mancando in Africa chi ne fa. E un progetto, benché perverso, d’igiene mentale emerge, risuscitando l’antica questione discussa a Valladolid se i neri hanno l’anima. Ora che i bianchi, s’intende, non ce l’hanno più.
Il povero Dio, se c’è, arranca, per Auschwitz e la stupidità: non si sa più chi combattere. L’imperialismo è ora di massa. È la nazionale di calcio, un collante sociale, per un volgare “mettiamoglielo in quel posto” con la sua supposta negazione, l’antimperialismo. La decolonizzazione è la continuazione dell’imperialismo con altri mezzi, i furbi, i lenoni, i ladri con socio locale, il Potere Elusivo, inclusa la bontà. Mentre le vie della rivoluzione restano impervie. Solo la rivoluzione culturale che la Cina ha ripudiato si fa strada in Africa, col machete: gli africani fanno pulizia di se stessi. Al suo ritmo presto si parlerà dei neri in Africa come di razza favolosa.
Negli anni Cinquanta Albert Bruce Sabin e Hilary Koprowski ricercavano insieme un vaccino antipolio. Poi litigarono. Sabin, immigrato povero dalla Bielorussia, provincia dell’impero sovietico, si rifiutò per ragioni morali di brevettare l’antidoto. Si trattava di soppiantare il vaccino Salk, brevettato dall’industria farmaceutica, dagli effetti limitati. Sabin ci mise alcuni anni a sperimentare il suo vaccino con le autorizzazioni dei governi del Messico e dell’Urss. Koprowski ne poté invece fare sperimentazione estensiva tra le popolazioni del Congo Belga nel 1957, senza il permesso e il controllo di nessuno, col sostegno del governo americano. Non avendo cavie a sufficienza, Koprowski contaminò il suo vaccino con ceppi sanguigni di scimmie locali, con grave rischio d’infezione. Sabin denunciò questa pratica inutilmente, finché, nel 1960, il suo vaccino di libera produzione non sconfisse la polio. C’è spazio per la libertà. Ma c’è di peggio che assumersi il fardello dell’uomo bianco: c’è il vezzo dei nuovi ricchi di buttare i rifiuti sui poveri. È qui il senso della loro fuga, e la sostanza dell’imperialismo, che oggi si camuffa con l’aiuto allo sviluppo.
Il vezzo è dei germanici, gli scandinavi in particolare e gli americani, cioè i più ricchi di tutti. Che terrorizzano il mondo con le loro crisi periodiche, la droga, l’alcol, l’obesità, l’economia. Si salvano la coscienza con problemi che loro stessi creano, le mine antiuomo, il colesterolo, l’eugenetica, l’effetto serra, e anche questi ributtano sul resto del mondo. Sempre i ricchi si sono lamentati, ma ora esagerano. È ruttare sul mondo la sazietà, non c’è povertà nichilista. L’imperialismo vero resta dell’Occidente sull’Occidente, una guerricciola endemica interna, magari per scongiuri. Gli altri non sono abbastanza ricchi da stimolare l’avidità. Ecco perché l’antimperialismo è brutto. Se è qualcosa, dovrebbe essere la libertà. Non può dare più case, più strade, più ospedali, più scuole, perché è meno ricco dell’imperialismo. Può e dovrebbe dare onestà e rispetto degli altri, della legge.
Ci sono dei criteri: non ci può essere antimperialismo contro antimperialismo. Né socialismo contro socialismo: hanno ragione quelli che, scampati alla forca del comunismo, sono restati comunisti, c’è un solo comunismo. È diverso per le vie nazionali, eurocomunista, latina, lusitana, africana, afroshirazi, animista, panaraba, confuciana - e scintoista no, anche buddista, e yoga? Basta la parola, direbbe la pubblicità, socialismo è un abito, un profumo. Il senso del Terzo mondo è - era quando c’era un Terzo mondo, ma vale anche per gli epigoni sparsi - un platonico terzo regno di Frege: un mondo di petizioni di principio, per salvare l’anima nostra, non gli africani (Frege, barba bianca, modi semplici, non era preso sul serio a Iena nel 1917 all’università). L’Occidente, volendogli dare una colpa, ha prevenuto la decolonizzazione catturando gli animi: li ha sintonizzati sul possesso, furberia, sopruso, avidità, prima che sull’alcol e li gestisce con la crisi. L’Occidente è furbo, per questo Ulisse vi è popolare. Ma nessun indio, nessun africano, nessun arabo, nessun asiatico ha bisogno di lezioni in questo campo.
E c’è chi dice l’Africa priva di storia. Mentre non è piena che di rovine. L’Angola, il paese più ricco al mondo, è il più povero. E il Gabon, grande quanto l’Italia per un milione di abitanti, coi tanti minerali e l’okumé, con cui si fa il compensato? Il compagno Nkrumah, l’Osagyefo, redentore, è morto nella vergogna, aveva trecento statue. Il maestro Nyerere applicava l’Ujamaa, la fratellanza del socialismo di villaggio, per ridare un ruolo ai capi, il legittimismo è l’ideologia africana. Obote invece è svanito con tutto il socialismo, e l’ottima università di Makerere, per lasciare l’eterna primavera a un caporale, Amin. Il problema vero è che gli africani sono troppo buoni per non essere mangiati.

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